VIDEO LIBRO – Diversamente uguali. Noi, gli altri, il mondo, Paoline Editoriali Libri 2016.

Italian Theory?

 

Che cos’è la cosiddetta “Italian Theory”? Per quali ragioni è diventata di recente così centrale in una serie di dibattiti ontologici e politici, soprattutto nel mondo anglofono, dibattiti che coinvolgono non soltanto la filosofia ma anche le scienze sociali? E anche: da dove proviene la sua spesso elusiva prossimità alla biopolitica, una politica per la quale, seguendo la definizione di Giorgio Agamben, “il potere non ha di fronte a sé che la pura vita biologica senza alcuna mediazione”?

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Secolarizzazione: la (non) eccezionalità degli Stati Uniti dal punto di vista del rapporto individuo/sistema religioso

 Il presente saggio mira a relativizzare l’idea di una eccezionalità del caso statunitense nella storia mondiale in rapporto al fenomeno della secolarizzazione. Al contempo sostiene l’ipotesi che sia in realtà l’Europa Occidentale a costituire un eccezione geografica rispetto alla maggior parte del mondo caratterizzata invece dall’esplosione di fervidi movimenti religiosi. L’approccio prospettico adottato si basa sulla teoria dei sistemi autopoietici ( Luhmann 1991, 1992 e Maturana, 1985).

 

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Attenzione al medico: il diritto dei tribunali è malato

L’attualità politica degli ultimi decenni ha reso più visibili le circostanze in cui la crisi di legittimazione del potere legislativo non riesce a produrre buona “normazione”, destinando a settori altri dell’esperienza giuridica il ruolo e il compito di risolvere i problemi. O le prassi, spesso informali, giungenti dal “basso”, nel silenzio del diritto innanzitutto in quanto sistema razionale ad attitudine regolativa delle condotte altrui, o le decisioni giurisdizionali, incardinate nel vincolo formale processuale e spesso dipendenti dalla natura dell’organo chiamato ad emanarle. Un fenomeno del genere può giustamente sembrare, per più aspetti, positivo.

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Materiali per una Sinistra “a venire”

 

Una sinistra “a venire” non ha più indiscusse organizzazioni di massa ed attivi movimenti omogenei su cui contare, che si accendano per mobilitare la società oltre i loro stessi confini, non ha più le fabbriche di un tempo e i “fieri compagni del servizio d’ordine”, né le masse bracciantili e le “cavallerie contadine”. Ha di fronte una “moltitudine” singolarizzata, spesso diffidente verso le sinistre storiche, ancora abbagliata dalle luci del consumo e del successo, per lo più ormai estranea al confronto di un tempo tra socialismo e individualismo, di frequente partecipe di un’idea di libertà che non si distingue più dal liberismo, talvolta distratta e tuttavia sempre delusa e ancora una volta espropriata.

Questa “moltitudine” non ha di per sé orecchie per intendere un nuovo orizzonte, non è lì ad attendere che qualcuno la chiami – come un tempo – alla “riscossa” ed alla “rinascita”. E però neanche sembra disposta a mobilitarsi su parole di “realismo”, di “piccoli passi”, di cauto “rinnovamento morale”, di “attenzione” al futuro del mondo giovanile o alle nuove povertà, per quanto in piena buona fede possano essere pronunciate.

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Il futuro della libertà religiosa: brevi note in tema di questione islamica e laicità dello spazio pubblico

 

Il 30 aprile scorso sono stato invitato dal Circolo dei Giovani Democratici di Pontecagnano (SA) a discutere di questione islamica, multiculturalismo e problemi pratici della libertà religiosa in Italia. La mia riflessione ha preso le mosse dal titolo del convegno: “Le radici dell’odio. Noi e l’Islam”.

Ebbene, ho posto ai presenti, da subito, la seguente domanda: c’è veramente contrapposizione tra noi occidentali e la civiltà musulmana, tanto da generare “odio”? Quando c’è odio non ci sono alternative: c’è lo scontro, c’è la giustificazione di tutto il male possibile e non c’è spazio per il compromesso razionale, per l’ascolto delle ragioni altrui, per la convergenza su una “tavola comune” di principi (culturali e normativi) da cui far scaturire un “nuovo ordine civile”, che significa: uno spazio pubblico oggettivamente caratterizzato in senso laico, nell’accezione più ampia del termine (rinviando ad un altro momento per l’approfondimento di questo tema)

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Democrazia, Individualismo, Capitalismo

Che la democrazia, ormai sul piano teorico assunta come orizzonte inoltrepassabile del nostro tempo, attraversi, invece, sul piano fattuale, una delle maggiori crisi di legittimazione della sua storia è un dato ormai conclamato e dato per certo dalla maggioranza degli osservatori – non soltanto politologi di professione.

Essa, infatti, appare evidentemente afflitta da quattro diversi ma connessi problemi che possono essere considerati tipici della nostra epoca.

Il primo consiste nella crisi di rappresentanza parlamentare, dal momento che i governi tendono a legiferare a colpi di decreti-legge, e spesso ponendo la questione di fiducia, al di fuori di un reale confronto parlamentare fra diverse opzioni politiche.

Il secondo ordine di problemi è dato dalla onnipervasiva quanto irresistibile presenza di organismi sovranazionali – di stampo prevalentemente se non esclusivamente economicistico – che impongono la loro volontà, soprattutto agli stati economicamente più deboli, saltando interamente la volontà dei cittadini.

Il terzo è costituito dalla erosione, se non addirittura dalla cancellazione, delle reali alternative politiche fra diverse opzioni – ciò che aveva caratterizzato per lungo tempo la storia delle democrazie occidentali, organizzate in partiti, egualmente strutturati sulla difesa di interessi di parte ma con vocazione universalistica.

Il quarto problema, infine, ma certo non il minore, è dato dalla forte crisi che attraversano le cosiddette “libertà sostanziali” – quelle cioè capaci di mettere il cittadino di una democrazia, al di là dell’aspetto procedurale di essa, in condizione di decidere in tutta autonomia e in piena libertà. La crisi del Welfare-State con l’imporsi parallelo del neoliberismo – con la sua carica di precarizzazione e con l’isolamento di ampi strati sociali lasciati al proprio destino – ha invertito una tendenza di lungo periodo che aveva invece esteso questo tipo di libertà, assolutamente imprescindibile all’interno di una comunità che si voglia democratica.

In questo intervento, cercherò, dunque, di focalizzare la mia attenzione sul perché si sia creato questo punto di svolta, proiettando uno sguardo genealogico, necessariamente molto rapido, alle condizioni storiche che l’hanno resa possibile e, infine, cercherò di accennare ad una possibile risposta teorica alla crisi attuale della democrazia.

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Nel tempo in cui tutte le identità sono state ridimensionate – identità culturali di gruppo, di ceto, di etnia, di nazionalità -, anche quella fondamentale identità costituita dallo Stato e dalla politica appare fortemente incrinata. Lo Stato moderno si occupava della mediazione politica nel tempo in cui occorreva fare ordine non soltanto fra i vari Stati ma anche fra le varie identità presenti nello Stato medesimo. Quest’ultimo, cioè, appariva come uno strumento necessario per esercitare il libero gioco democratico.

Qual era, tuttavia, la logica di fondo dello Stato democratico moderno? I processi di democratizzazione (parlamenti, suffragio universale, diritti, welfare) sono stati realizzati all’interno di una dialettica che intendeva anzitutto distruggere qualsiasi avversario possibile del Capitale, per poi preparare le condizioni psico-antropologiche all’interno delle quali quest’ultimo potesse esercitare la propria sovranità su sudditi caratterizzati in quanto uomini isolati, deboli, tendenzialmente vuoti ed esposti a desideri solo apparentemente anarchici – uomini, cioè, educati, in fondo, come animali d’armento.

Quando tutto ciò è avvenuto, lo Stato è apparso allora inutile nel suo ruolo tradizionale di mediazione fra identità. La politica, pertanto, è diventata la longa manus del Capitale medesimo.

Le questioni rimaste politicamente sul tappeto non attengono più alla mediazione fra valori diversi o fra identità e visioni del mondo differenti, ma all’adempimento di compiti per lo più tecnici – il Capitale affida tali questioni alle pratiche di governance impegnate non più ad estendere diritti, a mediare fra identità, a combattere contro i nemici del Capitale, ad includere fette sempre più ampie di uomini all’interno della sua logica ma, molto diversamente, a risolvere problemi tecnici finalizzati – costi quel che costi – a fare in modo che la religione del Capitale diventi sempre più forte e che il numero dei credenti salga.

Certo, tale compito non è l’unico ma è certamente quello più rilevante. Ha perso importanza in maniera vertiginosa, infatti, perfino il ruolo di “cane da guardia” che lo Stato s’era assunto tante volte in passato. Lo Stato di polizia, appunto, adempiva ad un compito imprescindibile nel momento in cui esistevano possibilità eversive dell’ordine capitalistico. Quando tali possibilità non sussistono più perché l’Occidente, sul piano nazionale e internazionale, si è trasformato in una enorme massa di credenti, si può limitare l’attività poliziesca soltanto ad alcuni popoli che (si pensi all’Islam) ancora in parte si rifiutano di credere nella nuova divinità.

Si è costruito così in Occidente un profilo d’uomo che contrassegno qui con l’espressione individualismo. È individualista colui che, considerandosi slegato da qualsiasi appartenenza, al limite anche quella con se stesso, ritaglia il proprio spazio esperienziale in modo tale da poter essere considerato un ente che viene dal vuoto e va verso il vuoto. L’uomo contemporaneo – ora che l’individualismo ha toccato il suo apogeo – piuttosto che “mediarsi” attraverso l’Altro, considerando la Memoria e l’Attesa come forme ideali ma concretissime dell’Altro, ha radicalizzato (e cronicizzato) il proprio individualismo in seguito a due elementi che hanno raggiunto ormai una visibilità estrema.

Il primo è la tecnica. Questa, infatti, riducendo ulteriormente lo spazio di esposizione all’altro o, almeno, anestetizzando l’individuo attraverso la creazione di uno spazio/cuscinetto che isola e protegge dal rischio/possibilità di contatto esperienziale, ha reso sempre più superflua la mediazione con l’Altro sul piano politico.

 Il secondo è il denaro. Attraverso lo scatenamento delle forze del capitale, e in virtù dell’accumulazione illimitata determinata dall’economia finanziaria, l’individualismo moderno ha potuto radicalizzarsi ulteriormente. Il denaro ha infatti questo di caratteristico: esso può accumularsi senza limiti e può porsi inoltre come minimo comun denominatore fra gli uomini, nella sua infinita capacità di mediare.

Che fare? In una situazione simile, credo che occorra concentrarsi su due possibili strade teoriche. Intanto, consapevoli che si va controcorrente, si potrebbe ostacolare il più possibile i processi di autonomizzazione da parte del capitale finanziario, rinforzando parallelamente il ruolo della politica – ma bisognerebbe farlo sul serio, contestando il principio nella sua interezza, e non soltanto per intenti propagandistici.

Nel perseguire questa strategia, tuttavia, dovremmo essere consapevoli che seguiamo una linea già tracciata dalla modernità. Concentrarsi sul ruolo di contrasto al Capitale attraverso il tentativo di ridare valore alla politica e alle sue scelte, riprendere con forza gli argomenti dell’uguaglianza, e dunque dell’antagonismo dialettico, come appunto dicevo poc’anzi, significa marciare, in fondo, sui medesimi binari di una modernità che ha cercato indiscutibilmente una sempre maggiore inclusione, attraverso l’appiattimento egualitario ed omologato. Certo, nei secoli moderni, era il Capitale che andava in questa direzione, allo scopo di procurarsi i sudditi – ma forse sarebbe meglio dire fedeli. Ora invece lottare per l’uguaglianza significherebbe combattere contro il capitale e la sua logica diventata nel frattempo differenzialista.

Su questo punto, sorge tuttavia un problema. Se ammettiamo che la logica del Capitale sia stata consacrata regina e che il Capitale stesso costituisca l’unica vera religione del nostro tempo e se, di conseguenza, come abbiamo già visto, il Capitale ha potuto trasformarsi da tendenzialmente democratico a tendenzialmente oligarchico, ciò non significa anche che le forze che possono “lottare contro” sono state già distrutte?

In altre parole, siamo sicuri che assumere una strategia rivendicativa, molto diversamente dal risultare realmente antagonisti al sistema, non significhi invece portare a compimento (portare ad esecuzione) una logica che è già quella del Capitale. Insomma, come possiamo esser certi che lottare contro il Leviatano nella direzione di una migliore eguaglianza, non si risolva invece in una sorta di approvvigionamento di risorse a beneficio delle fauci del Leviatano medesimo?

Forse allora occorre qualcosa di diverso. Qualcosa che non rischi di cadere all’interno di una metafisica impostata su una soggettività piatta e livellatrice – e da ultimo, consumistica a tutto tondo – nella quale consiste in ultima analisi il Moderno.

Dove cercare questa nuova realtà se non in qualcosa che – pur non essendo la stessa cosa – somiglia in qualche modo a ciò che una volta si chiamava identità? Indubbiamente, qui non si tratta di rimettere in gioco le identità già smantellate dalla modernità. Nella storia niente torna nello stesso modo – figuriamoci le identità. Si tratta invece di richiamarsi ad una nuova maniera di considerare l’uomo e il suo essere-in-comune, che non escluda un radicamento e un ancoraggio in qualcosa che non sia più, e che non sia affatto, il vuoto su cui invece la modernità ha edificato la sua sovranità.

Il vuoto costitutivo della modernità – per effetto di una causa necessitante che ora appare in tutta la sua forza – ha prodotto, infatti, una nevrosi generalizzata atta a santificare la religione del capitale attraverso il riempimento di esso da parte della merce. Bisogna fermare, o almeno contenere una simbolizzazione del vuoto di questo tipo. E, per farlo, è inutile se non controproducente muoversi all’interno delle sue stesse coordinate – è esattamente ciò che si farebbe se si entrasse all’interno di un discorso meramente rivendicativo. Molto diversamente, occorre fare in modo che il vuoto stesso, questo eterno elemento strutturale dell’umano, venga “trattato” in maniera metafisicamente/praticamente diversa da ciò che accadeva nella tradizione moderna.

Si apre dunque qui lo spazio per una simbolica dell’azione politica che dovrà inevitabilmente passare per uno stadio etico ed estetico insieme – un luogo, cioè, nel quale l’etica diviene estetica e l’estetica mostra una fodera etica.

Occorre partire dalla nostra soggettività per poi allargare movimentisticamente tale condizione.

Utopia? Forse. La democrazia che verrà, però, dovrà essere di tutti – una democrazia delle libere differenze e non delle piatte omologazioni, all’interno dello spazio liscio del consumo di massa a fronte di una nuova oligarchia finanziaria. Mi sembra indubitabile che se non sarà radicale, la democrazia non sarà di nessuno.

In una possibile democrazia a venire, il denaro potrà giocarvi soltanto la parte che vi giocava allorquando i greci (proprio loro) consideravano l’economia un’attività minore, in fondo nettamente subordinata ad altre attività fra cui la politica e la filosofia.

Se la democrazia non andrà in questa direzione, dunque, non sarà affatto democrazia! Al contrario, sarà il totalitarismo peggiore della storia umana a fare la sua sinistra apparizione. Pericolosi segnali ci dicono che abbiamo già imboccato da tempo strade antidemocratiche.

Avremo la forza di opporci?

J.V. Andreae e l’”illuminismo” rosacrociano

Il secolo dei contrasti: La rivoluzione scientifica e l’Illuminismo, le due colonne portanti della civiltà contemporanea, da un punto di vista storiografico, sono relativamente semplici da “comprendere”, se si osservano da una prospettiva che li presuppone, guardando dal presente verso il passato, per coglierne gli elementi caratterizzanti, innovativi e ricchi di conseguenze; decisamente più complesso è, invece,  il lavoro che attende chi vuole cimentarsi con le profonde e intricate radici da cui hanno avuto origine.

La storiografia ha sostanzialmente seguito la via più semplice fino alla prima metà del Novecento, individuando nella rivoluzione scientifica il discrimine tra magia e scienza, tra prospettive metafisico-teologiche e indagine sperimentale. Ma questo atteggiamento, riduzionista e positivista, perdeva di vista i tipici contrasti seicenteschi, la complessità caratteristica dei grandi fenomeni culturali e dei mutamenti paradigmatici [ref]T. Khun, La struttura delle rivoluzioni scientifiche,  1962[/ref].

La storiografia più recente[ref]Per esempio, W. Pagel, D.P. Walker, F.A. Yates, C. Webster , E. Garin, P. Rossi[/ref] ha evidenziato tale complessità, portando alla luce la convivenza di istanze metafisiche, teologiche, magico alchemiche e proto-scientifiche nei grandi protagonisti della rivoluzione scientifica e nei precursori dell’illuminismo. L’eliocentrismo copernicano fu ispirato da una visione del mondo neoplatonica ed ermetica, le leggi di Keplero nacquero sulla base del “presupposto” neoplatonico di un divino ordine geometrico del cosmo, il metodo sperimentale galileiano fu formulato anche grazie all’ispirazione del Timeo platonico e la fisica newtoniana fu anche espressione di una visone del mondo magico-ermetica e alchemica[ref]Michael White, Newton. L’ultimo mago, Rizzoli, 2001[/ref].

Relativamente ai contrasti e alla convivenza di istanze magico-esoteriche con altre scientifiche e preilluministiche, paradossali per la mentalità contemporanea, ma, di fatto, strutturali nel Seicento e nel Settecento, risulta emblematica la figura del teologo luterano Johann Valentin Andreae (1586-1654), unitamente alle vicende della misteriosa setta dei Rosacroce, di cui egli fu certamente, quantomeno, autorevole rappresentante.

Johann Valentin Andreae:

Andreae nacque a Herrenberg il 17 agosto del 1586. La sua personalità complessa e, per certi versi, enigmatica, fu probabilmente influenzata sia dal nonno  Jacob, teologo e fautore dell’ortodossia luterana, sia dal padre Johann, appassionato di astrologia, alchimia e di tutti gli aspetti dell’esoterismo.

La sua vita rappresenta in modo emblematico il secolo dei contrasti e degli ossimori. L’oscillazione tra tradizione e utopia, l’impegno nel campo della cultura accompagnato da quello nell’assistenza ai poveri e ai  malati nell’Europa funestata dalla guerra dei 30 anni, i riconoscimenti pubblici spesso oscurati dalle accuse e dai sospetti legati ai suoi presunti legami con i Rosacroce, con conseguenti problemi per la sua carriera ecclesiastica, sono gli aspetti principali di un’esistenza dedicata alla realizzazione dei valori cristiani, di un uomo che, attraverso una rete di contatti con le menti più illuminate del tempo, da Hartlib a Comenio, favorita dalla comune appartenenza a una società esoterica,  si prefiggeva un rinnovamento generale, spirituale, culturale e politico, oscillando tra cristianesimo, ermetismo e idee non distanti dalla sensibilità scientifica e illuminista.

Andreae studiò teologia a Tubinga, dove strinse amicizia, tra gli altri,  con Christoph Besold (1577-1638), che si interessava di cabbala e occultismo e tradusse un testo satirico di Traiano Boccalini (1556-1613)  intitolato I Ragguagli di Parnasso, con Johann Arndt (1555-1621), mistico sospettato di essere rosacrociano, con Tobias Adami (1581-1643), filosofo, amico e curatore delle opere di Tommaso Campanella e con Tobias Hess (1558–1614), uomo di straordinaria erudizione, eminente giurista, teologo e cultore della medicina paracelsiana. Queste amicizie gli valsero numerosi problemi e sospetti legati allo scalpore seguito alla pubblicazione dei manifesti rosacrociani, apparsi anonimi a Kassel e Francoforte tra il 1614 e il 1615. Intrighi e sospetti costrinsero Andreae ad esprimersi più volte, in vari scritti, contro la favola e il “ludibrio” rosacrociano e a numerosi viaggi, in Svizzera, in Francia, a Venezia e Roma. Negli anni successivi tentò di costituire una “Società cristiana”, insieme agli stessi amici del circolo di Tubinga e ad altri dotti quali Keplero e Comenio. Lo scopo di questa associazione era quello di una riforma generale, con intenti irenici riguardo al cristianesimo, concepito come meno dogmatico e più orientato all’assistenza degli ultimi, e con un grande ruolo attribuito al rinnovamento del paradigma pedagogico, prefigurato nella Christianopolis andreana e certamente incentivato dalla presenza di Comenio. Lo stesso Andreae scriverà nell’autobiografia che molti videro nella “Società cristiana” una manifestazione, sotto altro nome, della Confraternita rosacrociana.

La Guerra dei Trent’anni limitò fortemente l’attuazione del progetto di “Società cristiana”: non solo erano difficili i contatti tra gli aderenti, ma andarono anche dispersi molti manoscritti delle opere che intendevano propagandare gli ideali di tale Società (in particolare la Christianae societatis imago e la Christiani amoris dextera porrecta). La stessa biblioteca di Andreae fu distrutta da un incendio di cui fu vittima la città di Calw, in cui il nostro svolgeva la funzione di abate.

Malgrado le grandi difficoltà e qualche momento di sconforto (nel 1629, con una lettera, incaricò il suo ammiratore e amico Comenio di portare avanti il progetto di Società cristiana, dichiarando il proprio fallimento), Andreae continuò a tentare di realizzare la sua Società e i suoi intenti riformatori, cercando, ad esempio, di coinvolgere il duca Augusto di Brunswick-Lunebourg e impegnandosi in un progetto di riforma del sistema scolastico nel Wurttemberg, a partire dal 1638. Andreae morì nel 1654, dopo essere stato nominato abate di Adelberg.

Andreae e i Rosacroce: 

Sono state scritte tantissime pagine nel tentativo di chiarire il rapporto che è intercorso tra J.V. Andreae e la misteriosa Confraternita Rosacrociana di cui si parla nei due manifesti apparsi anonimi a Kassel e Francoforte tra il 1614 e il 1615, ovvero la  “Fama Fraternitatis“[ref]La  “Fama Fraternitatis” fu pubblicata anonima, in lingua tedesca, a Kassel nel 1614. Il libello conteneva anche un’epistola al lettore, la Generale riforma dell’Universo, che era la traduzione del Ragguaglio LXXVII, tratto dai Ragguagli di Parnaso di Traiano Boccalini, opera edita a Venezia nel 1612. In tale Ragguaglio, Boccalini immagina che Apollo consulti i sette savi della Grecia per trovare un rimedio alla terribile situazione nella quale è precipitato il mondo; tra le varie proposte, agli autori della “Fama” , vista anche la comunione dei beni praticata nella “Christianopolis” di Andreae, doveva piacere quella di Solone, che, in quest’opera, attribuisce all’ineguale distribuzione delle ricchezze la causa di tutti i mali;  La “Fama” narra le vicende del misterioso e illuminatissimo Christian   Rosenkreutz, che dedicò la propria lunga esistenza (1378 – 1484)  a una riforma generale. Rosenkreutz fu formato in Germania in un convento ed ebbe occasione di viaggiare a Damasco, Damcar, Fez, e in Egitto; apprese così numerosi segreti, tradusse il misterioso Liber M e osservò l’abitudine dei dotti africani e arabi di riunirsi periodicamente per confrontarsi sulle nuove conoscenze relative alla natura, alla matematica e alla magia. Rientrato in Germania, Rosenkreutz fondò la confraternita rosacrociana, insieme ad otto confratelli, che si impegnarono a rispettare alcune regole, come curare i malati gratuitamente e adeguarsi ai costumi e agli abiti dei paesi dove soggiornavano (l’invisibilità era una prerogativa fondamentale dei Rosacroce). Il testo della “Fama” è fortemente influenzato dalle idee paracelsiane. Di Paracelso si dice che, pur non avendo aderito alla Fratellanza rosacrociana, aveva tuttavia letto il misterioso Liber M che Cristiano Rosacroce aveva tradotto in latino e portato con sè dall’Arabia; si dice inoltre che i suoi libri furono ritrovati nella cripta di Christian Rosenkreutz e, in linea col suo pensiero, si condanna la falsa alchimia che persegue la fabbricazione dell’oro e si promuove quella che mira al rinnovamento interiore, tema caro anche al secondo manifesto rosacrociano.[/ref] e la “Confessio Fraternitatis“[ref]La ” Confessio Fraternitatis” fu pubblicata a Kassel nel 1615 insieme alla Secretioris philolosophiae consideratio brevis a Philipp a Gabella, ispirata alla “Monas Hieroglyphica” del matematico inglerse Johon Dee. Nella “Confessio” vengono ampliate alcune tematiche accennate nella “Fama”,  in 14 brevi capitoletti in cui, tra l’altro, si  sottolinea che è Dio che vuole cambiare il corso del mondo e che non ci sono né eresia né intenti rivoluzionari in seno alla Confraternita. Il settimo capitolo annuncia un’epoca di luce, verità e gloria, paragonabile al Paradiso perso da Adamo, che precederà la fine del mondo.Tutto ciò sarà facilitato dagli scritti e dall’opera di uomini illuminati.  Secondo F. A. Yates, i Rosacroce vedevano come potenziale artefice della riforma generale della società Federico V del Palatinato, la cui sconfitta, nella battaglia della Montagna bianca del 1620, segnò, infatti, l’attenuarsi dell’entusiasmo rosacrociano. La condanna dei ciarlatani, l’odio per la brama di ricchezze e di qualsiasi bene superfluo, così come anche delle guerre e del papato, sono tutti temi particolarmente cari ad Andreae, e spesso presenti nelle sue principali opere.[/ref]. Certamente Andreae è l’autore delle “Nozze chimiche” di Christian Rosenkreutz: anno 1459[ref]La terza opera in cui si riscontrano notizie biografiche sul mitico Christian Rosenkreutz, ovvero Le Nozze chimiche Nozze chimiche di Christian Rosenkreutz: anno 1459, fu scritta in lingua tedesca da Andreae e pubblicata anonima nel 1616 a Strasburgo dall’editore Zetner.Il racconto delle “Nozze” è biblicamente scandito in 7 giorni ed è ricco di simboli, sotto forma di immagini, strani episodi, animali mitici, numeri e disegni etc. che alludono, presumibilmente, al cammino spirituale dell’anima verso l’illuminazione. I temi trattati sono quelli cari ad Andreae e al Circolo di Tubinga: l’ideale di una società basata sull’uguale distribuzione delle ricchezze; la pratica dell’alchimia spirituale, contrapposta a quella dei “soffiatori”; il percorso iniziatico individuale, che parte dall’abbandono delle pesanti catene che legano l’uomo, cioè i vizi e le passioni terrene, per passare attraverso la conoscenza della natura e culminare nella suprema ignoranza, che consiste in una  condizione di “vuoto” interiore teso a favorire l’unione mistica con Dio.[/ref], apparse a Strasburgo nel 1616, in stretta connessione coi due suddetti manifesti, poiché egli stesso lo ammise nella Vita ab ipso conscripta, giudicandolo un “ludibrium plane futile”.

È certo, inoltre, che a partire dal Menippus del 1617, Andreae si è, almeno formalmente, apertamente schierato contro i Rosacroce. In una nota della sua corposa monografia su Andreae e i Rosacroce, Roland Edighoffer[ref]Roland Edighoffer, Rose-Croix et Société ideale selon Johann Valentin Andreae, 2 voll., Neully-sur-Seine, Arma Artis, 1982[/ref] suddivide in quattro gruppi gli studiosi che si sono pronunciati riguardo all’autore dei manifesti: ci sono coloro che ritengono che l’autore sia Andreae; quelli che propendono per una paternità incerta; altri ritengono che siano opera di un cenacolo; e infine c’è chi esclude in modo assoluto una partecipazione di Andreae.

Il panorama delle interpretazioni si complica ulteriormente quando la ricerca concerne la reale esistenza o meno di una Fraternità rosacrociana e dunque l’appartenenza di Andreae ad essa e il suo eventuale successivo abbandono.

L'”insolubilità” di questa vicenda è legata all’ambiguità del linguaggio di Andreae riguardo ai Rosacroce e alla mancanza di documenti che provino l’esistenza di una società segreta rosacrociana nel  XVII secolo e che smentiscano quelli che, con Paul Arnold[ref]Paul Arnold, Storia dei Rosa-Croce [HistoirHistoire des Rose-Croix Paris, 1955], traduz. di Giuseppina Bonerba, prefaz. di Umberto Eco, Milano, Bompiani, 1991, p. 171[/ref], sostengono che all’inizio non esisteva nessuna Fraternità rosacrociana, ma solo un gioco letterario portato avanti da un cenacolo di Tubinga e nel quale era implicato Andreae.

Diversi autori considerano sincere le prese di posizione andreane contro i Rosacroce. Tra questi si trova Enrico De Mas, che fa risalire il mutamento di prospettiva avvenuto dopo il 1616 alla lettura della Citta del Sole di Tommaso Campanella. Secondo De Mas, Andreae si sarebbe reso conto dell’inconciliabilità tra l’ermetismo e la teologia riformata[ref]E. De Mas, Introduzione, in J.V.A., Descrizione della Repubblica di Cristianopoli, [Reipublicae christianopolitanae descriptio, Argentorati,1619], introduz., traduz. e note a cura di Enrico De Mas, Napoli, Guida, 1983. p. 15[/ref].

John Warwick Montgomery[ref]J.W.Montgomery, Cross and crucible-Johann Valentin Andreae (1586-1654) Phoenix of the theologians, The Hague,  Nijhoff, 1973[/ref] e Roland Edighoffer interpretano gli attacchi di Andreae ai Rosacroce come segni di pentimento per la recente avventura ermetica; entrambi considerano le “Nozze chimiche” come un’opera scritta per testimoniare il ritorno all’ortodossia luterana.

Edighoffer individua tra le fonti delle “Nozze” il Corpus Hermeticum, la Monas hieroglyphica e l’Amphiteatrum sapientiae aeternae di Heinrich Kunrath, ma asserisce che gli elementi e i simboli tratti da queste opere sono utilizzati in un contesto completamente diverso, che non ha nulla a che vedere con le speculazioni ermetiche o cabbalistiche. Nelle “Nozze” si assisterebbe, dunque, a una sorta di conversione di Ermete e si avrebbe a che fare con una Alchimia cristiana che, servendosi di metafore, esprime il mistero cristiano della rigenerazione. Dunque l’ortodossia cristiana delle “Nozze” avrebbe lo scopo di correggere l’eterodossia pagana della “Fama”.

Frances Yates[ref]F. A. Yates, L’illuminismo dei Rosacroce [The Rosicrucian Enlightenment, London, 1972], traduzione di Metella Rovero, Torino, Einaudi, 1976, pp.170 e sg.[/ref], invece, non prende sul serio gli attacchi di Andreae ai Rosacroce e fornisce un’interpretazione sia politica che culturale dell’entusiasmo rosacrociano del primo ventennio del XVII secolo. Nei manifesti rosacrociani e nelle “Nozze” ella vede, per quanto concerne l’aspetto culturale, il convergere della tradizione ermetica con la Cabbala cristiana rinascimentale, il pensiero di Giordano Bruno con quello di John Dee.

Per l’aspetto politico individua in Federico V del Palatinato il leone e l’Elia artista di cui parlano i manifesti rosacrociani e il cui avvento era profetizzato come l’inizio di una nuova era di felicità: In particolare i rosacrociani avrebbero individuato in lui il campione che avrebbe fatto trionfare le religioni protestanti sugli Asburgo e sul papato.

La Yates mette inoltre in correlazione le “Nozze chimiche”  col matrimonio del 1613 tra Federico V e Elisabetta d’Inghilterra, figlia di Giacomo I. Questo matrimonio dovette accentuare l’entusiasmo rosacrociano. Con l’appoggio del suocero, re di Inghilterra, la missione attribuita nei manifesti a Federico V dovette apparire ancora più prossima. Allora i rosacrociani e i protestanti in genere non potevano immaginare il cambiamento in senso filo-cattolico di  Giacomo I e la conseguente disfatta di Federico V.

Per quanto riguarda le dichiarazioni anti rosacrociane di Andreae e il suo tentativo di fondare una “Società cristiana”, la Yates sottolinea l’ambiguità del linguaggio di Andreae nell’accusare i Rosacroce e il suo insistente uso di vocaboli fuori contesto, come  “Theatrum” e “ludibrium”, nel parlare della misteriosa setta. La studiosa inglese non crede quindi che Andreae abbia mai abbandonato la Confraternita e gli ideali in cui ha creduto in gioventù. Le sue accuse ai rosacrociani dovettero essere legate a motivi di opportunità e di diplomazia, onde non compromettere la propria reputazione ed evitare la censura; Andreae intese inoltre reagire alla gran confusione che seguì alla pubblicazione dei manifesti e che lui stesso descrive nelle sue opere, nonché alla delusione per il mancato realizzarsi delle riforme auspicate dai manifesti.

L’interpretazione della Yates appare come la più condivisibile. Gli attacchi andreani ai Rosacroce sono facilmente spiegabili con l’esigenza di difendersi dai sospetti, tutelandosi, in modo da poter portare avanti i progetti di riforma. Come ha sottolineato la Yates, questi attacchi sono sempre caratterizzati da un linguaggio allusivo e “ambiguo” .Nell’ l’introduzione alla “Christianopolis“[ref]J.V. Andreae, Reipublicae christianopolitanae descriptio, introduz., traduz. e note a cura di Enrico De Mas,   Napoli, Guida, 1983 p. 91[/ref],pubblicata a Francoforte nel 1919, ad esempio, Andreae, riferendosi al clamore suscitato dalla pubblicazione della “Fama Fraternitatis”, scrisse: «E’ inutile dire quale confusione tra gli uomini seguisse a tale Fama, quale conflitto di ingegni, quale inquietudine tra gli impostori e gli imbroglioni. Vi è soltanto un unico dato che vorremmo aggiungere: cioè che vi furono alcuni che in questo terror panico desiderarono che il loro vecchio, antiquato e falso stato di cose venisse interamente conservato e difeso con forza. Vi furono altri che s’affrettarono invece ad abbandonare le loro opinioni e, dopo aver posto sotto accusa il grave giogo della loro servitù, si sforzarono di aspirare alla libertà. Altri ancora […] la incolparono di eresia e di setta fanatica per il fatto che inculcava la vita cristiana».

Qui, più che i Rosacroce, i bersagli di Andreae sembrano essere i conservatori che ne vollero impedire i progetti di riforma. Ma, un contributo decisivo, per chiarire la posizione di Andreae, cioè la sua mai cessata fedeltà al progetto rosacrociano, può derivare da un’analisi più attenta dei suoi testi, rivolta in particolare a ricercare significati volutamente mascherati per non incorrere nella censura, nella forma delle allusioni velate e dei crittogrammi.

L’uso della crittografia da parte di Andreae è già attestato[ref]Edighoffer, op. cit., p. 176[/ref]. È in questa direzione, in parte suggerita già dalla Yates, che occorre orientare la ricerca. Lo stesso teologo di Herrenberg, del resto, ha fornito alcuni importanti indizi su dove focalizzare l’attenzione. Nell’autobiografia Andreae confessò di aver dovuto celebrare le virtu’ dell’amico Tobias Hess per “involucra”, nascondendolo dietro la maschera di Ercole, perché nel 1615 non era permesso lodarlo pubblicamente, in quanto era accusato di essere chiliasta e rosacrociano

Le Herculis christiani luctae[ref]Herculis Christiani luctae XXIV,  Argentorati, 1615.[/ref] furono pubblicate a Strasburgo nel 1615 (quattro anni prima della “Christianopolis”). È una data molto importante: in quello stesso anno appariva a Francoforte la “Confessio Fraternitatis”. Si era pertanto in piena tempesta rosacrociana e Andreae e i suoi amici venivano accusati di essere membri della Confraternita e autori dei manifesti.

Andreae dedicò l’opera al cabalista Christroph Besold, ma molti anni più tardi, nell’autobiografia, come già sottolineato, ammise che l’eroe celebrato nelle “Luctae” era il medico paracelsiano Tobias Hess, insigne giurista e suo carissimo amico deceduto l’anno precedente.

Si tratta pertanto di un’ opera molto particolare, dove l’autore è volutamente oscuro e ricorre alla crittografia e agli anagrammi, che ci è riuscito di decrittare, per riferirsi al suo amico e alla sua appartenenza alla Confraternita rosacrociana. A tal proposto, già In calce all’ introduzione troviamo il saluto “oh sis beatus”, che è l’anagramma di “Tobia Hessus”.

L’opera è suddivisa in 24 “luctae”, ciascuna delle quali prende spunto da un episodio del mito di Ercole, le 12 fatiche, più altri 12 episodi. La maggior parte delle “luctae” sono strutturate secondo un medesimo disegno, che prevede tre diversi livelli narrativi. Il primo costituisce appunto lo spunto mitologico.

L’attribuzione di un nome all’avversario di Ercole, nome che quasi sempre indica un vizio (per es. il serpente indica l’ozio, il cinghiale d’Erimanto la voluttà etc.), consente il passaggio alla parte centrale della “lucta”, dove protagonisti diventano i mali che minano gli animi degli uomini e la società dell’epoca in cui vive Andreae, ai quali si contrappone un Ercole cristiano, che sappiamo essere Tobias Hess.

Nell’ ”Epilogo” dell’opera è lo stesso Andreae che invita il lettore ad andare oltre la superficie del testo e a tollerare le opinioni più audaci: «Si quid hic fuit obscuri, cogitate et interpretem et divinatorem intromissum, saltem ne scrupulosum, aut quod maximè deprecamur, suspicacem». Tutta l’opera è ricca di allusioni più o meno esplicite e Andreae usa frequentemente vocaboli quali “lusus”, “Fama”, “theatrum” il cui utilizzo, come ha evidenziato la Yates, racchiudeva riferimenti al gioco, alla “Fama Fraternitatis” e alla rappresentazione messa in scena nel teatro del mondo dai Rosacroce.

Particolarmente significativa è la “lucta” dedicata alla cerva dai piedi di bronzo, nella quale Andreae allude all’appartenenza di Hess alla Confraternita Rosacrociana, e ricorre a un anagramma per salutare il suo amico ormai defunto come “padre del tempio della Rosacroce”.

Temporis Cerva Aeripes – Lucata II: Nondum pubescebat, et cervae aripedis fama aures pueri diverberavit, ardet et cuius alii pernicitatem voluptariis oculis usurpant, ille insequi audet, non arcum depromit, non jaculum parat, non retia tendit, sed pedum facit periculum: caetera si assequatur feram brachiis confisus, volat illa verius quam praecurrit, nec vestigia pulveri relinquit: et quo vehementius properat, puerum facit incitatiorem. Tempus quippe ( hoc cervae nomen ) negligere, perdere, non facere lucrosum, scelus illi, quicquid hoc orbis senio, aeneis illud et luteis sit pedipus. Sic ergo apprehensam feram involat, sic amplectitur, ut exussus etiam cursum  omnè atque fugam oculis notet, nec divelli se ab ullo impetu patiatur. Itaque dum alii in tentoriis cuticulam curant, alii ob anhelantis bestiae furorem substerfugiunt, alii si cornu inflarint satisfecisse credunt, ille sudandum, congrediendumque ratus, non applausus venationis spectator, sed felix peractor est. Lucrum illi inde, eviscerare cervam, sive huius terrae aestus removere, excoriare, sive velum arcano temporis motui detrahere, dissecare, sive in combinationes suas partiri, augurari, sive temporis signa annotare, anatomice contemplari, sive temporis concentus exaudire, deniq; carnibus vesci, sive ad omnem horam, et fortunae dolos, tempus sibi accomodare.  Nonne laudanda haec in puero venatio, ob quam optimo ex auro purissimo cathenam accepit, rerum naturalium et divinarum continuam seriem, qua inter sodales ostensa, malis invidiam, bonis desiderium accendit, ac ut illis Seculis sui neglectum supinum exprobravit: ita his suo exemplo monstravit, quantum inter hominem, qui aetatem omnem deplorat, ac illum qui vincit, sibique tributarium reddit, discriminis intersit.

La mitica cerva dai piedi di bronzo e dalle corna d’oro, che l’Ercole pagano catturò dopo un lungo inseguimento, rappresenta in questa “lucta” il simbolo del tempo. Ma sembra avere anche molti punti in comune (che abbiamo sottolineato nel testo) con la Confraternita dei Rosacroce.

La caccia alla cerva da parte di Ercole, infatti, è tradizionalmente intesa come simbolo della ricerca della saggezza[ref]Cfr, Franco Cardini, Il cervo , Abstracta 12, febbraio 1987, pp. 38-45[/ref]. Così come la Confraternita Rosacroce si fece conoscere con la pubblicazione della “Fama“, è la “fama” della cerva dai piedi di bronzo che scuote l’eroe e lo induce a seguirla. Inoltre la velocità della cerva è “usurpata” dagli occhi sensuali di altri individui; ciò ricorda quanto racconta Andreae all’inizio della “Christianopolis” a proposito degli imbroglioni e degli usurpatori che, in seguito alla pubblicazione della “Fama“, «falsamente si denominano “Fratelli Rosacroce”»[ref]Andreae, “Christianopolis”, op. cit., p. 98[/ref].

Altra caratteristica della cerva è il fatto che essa non lascia tracce nella polvere, proprio come la Confraternita Rosacroce, della quale nella “Fama” e nella “Confessio” si dice che sarebbe stata invisibile e non rintracciabile per i malintenzionati.

Più avanti Andreae contrappone l’Ercole cristiano Tobias Hess agli altri cacciatori che “in tentoriis cuticulam curant”, definendolo come “felix peractor”, in linea con la sua consuetudine di parlare di teatro e di attori per riferirsi sia ai Rosacroce che ai falsi rosacrociani.

I restanti passi della “lucta” che abbiamo sottolineato sono quelli in cui Andreae elenca i vantaggi che derivano all’Ercole cristiano dall’esser riuscito a raggiungere la cerva, che fanno pensare a quelli che potevano essere i vantaggi derivanti dal venire a conoscenza dei segreti della Confraternita rosacrociana.

Il “lucrum”, per l’eroe, fu quello di togliere il velo all’arcano moto del tempo, ovvero “temporis signa annotare”, altro riferimento ai Rosacroce, chiliasti, che nella “Confessio”[ref]”Confessio Fraternitatis”, cap. VII, in Edighoffer, op cit.[/ref]  alludono ai segni inviati da Dio per indicare che una nuova era stava per iniziare, cioè le “novae” apparse nel 1604 nelle costellazioni del Serpentario e del Cigno. Altro premio ricevuto da Tobias Hess per il successo nella sua caccia alla cerva del tempo, fu una catena d’oro purissimo, ovvero la serie continua delle cose naturali e divine.

Possedere questa catena significa, secondo Andreae, conoscere le intime connessioni tra le varie parti dell’universo, ovvero tra macrocosmo e microcosmo. Nella “lucta” XVII intitolata “Gerion Professionis“. Andreae mette in connessione la conoscenza dell’anatomia dell’universo, rappresentato dal corpo umano, con quella del macrocosmo (“universae machinae”) e considera saggio “qui intra se omnium centrum et originem, extra se omnium concathenationem animadvertit”. Per Andreae, come per Paracelso, le diverse parti dell’universo sono connesse tra loro come gli anelli di una catena. E’ la conoscenza dunque il risultato della caccia di Hess.

Questa conoscenza è in perfetta sintonia con quella “promessa” nella “Fama” e nella “Confessio” dai Rosacroce, millenaristi che, sulla base dei “signa temporis” presagivano un’epoca felice, e paracelsiani, il cui eroe eponimo Christian Rosenkreutz «riuscì a comprendere l’unità, attraverso la quale, come ogni nocciolo contiene l’intera struttura, o frutto, cosi l’intero universo è contenuto nel piccolo essere umano»[ref]”Fama Fraternitatis” ,  Kassel, 1614, in: J. P. Bayard, I Rosacroce, storia, dottrine, simboli, La simbolique de la Rose-Croix, Paris, 1975*, traduz. di Simonetta de Franceschi, Roma, Mediterranee, p. 30[/ref].

Con la caccia alla cerva descritta in questa “lucta”, Andreae ha inteso alludere segretamente alle conoscenze acquisite dal suo amico chiliasta e paracelsiano, entrando a far parte della Confraternita rosacrociana. La correttezza di questa interpretazione è confermata dal saluto al suo amico Rosacroce nascosto sotto forma di anagramma nel titolo della “Lucta”:

Schermata 2016-05-25 alle 13.31.36 anagramma per: Schermata 2016-05-25 alle 13.32.55

Hess e Andreae, dunque, furono tra i rosacrociani che scrissero e fecero pubblicare la “Fama” e la “Confessio” (cosa su cui concordano la maggior parte degli studiosi) e l’autore delle “Nozze” non abbandonò mai la Confraternita. I suoi attacchi alla Rosacroce e il suo tentativo di costituire “Società cristiana” nascondevano l’intento di portare avanti i progetti rosacrociani eludendo censure e sospetti, e di difendere la Confraternita dall'”inquinamento” rappresentato da quegli impostori che «falsamente si denominano Fratelli Rosacroce»[ref]Andreae, “Christianopolis“. op. cit., p. 88. La continuità tra la Confraternita Rosacroce e “Società cristiana” è confermata tra l’altro dall’iscrizione postuma del rosacrociano Hess tra gli aderenti a quest’ultima.[/ref].

Il progetto rosacrociano di Andreae. Tra rivoluzione pedagogica, progresso scientifico, esoterismo e mistica medioevale: Sia nei manifesti rosacrociani sia nelle opere andreane si può osservare la compresenza di elementi fortemente contrastanti e apparentemente inconciliabili, se li si osserva senza un’adeguata prospettiva storica. La mistica antimondana medievale, infatti, coesiste con l’ermetismo e con la proposta di un paradigma pedagogico rivoluzionario orientato al progresso scientifico. Emblematica, a tal proposito, è la Christianopolis, l’utopia andreana che illustra il progetto di riforma rosacrociano. Quella cristianopolitana è una società fortemente teocratica e in essa, su tutto, hanno preminenza la fede in Dio, l’umiltà cristiana e un forte sentimento antimondano. Malgrado ciò è fortissimo l’interesse dei cristianopolitani (e di Andreae) per il progresso scientifico. Secondo De Mas:

«in Christianopolis il messaggio delle scienze campeggia in tutta la sua vastità e si afferma come modello della struttura scolastica, ma è fortemente decurtato nei suoi effetti dirompenti e nelle trasformazioni sociali che ha la capacità di operare, perché in partenza è detto che gli abitanti della città cristiana fanno poco uso dei libri e sono sempre in guardia contro “l’inutile vanteria dell’ingegno umano»[ref]in Christianopolis, op. cit. p. 40[/ref].

Ma tale giudizio è legato a una lettura positivista.  Il duplice atteggiamento andreano verso il Mondo, luogo in parte estraneo ai cristiani impegnati in un percorso di rigenerazione spirituale, ma anche oggetto di un progetto di riforma orientato al progresso materiale, non limitò mai il suo impegno, che, unitamente a quello di personaggi come Comenio e Hartlib, contribuì alla nascita della Royal Society.

Il teologo di Herrenberg è un degno seguace di Innocenzo III quando scrive: «Oh questo nostro corpo! quanto è sporco, quanto è ruvido, quanto è putrido!»[ref]IVI, p. 192[/ref]. Ma questo atteggiamento coesiste con un più “moderno” invito alla ginnastica e allo sport per favorire l’armonico sviluppo corporeo dei giovani[ref]IVI, p. 149[/ref].

Quella della Christianopolis è una cultura cristiana, influenzata dalla mistica medioevale, ma è anche e non meno una «cultura scientifica che si fonda sulla matematica e si orienta verso la tecnologia e l’utilità»[ref]Yates, Illuminismo…, op. cit., p. 183[/ref].

Nel capitolo XI Andreae contrappone la Chimica alla Sofistica, sostenendo che la prima preferisce le cose alle parole[ref]Andreae, Christianopolis, op. cit., p. 104[/ref]. La Chimica che viene praticata nella città cristiana si occupa dello studio dei metalli e dei minerali in vista della loro utilizzazione pratica, ed è una branca della Fisica che studia la natura in genere, anch’essa in vista dell’utilità[ref]Ibidem. Andreae sottolinea infatti che «mentre altrove la falsa Chimica si appressa pian piano e s’impone nelle tenebre, questa è solita osservare le opere, recar giovamento con ogni sorta di indagini ed esercitarsi con vari tentativi. Per dirlo con poche parole: qui la Fisica è la pratica»[/ref].

Nel capitolo XlIV viene descritto il laboratorio dei chimici cristianopolitani, che è «equipaggiato con i più ingegnosi forni e con tutti gli strumenti necessari per comporre e scomporre le sostanze[…]. Qui vengono esaminate, purificate, accresciute, combinate le proprietà dei metalli, dei minerali e dei vegetali, per l’utilità del genere umano e a vantaggio della salute»[ref]IVI, p. 138[/ref].

All’interno della città cristiana ci sono altri laboratori dove vengono studiate le proprietà terapeutiche dei vegetali[ref]IVI, p. 139[/ref], l’anatomia del corpo umano[ref]IVI, p. 140[/ref], il cammino degli astri[ref]IVI, p. 143[/ref]. Andreae conosceva perfettamente le più recenti scoperte scientifiche. Per esempio conosceva e approvava il sistema copernicano, benché questo fosse considerato eretico da Lutero stesso, poiché in contrasto con le Sacre Scritture[ref]È nota l'”avvertenza” del luterano Osiander al De revolutionibus” di Copernico, che invitava a considerare la teoria copernicana come una mera ipotesi matematica.[/ref].

Nella “Christianopolis” ci sono diverse allusioni alla teoria copernicana, anche se presentate in modo criptico per non urtare la suscettibilità dei custodi della ortodossia luterana. Un passo del capitolo LX allude alla «densità dell’acqua, alla pressione dell’aria, all’elevazione della terra[ref]Dal centro dell’universo.[/ref], […] all’arresto del sole[ref]Che dunque non gira più attorno alla terra.[/ref], alla fine del mondo, tutte cose che per noi sono certe»[ref]IVI, p. 154[/ref]. Inoltre, nel capitolo XLIX, Andreae sottolinea l’immensa distanza del cielo dalla terra[ref]IVI, p. 143[/ref], cosa sostenuta anche da Copernico per giustificare l’assenza di parallasse stellare, cioè di un’ampiezza angolare tra le immaginarie linee da una stella alla terra in diversi momenti della sua orbita.

L’autore delle “Nozze” era al corrente anche delle recenti novità provenienti dall’Italia. Nel capitolo dedicato agli “strumenti matematici”; Andreae scrive:

«Non mi metterò qui ad enumerare gli strumenti, dato che sono quasi tutti compresi nella descrizione fatta dall’eminentissimo Ticho Brahe; ne sono stati aggiunti pochissimi altri, fra i quali il preziosissimo telescopio recentemente inventato»[ref]IVI, p. 144[/ref].

Poco oltre si schiera contro coloro che non apprezzano l’uso degli strumenti nelle indagini scientifiche e li condanna «dinanzi al tribunale delle scienze»[ref]Ibidem.[/ref]Nel capitolo successivo descrive la “sala di matematica”, dove:

«si potevano vedere un grafico del cielo stellato e una riproduzione della limpidissima schiera di tutti i corpi superiori […], le carte geografiche della terra; i diversi schizzi che rappresentano strumenti o macchine; e i modellini, le figure geometriche, gli strumenti delle arti meccaniche […]. Vi era la possibilità di scorgere accurate osservazioni delle passioni e (cosa più recente) delle macchie dei corpi luminosi»[ref]IVI, p. 145[/ref].

Galileo Galilei non poteva avere miglior discepolo, soprattutto per l’importanza data da Andreae all’uso di strumenti e modelli meccanici nelle indagini scientifiche.

L’autore rosacrociano sottolinea l’utilità pratica, oltre che speculativa, anche dell’aritmetica e della geometria[ref]IVI, pp. 155-156[/ref] e asserisce, come Bacone, che «l’intero usufrutto del mondo»[ref]IVI, p. 164[/ref] è stato concesso all’uomo per suo beneficio.

Dunque Andreae, malgrado il suo fideismo antimondano, aveva colto pienamente la potenza innovativa del nuovo messaggio scientifico e nelle sue opere e nel suo pensiero al “contemptus mundi” si accompagnava la volontà di conoscere, “sfruttare” e migliorare l’odiato regno di Satana.

Da buon amico di Comenio, Andreae comprese che un vero rinnovamento culturale, spirituale e politico, poteva essere perseguito soprattutto grazie a un nuovo paradigma pedagogico, caratterizzato dai laboratori scientifici attrezzati di strumenti e modelli meccanici e dall’uso delle immagini.

La città di Christianopolis, «oltre ad essere interamente ornata di pitture che rappresentano i movimenti dell’universo, ne fa tuttavia gran uso per istruire i giovani e per l’apprendimento delle cose da imparare»[ref]Andreae, “Christianopolis”, op.  cit., p, 142.[/ref].

Già nel 1613 Andreae organizzò a Tubinga dei corsi di matematica, architettura e meccanica facendo disegnare centodieci figure per illustrare le sue lezioni. Edighoffer ha sottolineato che «avec Comenius, avec Ratichius, aprés Campanella, il propose des méthodes qui conduisent vers la pédagogie moderne, jusqu’à celle des procédés audio-visuels»[ref]Edighoffer, op. cit., p. 457[/ref].

Nel 1639, il teologo fu incaricato di riformare il sistema scolastico del Württemberg e operò con grande efficacia, con l’istituzione, per la prima volta, nel 1648 della scuola dell’obbligo, e con la promozione dell’insegnamento delle materie scientifiche e tecniche, aprendo così la via all’Aufklärung[ref]Cfr. Edighoffer, op. cit., p. 452[/ref].

Concludendo, all’inizio del XVII secolo era operativa in Germania una Confraternita rosacrociana, in cui Andreae aveva un ruolo di rilievo insieme ai suoi amici del Circolo di Tubinga, tra i quali primeggiava Tobias Hess, il “padre del tempio della Rosacroce”.

I Rosacroce, millenaristi che sentivano di vivere in un’epoca di transizione, avevano un progetto di vasto respiro, che riguardava un nuovo assetto politico e sociale, basato sul concetto di uguaglianza, una rigenerazione spirituale, che metteva insieme i principi cristiani con quelli ermetici e alchemici, una rivoluzione culturale orientata al progresso scientifico e fondata su un nuovo paradigma pedagogico, una riforma religiosa tesa a riportare il cristianesimo sul solco evangelico. Prima il caos seguito alla pubblicazione dei manifesti, poi la sconfitta di Federico V nel 1620 e i disastri della guerra portarono il gruppo di Tubinga a riorganizzarsi tramite la “copertura” delle Società cristiane.

La guerra ostacolerà gran parte del progetto rosacrociano. Tuttavia, la rete di contatti di Andreae, arricchita da personaggi quali Hartlib e Comenio, porterà a favorire, di fatto, almeno il rinnovamento culturale, trovando terreno fertile in Inghilterra. Hartlib e Comenio condivisero l’ideale di un collegio universale per l’avanzamento del sapere e la gran parte dei membri dello Hartlib circle confluirono nella nascente Royal society.

Non è un caso se proprio in Inghilterra, un secolo dopo la pubblicazione dei manifesti rosacrociani, l’eredità dei Rosacroce sarà in parte raccolta dalla moderna massoneria, dove trovarono dimora sia gli elementi esoterici sia le istanze di rinnovamento generale che si espressero nell’Illuminismo.

VIDEO – La crisi della Politica

I parte (Democrazia e potere)

II parte (democrazia in che senso?)

III parte (Libertà o tirannide)