La VI uscita di Pagine Heideggeriane ospita un paper a firma di Luca Bianchin dell’Università di Padova, in cui l’autore ricostruisce il rapporto fra Heidegger e Descartes attraverso la figura che funge da trait d’union fra i due, cioè Husserl. Attraverso un’analisi del ruolo svolto da Descartes nel pensiero di Heidegger degli anni ’20, in cui l’autore francese sembra essere il grande assente della speculazione heideggeriana, Bianchin delinea con precisione ed acribia il percorso attraverso cui Descartes diventa il polo d’interesse per la critica alla soggettività. Non solo: con estrema puntualità Luca Bianchin riesce a mettere in evidenza come l’inversione di cogito sum in sum cogito permetta a Heidegger di radicare le cogitationes nella trascendenza del soggetto e di assumere l’espressione sum cogito in una prospettiva fenomenologica tale da poter portare alla luce ciò che lo stesso Cartesio non aveva colto. Appellandosi al reciproco richiamarsi di existere ed ego (ego sum, ego existo), Heidegger elabora un altro fondamentale elemento della costituzione ontologica del Dasein: la Jemeinigkeit.
Francesca Brencio
Heidegger e Cartesio.
La trasformazione heideggeriana della soggettività cartesiana
di
Luca Bianchin
1. La funzione di Cartesio negli anni Venti: né Husserl, né Cartesio
Straniero: Allora di questo ti voglio pregare ancora con maggiore insistenza.
Teeteto: Di che cosa?
Straniero: Non credere che io divenga quasi un parricida.
È singolare notare come in un testo del 1912, il cui titolo programmatico è Il problema della realtà nella filosofia moderna , il nome di Cartesio non ricorra nemmeno una volta. L’omissione di Cartesio in un contesto in cui si tratta della «realtà» nell’epoca moderna stupisce se si pensa al ruolo chiave che le riflessioni heideggeriane negli anni Trenta/Quaranta fanno assumere al filosofo francese.
Dunque, in che momento Cartesio fa la sua comparsa nei testi heideggeriani? Per quale motivo, quindi, Heidegger sente la necessità di introdurre un confronto specifico col suo pensiero quando, per esaurire l’essenza della modernità, era sufficiente un’analisi limitata a Berkeley, Kant, Hegel ?
La necessità che induce Heidegger a confrontarsi con la filosofia cartesiana si rintraccia nel suo progressivo distanziarsi dalle posizioni filosofiche del maestro, Husserl. Ovvero: l’abbandono e la rielaborazione della fenomenologia husserliana e la lenta conquista dell’ontologia fondamentale. Si è costretti, per soddisfare una legittima esigenza di completezza in merito alle questione trattate, a rinviare ad altri luoghi ; tuttavia, non ci si esimerà dal tracciare, seppur brevemente, il rapporto tra Husserl e Heidegger nel periodo precedente alla pubblicazione di Essere e tempo. È in tale periodo, infatti, che Cartesio subirà una vera e propria riabilitazione, arrivando Heidegger a identificarlo come il luogo, nella filosofia occidentale, nel quale avviene un’accelerazione storica colpevole di aver impedito a Husserl la completa attuazione delle potenzialità insite nella sua scoperta.
Jean-Luc Marion richiama l’attenzione su un fatto curioso: nel 1923-24, in contesti diversi, Heidegger e Husserl citavano contemporaneamente Cartesio, esprimendone pareri opposti. Se il primo ne dava una lettura (paradossalmente: fenomenologica) negativa, il secondo spendeva per il francese parole di elogio . Questa coincidenza deve restare tale. Pur tuttavia ci suggerisce che, proprio quando lo “scontro” tra i due tedeschi assumeva radicalità e incisività, entrambi si sentivano chiamati ad “appellarsi” alla figura di Cartesio: l’uno per attaccare le tesi dell’altro.
Se è vero che «la fenomenologia husserliana aveva […] legato il suo destino a quello dell’interpretazione di Descartes» , possiamo dedurre che Heidegger – nell’intento di indagare la radice ontologica della fenomenologia (e per lui significava analizzarne le tre scoperte fondamentali: «in primo luogo l’intenzionalità, poi l’intuizione categoriale e infine il senso autentico dell’apriori»), nel progetto sistematico di «un trapasso dalla prospettiva trascendentale a quella ontologico-ermeneutica» – fosse necessariamente “costretto” ad individuare in Cartesio il punto archimedeo sul quale attuare la presa di distanza. Le strade che Heidegger indicava come percorribili erano due:
Cartesio è fenomenologo perché anticipa Husserl; la fenomenologia husserliana non è pienamente fenomenologica, perché resta prigioniera di ‘deliberazioni’ cartesiane non sottoposte a critica. Heidegger sceglie senza indugi la seconda via.
Se Husserl, quindi, travisa il senso generale della fenomenologia, privilegiandone l’elemento «teoretico-razionale e specialmente teoretico-conoscitivo e [quello costituito dall’idea] di una scientificità assoluta e rigorosa» , lo fa perché «torna ad adagiarsi nella tradizione» . Di quale tradizione si tratta? Appunto,
nel caso di Husserl, si tratta della recezione della tradizione cartesiana e della problematica della ragione che ne deriva.
Mostrato che Husserl, pur nell’intento di una generale epochè trascendentale, non riesce a svincolarsi da concetti di matrice cartesiana, resta da chiarire di cosa fosse stato allora manchevole Cartesio. Quale errore compì, tale che, dopo tre secoli, ricadde su Husserl, facendogli fallire il progetto fenomenologico?
Cartesio voleva trovare un fundamentum absolutus e inconcussum capace di fondare «la filosofia su basi nuove e più sicure» . Pensò di scorgerlo quando, sospinto il mondo nell’abisso del dubbio, si accorse che v’era qualcosa dal quale ogni ente di cui si dubitava doveva dipendere. Cosa trovò Cartesio? Non è possibile dare una risposta univoca, ma è necessario avanzare una distinzione .
Prior fundamentum (absolutus): l’esistere di un qualcosa, la cui esistenza (non meglio specificata) permette il dubitare . Questa esistenza è la mia esistenza (‘ego’ sum). La mia: di colui che dubita.
Alter fundamentum (inconcussum): nel nulla in cui io sono inserito come esistente (come indefinito ego sum), specifico la mia natura di res dubitante, cioè di res pensante. Tuttavia, poiché ciò che devo individuare è una certezza (una verità), abbisogno di una proposizione nella quale siano espresse una causalità ed una consequenzialità: cogito, ergo res cogitans sum .
Heidegger ha chiare queste due distinzioni, e le conseguenze (gli approcci filosofici, di pensiero) da esse derivanti. Non solo. Comprende perfettamente anche l’imporsi di una sola di queste – e, quindi, di una ben determinata problematica filosofica – nella storia della filosofia post Cartesio: la linea-guida che dominerà il pensiero moderno, arrivando ad esercitare in toto la sua influenza anche nella fenomenologia husserliana, è la seconda. L’imporsi con Cartesio della “cura della conoscenza conosciuta” , in cui è privilegiato l’elemento gnoseologico, comporta il ripresentarsi dell’“errore cartesiano”, con diverse forme, in tutta la filosofia successiva. E quest’errore, che per Heidegger è causa del naufragio fenomenologico di Husserl, è la mancata indagine ontologica della res cartesiana e quindi anche della coscienza husserliana:
Due fondamentali lacune possono essere constatate nei riguardi del problema dell’essere [nella scoperta cartesiana della res cogitans e nella ricerca fenomenologia di Husserl]: in primo luogo, si tralascia il problema dell’essere di questo ente specifico [dell’uomo]; in secondo luogo, è tralasciato il problema del senso dell’essere stesso.
Quindi, l’errore di Cartesio, per Heidegger, fu di sottomettere la propria intuizione (l’esistenza di un io) al peso della tradizione (la sostanzialità dell’io) : quello che avrebbe dovuto fare (per giungere veramente alla conquista di un nuovo principio) era interrogarsi sul sum dell’ego, esplicitare l’ontologia di quell’esistenza allora indeterminata, indagandola nel suo essere. Invece, la dipendenza (linguistico-concettuale) dalla Scolastica lo indusse a ritenere l’io ontologicamente uguale a tutti gli altri enti – ridusse l’ego a res, più precisamente: a un ens creatum . Non solo, quindi, l’ontologia cartesiana è manchevole di qualsiasi originalità filosofia, ma anche la determinazione ontica dell’uomo è siffatta che non giunge ad attribuire all’ente-uomo alcun primato rispetto agli enti difformi da esso .
Husserl eredita questi “errori” nel suo pensiero, precludendosi l’approfondimento dell’ originaria (quindi, ontologica) radice della coscienza pura. Infatti, le quattro determinazioni fondamentali che la caratterizzano, per Heidegger, «gli vengono attribuite nella misura in cui questa coscienza come coscienza pura viene posta in determinate angolazioni prospettiche» , cioè «sono tali che non vengono attinte dall’ente stesso» , e, quindi, sono «determinazioni che determinano la regione in quanto regione, ma non riguardano l’essere della coscienza stessa» .
In particolare, l’omissione husserliana di una trattazione ontologica della coscienza porta la fenomenologia dinanzi ad un’aporia difficilmente solvibile, che Heidegger evidenzia quando tratta della «coscienza pura come regione propria dell’essere»: se la coscienza, à la Husserl, è sempre separata, con una frattura assoluta, dalla natura reale «di qualsiasi essere umano fattuale» , ma, allo stesso tempo, in quanto «componente [dell’] unità animale» , è ad essa «unita realmente» , resta da chiedersi: com’è in generale possibile
che la coscienza pura, che deve essere separata per mezzo di una cesura assoluta da ogni trascendenza, si unifichi al tempo stesso con la realtà nell’unità di un uomo reale, che pure a sua volta si presenta come oggetto reale nel mondo? Com’è possibile che i vissuti costituiscano una regione dell’essere assoluta e pura e nello stesso tempo si verifichino nella trascendenza del mondo? Questa è l’impostazione problematica in cui si muove la rilevazione del campo fenomenologico della coscienza pura in Husserl.
È evidente che si ritrova qui espressa, con altri metodi e con altri intenti filosofici, la stessa problematica espressa da Cartesio: la corrispondenza reale dell’ente oggettivo («i corpi che vediamo e tocchiamo») con l’idea dell’ente stesso nella sfera del mio pensiero – ovvero della res cogitans con la res extensa . L’essenziale richiamo fra i due autori è definitivamente chiarito da Heidegger quando dice che
certamente quello che su un livello superiore dell’analisi fenomenologica è stato enucleato come coscienza pura, è il campo che Cartesio ha in mente sotto il titolo di res cogitans, il campo complessivo delle cogitationes, mentre il mondo trascendente, il cui indice esemplare è individuato da Husserl allo stesso modo nello strato fondamentale del mondo materiale delle cose, in Cartesio è caratterizzato come res extensa.
Resta da esplicitare l’esito ultimo a cui Heidegger giunge. La fenomenologia, pur proponendosi di andare “alle cose stesse”, rientra «definitivamente in quella logica […] moderna di soggetto-oggetto» colpevole di non esplicare la relazione originaria tra i due – e quindi «risulta non fenomenologica!» . In conclusione, poiché «il domandare fenomenologico conduce, secondo i suoi tratti più intimi, proprio alla domanda circa l’essere dell’intenzionale e soprattutto dinanzi la domanda circa il senso dell’essere in generale» e poiché tale domanda non è stata ancora affrontata dalla fenomenologia, quello che si dovrà fare, per giungere ad una comprensione autentica tanto dell’essere interrogato quanto dell’essere di colui che interroga, sarà porre nuovamente la domanda sull’essere.
Porre tale domanda, e cercarle una risposta, sarà il compito di Essere e tempo.
2. ‘Essere e tempo’: dialettica della soggettività.
Ma … s’illuminano le lampade, e sul vetro tutt’a un tratto ecco apparire un frammento di viso. […] Se mi avvicino un po’ a quest’io spezzettato d’ombre che mi guarda, l’eclisso, mi abolisco, divento il caos notturno.
Nel § 8 di Essere e tempo Heidegger, tracciando lo “schema dell’opera”, annuncia il contenuto tanto dalla prima, quando dalla seconda parte. Questa non vedrà mai la luce, ma lascia chiari gli intenti: «Una distruzione fenomenologica della storia dell’ontologia sulla scorta del problema della temporalità [Temporalität]» . La seconda sezione di questa seconda parte avrebbe dovuto lasciar spazio ad un dettagliato confronto con Cartesio, con lo scopo di studiare «il fondamento ontologico del sum […] e l’assunzione dell’ontologia medievale nella problematica della res cogitans» . Pur venendo alla luce solo le prime due sezioni della prima parte, nei luoghi dell’opera in cui il confronto con Cartesio è esplicito, lo sforzo ermeneutico heideggeriano si avvale di una particolare “dialettica della soggettività” capace di mantenere, nella penetrazione fenomenologica tanto della soggettività tradizionale quanto del Dasein, la figura di Cartesio in un’ambiguità interpretativa costante.
È subito da chiarire un aspetto: le osservazioni su Cartesio sono, quasi sempre, negative , collocandosi in terreni di confronto caratterizzati da una forte dinamica distruttiva – terreni nei quali Heidegger si sforza di prendere (apertamente) distanza dagli assunti cartesiani.
Tuttavia, al di là degli intenti programmaticamente dichiarati da Heidegger, si tenterà di mostrare come, offuscato dalla maestosa critica distruttiva, in Essere e tempo vi sia anche un tentativo (sempre prudente) di riappropriarsi di alcune energie racchiuse nel pensiero cartesiano, e mai espresse. Alla critica dell’omissione della mondità del mondo da parte di Cartesio, si farà seguire una breve analisi volta e mostrare il “volto di Giano” dell’interpretazione heideggeriana.
2.1. L’omissione cartesiana della mondità del mondo
Se nei Prolegomeni alla storia del concetto di tempo Heidegger aveva già individuato l’aporia insolvibile alla quale giungeva la fenomenologia husserliana accettando l’assoluta separazione tra la coscienza intenzionale e l’oggetto intenzionato, tale che si sarebbe richiesta una “fuoriuscita” da una «“sfera interna” [ad] un’altra, “diversa ed esterna”» , in Essere e tempo dichiara l’insolvibilità di tale rapporto declinandolo nei termini di Esserci e mondo .
Affrontando, nel § 13, il problema della «conoscenza del mondo» Heidegger afferma
che ancor oggi il conoscere è assunto come una “relazione tra soggetto e oggetto”, il che è tanto “vero” quanto vuoto. Soggetto e oggetto non coincidono con Esserci e mondo.
Questa coincidenza è tanto meno opportuna, quanto più la tradizione filosofica si è impegnata a trovare nella relazione conoscitiva un “ponte” che, in diversi modi, fosse in grado di collegare le sponde, altrimenti separate, di soggetto e oggetto.
Tuttavia, lo ripetiamo, l’oscurità caratteristica del rapporto conoscitivo è causata dalla mancata posizione del problema ontologico. Solo ora è possibile capire fino in fondo la portata rivoluzionaria della posizione heideggeriana.
Trattare ontologicamente la relazione problematica, “enigmatica” tra soggetto e oggetto, tra uomo e mondo significa paradossalmente chiarire in primo luogo, e soprattutto, «perché mai il conoscere sia tale da costituire un simile enigma» , ovvero, se nel conoscere il rapporto tra uomo, in termini di Esserci, e mondo sia siffatto da portare inevitabilmente ad aporie di stampo teoreticistico o, piuttosto, non debba risolversi positivamente in una coappartenenza originaria di entrambi.
Infatti, dopo aver chiarito la costituzione fondamentale dell’Esserci come essere-nel-mondo (In-der-Welt-sein) , Heidegger scrive:
Il conoscere è un modo di essere dell’Esserci in quanto essere-nel-mondo e […] ha la sua fondazione ontica in questa costituzione ontologica.
Cadono i “ponti”. La necessità di trovare un legame tra un “dentro” e un “fuori” viene meno, se si comprende che «nel dirigersi verso … e nel cogliere, l’Esserci non esce da una sua sfera interiore, in cui sarebbe dapprima incapsulato» , ma che, in quanto Esser-ci, nella sua apertura «è cooriginariamente svelato rispetto al mondo […]» .
Non si tratta, quindi, nell’atto conoscitivo del mondo, di “uscire”, poiché l’Esserci è «già sempre “fuori” presso l’ente che incontra in un mondo già sempre scoperto» .
Nel § 43, contenuto nel sesto capitolo della prima sezione, Heidegger esplicita ulteriormente la questione, rapportandola al problema della realtà come essere del “mondo esterno” e della conseguente necessità di poterlo dimostrare. Dopo aver ribadito, stravolgendo una frase di Kant, che «“lo scandalo della filosofia” non consiste nel fatto che finora questa dimostrazione non è ancora stata data, ma nel fatto che tali dimostrazioni continuino ad essere richieste e tentate» , Heidegger, con tagliente chiarezza, afferma:
Il problema non è quello di dimostrare che e come sussista un “mondo esterno”, ma di spiegare perché l’Esserci, in quanto essere-nel-mondo, abbia la tendenza a relegare nel nulla il “mondo esterno” mediante una riduzione “gnoseologica”, per doverlo poi dimostrare come sussistente. La causa di tutto ciò sta nella deiezione dell’Esserci e nel conseguente smarrimento della comprensione primaria dell’essere mediante la sua interpretazione come semplice-presenza. All’interno di questo orientamento ontologico, l’impostazione “critica” del problema trova come realtà semplicemente-presente innanzi tutto e unicamente certa solo la mera “interiorità”. Dopo aver infranto il fenomeno originario dell’essere-nel-mondo, si cerca di gettare un ponte fra i suoi tronconi che rimangono, il soggetto isolato e il “mondo”.
Quando Heidegger scrive queste righe si riferisce, come testimoniano le citazioni poco precedenti, a Kant . Tuttavia non pare improbabile, ma, anzi, quasi inevitabile, viste le premesse tratte dai corsi marburghesi precedenti al 1927, estendere queste considerazioni anche alla posizione di Cartesio (come non ricordare, inoltre, che proprio la sesta delle Meditazioni aveva titolo L’esistenza delle cose materiali, e la distinzione reale della mente dal corpo?) .
Non è un caso, quindi, che Cartesio compaia nei §§ 19-21 del terzo capitolo della prima sezione, interamente dedicatigli. Il titolo del punto B del terzo capitolo, in cui sono compresi i suddetti paragrafi, è fin troppo chiaro: «Contrapposizione dell’analisi della mondità all’interpretazione del mondo in Cartesio» . Si tratta, dunque, da parte di Heidegger di opporre all’analisi ontologica del mondo, il cui significato genuino è tratto a partire dall’analitica esistenziale dell’Esserci, un contro esempio «negativo» che possa mostrare «perché l’Esserci, nel modo di essere della conoscenza del mondo, salta onticamente e ontologicamente il fenomeno della mondità» .
Heidegger avanza subito una distinzione. Il termine substantia, pur indicando nel suo significato generale l’«essere di un ente che è in se stesso» , veicola due concetti fondamentali, di natura diversa: da un lato, l’essere di un ente che è in quanto sostanza, ovvero la sostanzialità, dall’altro, l’ente stesso, cioè una determinata sostanza. In seguito, relaziona tale distinzione alla teoria cartesiana della res corporea, chiedendosi se sia possibile determinare, a partire dai testi cartesiani, la sostanzialità della res corporea .
Ogni sostanza possiede degli “attributi”: proprietà specifiche della sostanza stessa capaci di esprimerne «l’essenza della sostanzialità» . L’attributo che esprime la sostanzialità della sostanza corporea è rintracciato da Heidegger nell’extensio: «L’essere della res corporea è l’extensio» .
Individuata qual è la sostanzialità (l’essere) della res corporea, Heidegger prosegue cercando di verificarne la legittimità dei fondamenti ontologici. Sennonché, Heidegger, richiamandosi ai Principi («Ma quando si tratta di sapere se qualcuna di queste sostanze esiste veramente, cioè se essa è attualmente nel mondo, non basta che esita in questo modo perché noi la percepiamo […]. Bisogna, oltre di questo, che essa abbia alcuni attributi») , sottolinea l’ambiguità in cui cade vittima Cartesio, riconoscendo nell’estensione la sostanzialità della sostanza corporea e insieme dichiarando la sostanzialità inaccessibile in se stessa a partire sa se stessa, ma coglibile solo tramite un suo attributo.
Stando così le cose, è evidente per Heidegger che Cartesio confonde il principale attributo della res corporea, ovvero l’extensio , con il suo carattere dell’essere, in un’ambiguità generale che gli impedisce di comprendere l’autentica sostanzialità della sostanza corporea. Heidegger, quindi, può conclude asserendo che
in questa determinazione della sostanza in base a un ente sostanziale sta la ragione del doppio significato del termine. Si mira alla sostanzialità e la si intende come una qualità ontica della sostanza. Poiché l’ontico sottende l’ontologico, l’espressione substantia è intesa ora in senso ontologico, ora in senso ontico, ma per lo più in un senso confusamente ontico-ontologico.
Cartesio omette la trattazione autentica della mondità del mondo, credendo di aver trovato nell’estensione l’essere dell’ente. Ciò che più di ogni cosa lo ostacola nell’elaborare un’ontologia del mondo è, per Heidegger, «il predominio incontrastato dell’ontologia tradizionale» , la quale è soprattutto: «essere = semplice-presenza costante» .
Dunque, di contro ad ogni sottolineatura del carattere matematico del pensiero cartesiano, che pur è presente, Heidegger tuttavia riconosce come
ciò che determina l’ontologia del mondo [come extensio] non è in primo luogo il ricorso a una scienza casualmente privilegiata, la matematica, ma l’assunto ontologico fondamentale dell’essere come semplice-presenza costante.
Di fronte a tutte queste “mancanze” di Cartesio, inaspettatamente Heidegger non indietreggia voltando bruscamente le spalle ad ogni contenuto speculativo presente nei testi cartesiani, ma tenta un recupero in extremis di alcune posizioni filosofiche di fondo.
Due tentativi di recupero, in verità: il primo, più evidente ed esplicito, in relazione alla mondità del mondo e il secondo, estremamente più prudente, nella relazione cogito sum/res cogitans.
2.2. “ … mi sono state rivolte solo due obiezioni degne di nota”
Forse stupisce, considerato il percorso heideggeriano precedente ad Essere e tempo, che Heidegger, nei capitoli dedicati a Cartesio, là dove impiega il maggior numero di energie per realizzare il suo progetto distruttivo, si impegni, seppur timidamente, in una valorizzazione degli sforzi cartesiani di individuare un carattere dell’ente-mondo quanto più vicino a costituirne l’essere.
Heidegger, sorprendentemente, sostiene che nelle Meditazioni Cartesio non fosse solo preoccupato di «porre il problema “dell’io e del mondo” ma pretendesse risolverlo in modo radicale» .
Heidegger individua tale tentativo cartesiano di risolvere radicalmente il problema del rapporto uomo-mondo, senza ridurlo immediatamente ad una relazione gnoseologica tra soggetto conoscente e oggetto conosciuto, nella fondazione da parte della res extensa di tutte «le determinazioni che si presentano come qualità, ma che, “in fondo”, sono modificazioni quantitative dei modi dell’extensio stessa» . Da queste “qualità” derivano poi, secondo Cartesio, delle qualità specifiche , categorizzabili come «predicati di valore non quantificabili, in virtù dei quali le cose, dapprima soltanto materiali, vengono fornite di valore» .
In questa caratterizzazione qualitativa e non quantitativa basata su quell’ente «che fonda nel suo essere ogni altro ente, cioè la natura materiale» , Heidegger vede prender forma la configurazione di quest’ente stesso come «mezzo utilizzabile» .
In chiusa al § 21, Heidegger scrive:
Se tuttavia si ricorda che la spazialità contribuisce evidentemente a costituire l’ente intramondano, diviene alla fine possibile un “salvataggio” dell’analisi cartesiana del “mondo”. Concependo il termini radicali l’extensio come praesuppostium di ogni determinazione della res corporea, Cartesio ha preparato la comprensione di un a priori il cui contenuto sarà fissato più rigorosamente da Kant. Entro certi limiti l’analisi dell’‘extensio’ resta indipendente dalla omissione di un’interpretazione esplicita dell’essere dell’ente stesso. L’assunzione dell’extensio come determinazione fondamentale del “mondo” ha un suo diritto fenomenologico […]
Heidegger, quindi, pur consapevole che le posizioni cartesiane non possono in alcun modo (almeno nei loro punti essenziali) accordarsi al suo progetto filosofico, in quanto a respingersi vicendevolmente sono le stesse fondamenta ontologiche, tenta una valorizzazione proprio di queste posizioni, che pur si impegna a distruggere.
Il luogo in cui Heidegger, però, rischia “il tutto per tutto” è la distinzione tra res cogitans ed ego cogito, nel tentativo di condurle a due diverse modalità d’essere dell’Esserci.
Seguendo l’accurata analisi di Roberto Morani , si nota che, già a partire dagli anni Venti, Heidegger «instaura un duplice movimento di demarcazione e di riappropriazione della soggettività cartesiana, più precisamente di distacco dalla res cogitans e di presa di possesso dell’ego sum, in quanto anticipazione del Dasein» .
Non si può, quindi, guidati da questi suggerimenti interpretativi, restare indifferenti a quanto scritto da Heidegger in chiusura del punto ‘b’ del § 43:
Se il cogito dovesse servire come punto di partenza dell’analitica esistenziale dell’Esserci, esso dovrebbe non solo essere invertito, ma altresì sottoposto ad una nuova verifica ontologico-fenomenologica del suo contenuto.
Due aspetti di questa frase lasciano sconcertati.
Il primo: nello sforzo heideggeriano di formulare un’analitica dell’Esserci, capace di evidenziarne le forme autentiche e quelle deiette, con lo scopo di prendere da queste ultime le distanze – che si traduce nel congedo di una «soggettività autocentrata [in favore di] una figura eterocentrica del soggetto» – Heidegger, dopo aver chiaramente criticato Cartesio per le sue omissioni ontologiche, arriva a ipotizzare che il cogito possa tradursi positivamente nel punto di partenza dell’analitica esistenziale stessa .
Il secondo: non solo il cogito cartesiano viene, per un breve momento, investito di una dignità tale da presentarlo come momento preparatorio dell’analisi sull’Esserci, ma se ne auspica anche una rilettura fenomenologica capace di tradurre le sue potenzialità inespresse e di portare a manifestazione ciò che in esso non si è (ancora) manifestato. Heidegger, quindi, spiega in cosa consisterebbe questa «nuova verifica» e continua scrivendo:
La prima parte diverrebbe allora il sum e precisamente nel senso di: io-sono-in-un-mondo. In quanto tale, io «io sono» nella possibilità di esser-per diversi comportamenti (cogitaziones) quali modi di esser-presso l’ente intramondano.
L’inversione di cogito sum in sum cogito permette a Heidegger di «radicare le cogitationes nella trascendenza del soggetto» , e assumere l’espressione sum cogito in una prospettiva fenomenologica tale da poter portare alla luce ciò che lo stesso Cartesio non aveva colto. Le potenzialità inespresse del cogito sono sì riconosciute da Heidegger che, se possibile, si spinge oltre.
Richiamandosi alla distinzione, esaminata in precedenza, che sussiste nella formulazione cartesiana di un soggetto pensante – tale che si avrebbe, in un primo momento, l’esistenza di un io e, successivamente, la determinazione di questo ego come res cogitans – Heidegger, dopo aver recuperato positivamente la formula sum cogito, cerca di guadagnare, appellandosi al reciproco richiamarsi di existere ed ego («ego sum, ego existo»), un altro fondamentale elemento della costituzione ontologica del Dasein: la Jemeinigkeit. Scrive Morani:
Declinando l’essere alla prima persona, per non confonderlo con una proprietà necessaria e neutra posseduta da una sostanza, Cartesio opera la conversione egologica dell’ontologia e pertanto determina, almeno auroralmente l’essere del sum.
Assunte queste considerazioni, sembrerebbe che Heidegger veda nella soggettività cartesiana, al di là di tutto, un precoce (e positivo) presentarsi di alcune fra le caratteristiche ontologiche più importanti dell’Esserci. Tuttavia, per quanto l’importanza di queste osservazioni sia sempre minata da un’ambiguità di fondo, ci sono almeno due aspetti che non possono non essere rilevati; aspetti che fanno emergere, contro lo sforzo heideggeriano di recupero, la ben più tenace forza con cui Heidegger si distanzia da Cartesio.
La prima questione da rilevare è il riferimento dell’ego sum con la Jemeinigkeit. Se è vero che Heidegger, implicitamente, cerca di avvicinare questi due fenomeni, sottolineandone la somiglianza nel riferimento dell’io all’essere, è anche (e soprattutto) vero che questi si esprimono in modi totalmente diversi nei due autori. Se per Cartesio, il fatto di esistere (che lui fosse esistito) è «impossibile che non sia vero» , per Heidegger l’essere dell’Esserci è, sì, «sempre mio» , ma in una modalità d’essere che l’essenza, ovvero l’esistenza «di questo ente consiste nel suo aver-da-essere» .
L’indubitabilità di esserci (di esistere) riscontrabile in Cartesio, nella quale ego e sum sono legati indissolubilmente da una conoscenza di tipo teoretico-matematica, non è per Heidegger assolutamente accostabile al fenomeno autentico dell’Esserci, il quale «comprende sempre se stesso in base alla sua esistenza, cioè in base a una possibilità che ha di essere o non essere se stesso» .
Il secondo aspetto che induce Heidegger a dissociarsi dalla posizioni cartesiane è rintracciabile nella ricaduta sostanzialistica dell’ego: nel passaggio dall’ego sum alla res cogitans Cartesio smarrisce per sempre tanto il (possibile) positivo riferimento di ego ed esse, quanto la possibilità di fondare un’ontologia svincolata dalle determinazioni imposte dalla Scolastica.
Nel § 6 Heidegger, scrivendo che Cartesio «lascia indeterminato […] il modo di essere della res cogitans» , specifica che «non poteva che omettere il problema dell’essere [poiché] conduce le sue indagini fondamentali nel senso di un’applicazione dell’ontologia medievale» , quindi restando ancorato ad una visione che concepisce «l’ente […] nel suo essere come “presenzialità”» .
Per concludere, si può dire che l’interpretazione heideggeriana di Cartesio si presenta, all’interno di Essere e tempo, duplice: al progetto di «distruzione fenomenologica» dell’ontologia cartesiana , segue un tentativo, seppur debole, di recuperare alcune funzionalità del pensiero cartesiano. È interessante notare il diverso atteggiamento adottato da Heidegger, nei confronti del filosofo francese, negli anni Trenta/Quaranta e quello negli anni marburghesi fino al 1927. Se le riflessioni del “secondo” Heidegger sembravano circoscrivere Cartesio in un ben delineato hic et nunc storico, nel quale non poteva dialogare se non, necessariamente, con Nietzsche, ora Heidegger pare “liberare” Cartesio da qualsivoglia necessità storica, e, tramite una serrato confronto col suo pensiero, porlo in sinergia col Dasein.
Tale accostamento Cartesio-Dasein, infine, sembra essere costitutivamente diverso da quello Cartesio-Nietzsche. Se, in quest’ultimo, Heidegger “paralizza” i due pensatori, facendo convergere i loro rispettivi pensieri in un continuum storico nel quale si svela la necessità del fondamento, ora la soggettività cartesiana e l’analitica dell’Esserci sono complici di una dialettica capace di far “rimbalzare” il passato nel presente, reinvestito, quindi, della sua natura di possibilità .
Luca Bianchin si è laureato all’Università degli Studi di Padova, discutendo con il professor Giovanni Gurisatti una tesi dal titolo Il pudore del pensiero. Una ricostruzione filosofica del percorso intellettuale di Franco Volpi (2014). Nel 2012 pubblica, insieme a un gruppo di studenti e docenti dell’Università di Padova, un volume collettaneo contente gli atti di un seminario svoltosi nel 2011 a Conco (Filosofia&Montagna [a cura di], Montagne mute, discepoli silenziosi. Percorsi di filosofia della montagna, il Poligrafo, Padova, 2012).
Bibliografia
1) Opere di Renato Cartesio citate e di riferimento (in ordine cronologico):
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Meditationes de prima philosophia, (1641), trad. it. di S. Landucci Meditazioni metafisiche, a cura di S. Landucci, Laterza, Roma-Bari, 2009;
Meditationes de prima philosophia. Objectiones cum responsionibus authoris, (1642), trad. it. di A. Tilgher Meditazioni metafisiche. Obbiezioni e risposte, in Opere, 2 voll., 1967, a cura di E. Garin, Laterza, Bari, vol. I, 1967;
Principia philosophiae, (1644), trad. it. di A. Tilgher Principi della filosofia, in Opere, cit., vol. II, 1967, pp. 5-369;
Regulae ad directionem ingenii, (1701), trad. it. di G. Galli Regole per la guida dell’intelligenza, in Opere filosofiche, 4 voll., a cura di E. Garin, Laterza, Roma-Bari, vol. I, 2009, pp. 15-94;
Tutte le lettere. 1619-1650, ed. it. a cura di G. Belgioioso, Bompiani, Bologna, 2009.
2) Opere di Martin Heidegger citate e di riferimento (in ordine cronologico):
Phänomenologische Interpretationen zu Aristoteles. Einführung in die phänomenologische Forschung, (1921-22), trad. it. di M. De Carolis Interpretazioni fenomenologiche di Aristotele. Introduzione alla ricerca fenomenologica, a cura di E. Mazzarella, Guida, Napoli, 1990;
Prolegomena zur Geschichte des Zeitbegriffs, (1925), a cura di R. Cristin e A. Marini Prolegomeni alla storia del concetto di tempo, il Melangolo, Genova, 1999;
Sein und Zeit, (1927), nuova ed. it. di F. Volpi sulla vers. di P. Chiodi, Essere e tempo, Longanesi, Milano, 2010;
Die Grundprobleme der Phänomenologie, (1927), trad. it. di A. Fabris I problemi fondamentali della fenomenologia, a cura di A. Fabris, intr. di C. Angiolini, Il melangolo, Genova, 1988;
Aus der letzten Marburger Vorlesung, (1928), trad. it. di F. Volpi Dall’ultimo corso di lezioni a Marburgo, in Segnavia, a cura di F. Volpi, Adelphi, Milano, 1987, pp. 35-57;
Was ist Metaphysik?, (1929), trad. it. di F. Volpi Che cos’è metafisica?, in Che cos’è metafisica?, a cura di F. Volpi, Adelphi, Milano, 2001, pp. 35-67;
Vom Wesen des Grundes, (1929), trad. it. di F. Volpi Dell’essenza del fondamento, in Segnavia, cit., pp. 79-131;
Die Frage nach dem Ding. Zu Kants Lehre von den transzendentalen Grundsätzen, (1935-1936), trad. it. di V. Vitiello, La questione della cosa. La dottrina kantiana dei principi trascendentali, cura di V. Vitiello, Guida, Napoli, 1989;
Wer ist Nietzsches Zarathustra?, (1953), in Vorträge und Aufsätze, trad. it. di G. Vattimo Chi è lo Zarathustra di Nietzsche?, in Saggi e discorsi, cit., pp. 5-27;
Die Frage nach der Technik, (1953), in Vorträge und Aufsätze, trad. it. di G. Vattimo La questione della tecnica, in Saggi e discorsi, cit., pp. 5-27;
Zur Seinsfrage, (1955), trad. it. di F. Volpi La questione dell’essere, in Oltre la linea, a cura di F.
3) Opere sul rapporto fra Martin Heidegger e Renato Cartesio citate e di riferimento (in ordine alfabetico):
DE BIASE R., L’interpretazione heideggeriana di Descartes. Origini e problemi, Guida, Napoli, 2005;
MARION J.-L., L’‘ego’ cartesiano e le sue interpretazioni fenomenologiche: al di là della rappresentazione, in J.-R Armogathe e G. Belgioioso (a cura di), Descartes metafisico. Interpretazioni del Novecento, Istituto della Enciclopedia Italiana fondata da Giovanni Treccani, Roma, 1994, pp. 179-193;
MESSINESE L., Heidegger e la filosofia dell’epoca moderna, Pontificia Università Lateranense, Roma, 2000;
MORANI R., Soggetto e modernità. Hegel, Nietzsche, Heidegger interpreti di Cartesio, Franco Angeli, Milano, 2007;
ROVATTI P.A., La posta in gioco. Heidegger, Husserl, il soggetto, Bompiani, Milano, 1987;
RICCI. R., Da Heidegger a Marion: riflessioni sulla metafisica cartesiana come onto-teo-logia, in «Discipline filosofiche», I, 1, 1991, pp. 151-173;
ROSSI A., ‘Cogito’ e coscienza. Heidegger interprete di Descartes, in «Giornale di metafisica», XXV, 1, 2003, pp. 47-63;
ZANARDO S., Il legame del dono, Vita e Pensiero, Milano, 2007.
4) Studi su Renato Cartesio citati o di riferimento (in ordine alfabetico):
ALQUIÉ F., Lezioni su Descartes. Scienza e metafisica in Descartes, a cura di T. Cavallo, Edizioni ETS, 2006;
BERTACCO D., Descartes e la questione della tecnica, presentazione di G. Brianese, il Poligrafo, Padova, 2003;
CRAPULLI G., Introduzione a Descartes, Laterza, Roma-Bari, 2005;
GARIN E., La vita e le opere di Cartesio. Notizia biobliografica, in Cartesio. Opere, cit., vol. I, pp. VII-CLXXXVI;
LOJACONO E., Le letture delle Meditazioni di Jean-Luc Marion, in J.-R Armogathe e G. Belgioioso (a cura di) Descartes metafisico, cit., pp. 129-151;
MARION J.-L., Il prisma metafisico di Descartes. Costituzioni e limiti dell’onto-teo-logia nel pensiero cartesiano, trad. it. F. C. Papparo, Guerrini e Associati, Milano, 1998;
VALÉRY P., Il suono della voce umana. Variazioni su Cartesio, a cura di F. C. Papparo, Filema, Roma, 2008.
5) Studi su Martin Heidegger citati o di riferimento (in ordine alfabetico):
MASULLO A., La «cura» in Heidegger e la riforma dell’intenzionalità husserliana, in «Archivio di filosofia», LVII, 1-3, 1989, pp. 377-394;
VITIELLO V., Heidegger: il nulla e la fondazione della storicità. Dalla ‘Überwindung der Metaphysik’ alla ‘Daseinsanalyse’, Argalìa, Urbino, 1976;
VITIELLO V., Utopia del nichilismo. Tra Nietzsche e Heidegger, Guida, Napoli, 1983;
VOLPI F., (a cura di), Guida a Heidegger, Laterza, Roma-Bari, 2008;
VOLPI F., ‘Itinerarium mentis in nihilum’. Heidegger e l’ascesi del pensiero, in «Archivio di filosofia», LVII, 1-3, 1989, pp. 239-264;
VOLPI F., La trasformazione della fenomenologia da Husserl ad Heidegger, in «Teoria», IV, 1, 1984, pp. 125-162.
6) Altre opere citate o di riferimento (in ordine alfabetico):
PLATONE Sofista, intr., trad. it. e note di F. Fronterotta, BUR, Milano, 2008.