Da Marcel Duchamp alla Playboy Art Gallery. Viaggio nelle “Avanguardie espropriate” di Lamberto Pignotti


di Gaia Bobò


Ad una lettura pre-orientata e storicizzata dell’immagine, Lamberto Pignotti ha da sempre preferito contrapporne una che agevolasse la costruzione di percorsi interpretativi fuori dai cardini, guardando all’immagine sempre come soggetto, dunque, e mai come oggetto nel processo di attribuzione di significato.

Ha così instaurato, negli anni, un rapporto tête-à-tête con l’immagine, una parentesi di intimità e libertà, coltivando l’idea che questa non fosse solo tenuta a dire di sé, ma che potesse anche ricondurre ad altro da sé. Non più semplice cappello ad un sapere enciclopedico, l’immagine è intesa come un varco immaginifico sul mondo.

Una metodologia creativa basata sul fraintendimento ha accompagnato l’artista sin dai primi incontri con le immagini della storia dell’arte, quando, appena diciassettenne, iniziò a frequentare la Biblioteca Marucelliana di Firenze. Nei decenni a seguire, questa modalità di lettura lo porterà, assieme ad Eugenio Miccini, alla codificazione del linguaggio della Poesia Visiva, ibrido sinestetico tra parola e immagine che ingloba e capovolge gli elementi della comunicazione nella cultura di massa, riassemblandoli in una critica pronta a colpire la stessa società che li produce.

Nel contesto di questa ricerca semiologica, l’artista ha sempre riconosciuto il ruolo delle immagini della storia dell’arte come essenziale nella costruzione dell’immaginario visivo contemporaneo. Tuttavia, gli parve parimenti chiaro come tale discendenza non si compisse nel pieno rispetto dell’opera, ma sconfinasse piuttosto in un atto di «appropriazione indebita». «L’annessione non dei significati, ma dei significanti» dell’opera d’arte poneva dunque le basi per la degradazione dell’opera stessa, ridotta a mero espediente decorativo.

Nasce così l’indagine confluita ne Le avanguardie espropriate (in “D’Ars”, fasc. n. 83, 84, 85, Milano 1977), una pubblicazione organizzata in tre fascicoli: 1. Dopo una memorabile colazione sullerba; 2. Baffi della Gioconda e Simili e 3. La dimensione onirica e lesprit de géometrie. In una lettura sistematica, l’artista raccoglie una serie di pubblicità degli anni ’60-70 all’interno delle quali individua un debito con le avanguardie artistiche del Novecento e con alcuni maestri ottocenteschi di aria simbolista.

Lungi dal voler ricostruire una precisa genealogia dell’immagine pubblicitaria e tantomeno dal voler offrire una sterile ipotesi di plagio, la «lettura adespota» di Lamberto Pignotti confluisce piuttosto in un’azione di stampo interpretativo in cui viene messo a nudo lo sconcertante statuto delle immagini nella società dei consumi. Questa, priva di spazio per la stratificata complessità dell’opera d’arte, la costringe a piegarsi ad una semplicistica riduzione “in stile”. In altri termini, citando l’artista, «si sta attuando la degradazione della carica ideologico-estetica delle loro poetiche e il loro conseguente adattamento a maniere». 

Con la sua intramontabile attitudine ironica, Lamberto Pignotti procede come un critico d’arte alle prese con una serie di paradossali attribuzioni.

Ecco dunque nella pubblicità dell’Olio Cuore affacciarsi un maldestro richiamo al Doganiere Rousseau, un maestro a cui «si addice, sembra, l’olio di mais dietetico». E ancora, l’Ulisse e Calipso di Arnold Böcklin sembra rivelarsi un modello ideale per una marca di intimo tedesca, mentre non si risparmiano i rimandi al fotodinamismo futurista, inaspettatamente compatibile con una linea di prodotti snellenti alle alghe marine. Sembra poi irreparabile il danno procurato da Marcel Duchamp, apparentemente colpevole di aver ‘sdoganato’ qualsivoglia imbrattamento ai danni della povera Gioconda di Leonardo Da Vinci, ora intenta a gustare un Panforte Margherita, ora protagonista indiscussa della Playboy Art Gallery. 

«Picasso, periodo blu?». In effetti, l’arlecchino firmato Guerlain «sembra provenire da una certa Famiglia di Giocolieri» realizzata nel 1905 dal pittore spagnolo. Infine, una réclame Sisalette sembra guardare con attenzione «alla botanica del surrealismo. Il fiore che spunta dalla moquette discende in linea diretta dalla rosa nata dal parquet di Paul Delvaux».

La transizione dell’immagine da urgenza espressiva a meccanismo del sistema consumistico determinerà parimenti la condizione di predominanza del visuale sul verbale all’interno della logica massmediale. Sarà difatti l’immagine lo strumento privilegiato da quei Persuasori occulti analizzati da Vance Packard, che andrà intrecciandosi sempre più profondamente con i moderni strumenti comunicativi fino ad approdare ai social network. Piattaforme che, come una moderna biblia pauperum, affidano all’immagine la veicolazione di contenuti preconfezionati, resi intellegibili grazie ad un estremo abbassamento del registro comunicativo. Un’operazione dalla parvenza rivoluzionaria ed inclusiva, ma che tuttavia rivela prontamente la sua discendenza dallo strumento, ben più antico, della propaganda visiva.

Parallelamente, sembrano compiersi le condizioni per una definitiva marginalizzazione dell’arte all’interno della società. Un processo causato, si ritiene, dall’incompatibilità tra l’opera d’arte, confacente ad un’educazione alla complessità, e la dilagata tendenza semplificatrice del nostro tempo, scenario di uno sterile individualismo finalizzato al raggiungimento di un benessere fittizio e dal sapore insipido.

Impossibile, a fronte di questi pur brevi e non esaustivi cenni, non riconoscere la rilevanza che ancora oggi assume il pensiero di Lamberto Pignotti. In particolare, risulta oggi significativa la sua interpretazione del concetto di avanguardia intesa come  espressione della potenzialità visionaria dell’artista che, per sua natura, aggira il sistema e lo supera. Così, come in una corsa affannosa e continua, Pignotti ci dice che l’artista, costantemente inseguito, deve andare necessariamente più veloce, «tagliando i ponti ed avvelenando le acque».