La frantumazione del quarto potere (e la genesi del quinto)

Paolo Ercolani

Dovendo scegliere una data con cui indicare simbolicamente il passaggio epocale vissuto dalle democrazie occidentali, quasi unanimemente si finisce col tirare in ballo il 1989.

Non senza valide ragioni, peraltro, trattandosi dell’anno con cui convenzionalmente si fa finire il mondo diviso in due blocchi (capitalismo vs comunismo) e, a seguito della sconfitta del comunismo, si indica l’inizio del mondo unipolare caratterizzato dall’affermazione a livello planetario del capitalismo liberale come paradigma unico di declinazione della cosiddetta globalizzazione.

Nel sottolineare soltanto la centralità dell’anno in cui è caduto il Muro di Berlino, però, si pecca di una visione «politiconcentrica» che non tiene conto del fenomeno più rilevante che ha caratterizzato il passaggio dalla vecchia società industriale alla nuova società «in rete».

Mi riferisco a quella vera e propria «rivoluzione tecnologica» (altrimenti chiamata «rivoluzione informatica», «digitale» o «dell’informazione»), senza la comprensione della quale non si intende appieno «la nuova grande trasformazione» accaduta nel nostro tempo.

Gli studiosi della «società in rete» individuano (anche qui convenzionalmente) nel 1995 l’anno in cui è avvenuto il passaggio epocale di cui stiamo parlando.

Si è scelta tale data poiché il 1995 rappresenta la comparsa del software «Windows 95», che ha reso molto più semplice l’uso dei computer e, conseguentemente, ha dato inizio alla diffusione capillare nelle case di pc che potevano collegarsi alla rete del «world wide web».

L’aspetto curioso consiste nel fatto che, concentrarsi sulla sola data «ideologica» del 1989, dimenticando o non conferendo la giusta importanza anche a quella «tecnologica» del 1995, oltre a impedire una completa comprensione di ciò che è accaduto (e dei profondi mutamenti che ne sono seguiti), è una delle manifestazioni più evidenti di come con l’acqua sporca (gli errori e le nefandezze del comunismo reale) si sia gettato anche il bambino (la grande acquisizione metodologica resa possibile dal «materialismo storico» elaborato da Marx insieme ad Engles).

Anche i più grandi oppositori del filosofo di Treviri (ad esempio Popper) hanno riconosciuto, infatti, la valenza euristica del materialismo storico. Soprattutto nei suoi due capisaldi: 1) Soltanto comprendendo la fase raggiunta dal sistema produttivo (la cosiddetta «struttura» economica) si può intendere anche il sistema ideologico che circonda (e supporta) quel medesimo sistema; 2) Le idee dominanti, come da celebre affermazione dell’ Ideologia tedesca[1] sono in ogni epoca le idee della classe dominante.

Il primo caposaldo è di relativamente facile applicazione alla nostra epoca: quella di un capitalismo che è pervenuto (in un certo qual modo ritornato) alla sua fase «finanziaria», in cui la centralità dei beni materiali e della loro produzione è stata sostituita dalla preminenza dei «servizi» e in generale di beni immateriali (sopra a tutti le informazioni) di cui le nuove tecnologie rappresentano il punto più elevato ed esemplificativo di tale sistema.

Il secondo caposaldo del materialismo storico, invece, pur in connessione inseparabile col primo, ci aiuta a comprendere più a fondo ciò che è accaduto nell’ambito del cosiddetto «quarto potere».

Sì, perché esso ha vissuto una indubitabile frattura: in termini filosofici possiamo dire che all’informazione si è affiancata (con una forza in tutti i sensi molto più «coinvolgente») la comunicazione; mentre in termini socio politici dobbiamo prendere atto che al sistema massmediatico tradizionale si è affiancata, e per molti versi lo sta fagocitando, la Rete.

Essa si configura a tutti gli effetti come «quinto» potere comparso nella nostra epoca, vista la sua ormai irrinunciabile e pervasiva intermediazione rispetto a tutti gli aspetti della vita individuale e sociale.

Non c’è più cosa che l’uomo non faccia per il tramite della Rete: informarsi, conoscere, relazionarsi con gli altri, acquistare, divertirsi etc.. E soprattutto, nel caso di cui stiamo parlando, formarsi «idee» e condividerle, fino a generare (il caso italiano è emblematico) dei movimenti politici «dal basso» che si richiamano alla stessa Rete e ritengono di trovare in essa quei meccanismi in grado di superare la democrazia parlamentare e rappresentativa che abbiamo conosciuto specie nel Novecento.

Ma non solo, perché come tutte le «rivoluzioni» anche quella digitale illude in qualche modo il «popolo» di poter acquisire direttamente (e agevolmente) quelle facoltà che prima erano deputate a figure selezionate (anche) sulla base delle competenze e conoscenze.

Legificare, conoscere, diffondere informazioni, prendere le decisioni più significative per un paese, equivale nell’ambito del quinto potere a «disintermediarsi» da quelle figure che prima erano «deputate» a tali mansioni (scienziati, parlamentari, giornalisti).

Se il quarto potere è ormai vissuto come cassa di risonanza (o notaio ubbidiente) di ciò che i «poteri forti» decidono di far sapere, di affermare a livello di senso comune, orientando l’opinione pubblica verso tendenze che sono quelle comunque utili ai suddetti poteri, il «quinto potere» della Rete viene presentato come il vero paladino della volontà popolare nonché della sua facoltà (e pieno diritto) di affermarsi come potere direttamente esercitato dal popolo e dai suoi «portavoce» (non più rappresentanti, stando alla sedicente definizione ipocrita – e presto smentita dai fatti – che tendono a darsi i movimenti demagogici e populisti).

Così come tutte le rivoluzioni, senza eccezione alcuna, hanno finito (anche) col conferire poteri spropositati a una ristretta élite che si proclamava esecutrice della volontà popolare, anche quella operata dal quinto potere sta prendendo inevitabilmente questa china.

Ma attenzione, e qui torna in gioco il primo aspetto del materialismo storico (l’analisi della struttura economica e produttiva).

Non bisogna dimenticare che questo quinto potere (figlio della rivoluzione tecnologica, del business digitale e della smaterializzazione della produzione economica come dei flussi finanziari) è comunque il prodotto di un altro potere che, ormai a partire dagli anni Settanta del Novecento, si è riconfigurato in termini di sistema valoriale dominante (neo-liberismo) nonché di apparato in grado di dominare e dirigere la politica (capitalismo finanziario).

In tal senso, il quinto potere può essere visto come l’«idea dominante» della classe dominante o, detto in altri termini, il sistema ideologico e sovrastrutturale di un capitalismo che, giunto a una fase ulteriore del suo apparentemente incessante cammino, ha dovuto spogliarsi del «quarto potere» (ormai vetusto e sempre meno rilevante, sia sul piano economico sia su quello della capacità di orientare l’opinione pubblica).

Uno delle questioni fondamentali, però, che è stata segnalata anche negli altri interventi (penso a quello di Luigi Somma), concerne il livello culturale assai scarso che questo quinto potere diffonde rispetto al quarto, contribuendo ad abbassare il discorso pubblico come anche il grado di conoscenza (e competenza) diffuso. Ciò, nello stesso momento in cui illude il popolo (e per molti versi non di sola illusione si tratta) di poter intervenire direttamente sulle questioni più importanti della sfera pubblica malgrado (o forse proprio in virtù di) quella incompetenza e ignavia che inevitabilmente lo connotano.

Insomma, le idee dominanti sono sempre le idee della classe dominante, ma nell’epoca del quinto potere tali idee dominano grazie anche a un apparato ideologico (e tecnologico) che illude il popolo di possedere un serbatoio di idee tutto proprio (la Rete).

Qui avviene il «miracolo» del quinto potere: consentire al sistema più economicamente dogmatico e politicamente demagogico di presentarsi sulla scena pubblica come la più valida alternativa a quella forma di governo ormai superata che sarebbe la democrazia.

Varrebbe la pena riflettere sugli effetti potenzialmente dannosi creati da un capitalismo finanziario che si è riappropriato del tutto della scena politica, sociale e valoriale (ha colonizzato tutte le dimensioni dell’umano[2]), grazie all’indispensabile ausilio fornitogli dal quinto potere. Che riesce a presentare tutto ciò come legittimo grazie alla progressiva mortificazione della democrazia e alla sua sostituzione con quella che appare a tutti gli effetti come una «dementocrazia»…

 

 

[1] «Le idee della classe dominante sono in ogni epoca le idee dominanti; cioè, la classe che è la potenza materiale dominante è in pari tempo la sua potenza spirituale dominante. La classe che dispone dei mezzi della produzione materiale dispone con ciò, in pari tempo, dei mezzi della produzione intellettuale, cosicché ad essa in complesso sono assoggettate le idee di coloro ai quali mancano i mezzi della produzione intellettuale (K. Marx – F. Engels, Werke, Dietz, Berlin, v. 3, p. 46).

[2] Debord definiva «spettacolo» il momento in cui «la merce è assurta all’occupazione totale della vita sociale» (G. Debord, La société du spectacle, Gallimard, Paris 1967, § 2).