Massimo Piermarini, L’eone della violenza. La potenza e la geometria dell’azione in Ernst Jünger (Aracne, 2020)

Recensione di Aldo Meccariello

Ernst Jünger è un personaggio singolare della cultura novecentesca. Saggista, filosofo e scrittore, ha vissuto pericolosamente i momenti più tragici della storia tedesca, si arruolò volontario in fanteria nel corso della prima guerra mondiale, esponente di primo piano della Rivoluzione conservatrice, ufficiale della Wehrmacht a Parigi durante l’occupazione tedesca, poi graziato da Hitler per il suo marginale coinvolgimento nell’attentato del 20 luglio 1944, anno in cui perse la vita il figlio maggiore Ernst “sulle scogliere di marmo” di Carrara durante un’operazione militare. Dopo la guerra nel 1950 si trasferì in un villaggio dell’Alta Svevia, andando a vivere nella foresteria del castello dei von Stauffenberg, dove rimase sino alla morte alla veneranda età di 103 anni. Sulle tracce di Nietzsche, la sua opera si snoda intorno a tre grandi temi del pensiero filosofico-politico: lavoro, guerra e tecnica che si saldano in maniera folgorante nel grande libro del 1932, Der Arbeiter. Herrschaft und Gestalt (trad. it. L’operaio, Guanda, 2000). Il lavoratore è la figura emblematica che pervade ogni aspetto della vita, assurgendo ad essere forma e dominio della dissoluzione della modernità soprattutto dopo il primo conflitto mondiale. L’eone della violenza. La potenza e la geometria dell’azione in Ernst Jünger è il titolo del saggio che Massimo Piermarini dedica al controverso e sfuggente pensatore tedesco. Strutturato in nove capitoli, il volume si concentra in un’analisi concettualmente densa e stratificata dell’opera del 1932 che costituisce una sintesi provocatoria del ‘900 e delle sue crepe. Ogni capitolo porta in luce reperti, radici, atomi di tradizione, tracce genealogiche della filosofia jüngeriana sullo sfondo di «un cortocircuito tra metafisica ed esperienza storica» (p. 9) e al riparo da categorie estranee alla struttura e all’impianto concettuale del testo Der Arbeiter. L’analisi di Piermarini, infatti, comincia a scavare nella tradizione neoplatonica recuperando la prima radice dell’opera che è la Forma (Gestalt) e il suo primato in quanto evoca immediatamente «l’idea di possesso e del mutamento della materia, che viene plasmata e vivificata da essa» (p. 13). In altri termini, la Forma non è un’essenza invariabile alla maniera platonica o la Figura alla maniera hegeliana, ma è il darsi forma, un principio dinamico, attivo, una fonte di energia che rinvia all’arte, alla poesia e più in generale alle grammatiche della creazione artistica. Essa è come l’Uno di Plotino, l’irradiazione di un solco eterno ed ineffabile. Ma l’uomo può “avvicinarsi” alla forma vivendola, cioè incarnandola e in questo modo travalica la propria individualità trasformandosi in Tipo. La Forma è il sigillo rispetto al tipo che è l’impronta. Se la forma nelle sue vestigia mortali è una declinazione dell’eternità, il Tipo deve essere considerato come la guisa temporale della forma, anzi, attualizza il Dominio della Forma, come suggerito dal titolo de L’operaio.

Piermarini procede in maniera sistematica ad indagare il nesso tra la prima parte di Der Arbeiter dedicata alla forma-tipo dell’Operaio che «che scolpisce la nuova epoca caratterizzata dal rovesciamento di tutti valori» (p. 18) e la seconda parte che studia le dinamiche della Forma nel divenire e nei conflitti della storia con riferimento alle esperienze del primo conflitto mondiale. Il nesso è la Tecnica che è il modo più efficace tramite cui la Forma può dominare totalmente. «La Tecnica diventa il simbolo con un suo specifico linguaggio della forma dell’operaio […] Il lavoro, d’altra parte, nel suo svolgimento e in quanto affermazione del singolo, si traduce nel Lavoro totale e si viene progressivamente unificando con il combattimento, assumendo a simbolo il fuoco eracliteo» (p. 21). La riflessione sulla tecnica in relazione al tipo umano dell’operaio occupa una buona parte del testo jüngeriano e si lega al tortuoso concetto di mobilitazione totale, che il titolo di un saggio precedente dell’Autore pubblicato nel 1930. Il fenomeno della mobilitazione totale prende le mosse dall’interpretazione della Prima Guerra Mondiale che è stata una catastrofe peculiare e ha visto l’umano spirito guerriero unirsi ai prodotti della rivoluzione industriale, con le sue immani energie distruttive. Allo stesso tempo, la mobilitazione totale prepara ed incoraggia una nuova epoca. Le nozioni di “dominio” e di “lavoro” rivelano, fa notare Piermarini, il debito teoretico di Jünger nei confronti di Nietzsche, «la stella polare della sua navigazione»: in Der Arbeiter c’è l’orizzonte del dominio universale della volontà di potenza, all’interno della storia pensata in una prospettiva planetaria. La volontà di potenza come criterio di costruzione di una logica dell’azione è il titolo del secondo capitolo che assume il principio della Volontà di potenza come il terreno di nascita e di fondazione del realismo eroico che distrugge l’individuo borghese nel nome dell’ebbrezza del combattente in azione; il vitalismo di Nietzsche è la linfa vitale del sistema metafisico jüngeriano in cui i valori tipicamente guerrieri, aristocratici, tradizionali trovano puntuale conferma L’Operaio invece, consapevole della necessità dei processi in atto, sacrifica eroicamente i propri desideri e, nel Lavoro, considerato alla stregua di una missione eroica e rivoluzionaria, perviene alla coscienza di partecipare al Destino della Forma. La tesi di Piermarini è che la Volontà di potenza nelle opere di Jünger è l’esito di una trasformazione neoplatonizzante tale categoria. «La Volontà di potenza diventa così come una specie di Supermonade che penetra l’edificio del mondo […] Il conflitto sociale e la lotta per il potere sono soltanto il contenuto visibile di questa volontà di onnipotenza illimitata» (p. 29). Anche lo Stato è visto come volontà di potenza o come una sua espressione in cui coesistono Forza e Potere. L’Operaio, uomo d’acciaio, è il vettore di questa Volontà che ha come fine il dominio della Forma del lavoro; dunque, il lavoro totale in ogni settore della produzione e dell’esistenza, persino nella sfera del sentire e del pensare, rivela il destino di un’epoca. «La Forma dell’operaio assume dunque, sulla base della sua struttura ontologica, una portata cosmica: è la sintesi di terra e cielo, di storia ed essere, di tempo e destino, di divenire e di permanere, del dionisiaco e dell’apollineo. L’Operaio è l’abitatore non delle caverne ma della fabbrica del mondo, dello spazio in cui il lavoro incorpora la tecnica» (p. 40).  Der Arbeiter è la forma che si plasma in figura del destino e il lavoro è azione eroica, immunizzato dalla valorizzazione capitalistica; per questo motivo l’opera jüngeriana è permeata dalla profonda consapevolezza di trovarsi alla fine di un’epoca e sulla soglia di tempi nuovi che hanno la forma e la potenza di un «promontorio che annuncia un futuro stato di spiritualizzazione della terra» (p. 69).

I piani di analisi su cui si muove Permarini sono plurali: da un lato l’Operaio nel suo transito verso l’epoca nuova mentre intercetta e combatte il nichilismo, e dall’altro la Tecnica e la mobilitazione totale come radicali alternative alle apocalissi della storia. Apocalissi che Jünger intravide sul fronte della Prima guerra mondiale col suo tragico pathos di sacrificio, destino e morte.

Colpisce la lettura a spirale che Piermarini mette all’opera nel suo libro che ha più di qualche parentela proprio con lo sguardo stereoscopico di Jünger cioè la capacità di fissare organicamente, vale a dire gestalticamente, la totalità che cade sotto l’indagine dell’occhio, attraverso il doppio movimento di avvicinamento e presa di distanza dall’oggetto studiato. Infatti, il libro si apre e si chiude all’insegna del neoplatonismo, il nucleo più affascinate e misterioso dell’opera di Jünger: il lavoro come l’irradiamento (Strahlung) della Forma o in altri termini come l’irradiamento dell’Uno plotiniano e della sua ineffabile luce. Un ottimo saggio che è l’invito per il lettore ad incamminarsi per le ardite vie jüngeriane.