Speaker’s corner

Nasce uno spazio di discussione libera, un angolo da dove ogni autore può far sentire la propria voce su argomenti diversi. La pagina ospiterà anche interventi di autori non associati a Filosofia in Movimento e studiosi a cui il comitato scientifico chiederà un saggio su argomenti di interesse scientifico. Voci libere per favorire il pensiero critico.

Appello di 34 intellettuali per un nuovo corso culturale

La vicenda che vede Berlusconi candidato, finora unico, a prossimo Presidente della Repubblica in Italia fa temere che ragione e sensibilità siano sul punto di estinguersi.

La libertà, la morte, lo Stato. Filosofie e ideologie della questione pandemica

L’assenza, o quantomeno la carenza, in Occidente, di una sinistra sociale e autenticamente internazionalista, in grado di stimolare processi di emancipazione e indirizzare la rabbia dei ceti subalterni verso rivendicazioni di carattere universalistico, anziché verso particolarismi, corporativismi e arroccamenti identitari, ha fatto registrare, sul piano del dibattito, una complessiva scarsità di quegli strumenti analitici legati alla sua tradizione culturale. In luogo del materialismo storico e della dialettica, propensi a vagliare le connessioni esistenti fra interessi e pratiche discorsive, ma anche ad analizzare i rapporti di forza economici e politici su scala planetaria, nonché i diversi conflitti di potere, si è affermata allora una tendenza deteriore e più accessibile a quell’“analfabetismo di ritorno” già denunciato a suo tempo da Tullio De Mauro (e che comporta naturalmente anche un preoccupante analfabetismo politico): il complottismo storico.

Iniziativa degli Accademici “NO ALLA POLIZIA NEI CAMPUS” nelle Università greche

Le università Greche sotto il mirino – la Democrazia in pericolo. La nuova proposta di legge sull’Istruzione Superiore minaccia la Libertà Accademica e introduce lo Stato di Polizia nei campus universitari.

LUKÁCS SU HÖLDERLIN E IL TERMIDORO

di Michael Löwy (traduzione di Antonino Infranca)
Dopo l’inizio degli anni Trenta, Lukács aveva compreso, con grande lucidità, che il romanticismo non era una semplice scuola letteraria ma una protesta culturale contro la civiltà capitalista, in nome dei valori – religiosi, etici, culturali – del passato. Era, allo stesso tempo, convinto che, per i riferimenti al passato, si trattasse di un fenomeno essenzialmente reazionario.
Il termine “anticapitalismo romantico” appare per la prima volta in un articolo di Lukács su Dostoevskij, dove lo scrittore russo è condannato come “reazionario”. Secondo questo articolo, pubblicato a Mosca, l’influenza di Dostoevskij risulta dalla sua capacità di trasformare i problemi dell’opposizione romantica al capitalismo in problemi “spirituali”; a partire da questa «opposizione intellettuale piccolo-borghese anticapitalista romantica (…) si apre una larga strada verso la destra, verso la reazione, oggi verso il fascismo e, al contrario, un sentiero stretto e difficile verso la sinistra, verso la rivoluzione»

Prolegomeni a un capitalismo francescano.

‘Benvenuti nel 2030. Non possiedo nulla, non ho privacy, e la vita non è mai stata migliore.’ Non è una crudele parodia, ma il titolo, anch’esso molto francescano, di un breve testo di Ida Auken (ex ministro per l’ambiente e ora membro del “Partito Social Liberale” danese) apparso l’11 novembre 2016 sul sito del WEF. La Auken, anima vivace della sinistra neo-futurista, ci racconta del “comunismo” che verrà. A breve abiteremo in città modello in cui ‘non possederemo nulla – né casa, né auto, né elettrodomestici’. La nostra proprietà privata sarà dunque realmente abolita. E ne saremo felici, perché nella città dei servizi digitalizzati, affrancata da traffico e smog, ‘avremo liberamente accesso a ogni cosa’. Nessun bisogno di ‘pagare l’affitto’, perché quando saremo fuori a girare in bicicletta o a raccogliere margherite ‘qualcun’altro utilizzerà il nostro spazio’ (comunismo vero!). Lo shopping sarà un lontano ricordo, perché ‘un algoritmo sceglierà le cose da comprare’, visto che ‘conoscerà i miei gusti meglio di me’. Anche il lavoro muterà in qualcosa di piacevole: ‘tempo per pensare, tempo creativo, tempo per la formazione’
Da Fabio Vighi

BENJAMIN, BAUDELAIRE E LA MODERNITÀ. Una voce critica nella folla.

Dietro il celebre énivrez-vous! di Baudelaire («Ubriacatevi! Per non sentire l’orribile fardello del Tempo che vi spezza la schiena […] ubriacatevi sempre! Di vino, di poesia o di virtù, come vi pare»), c’è la liberazione dal tempo del lavoro meccanizzato che nell’intellettuale poeta, godendo questi appunto del privilegio di avvalersi del prodotto del plusvalore liberato (il «tempo libero»), si rovescia nella noia, lo spleen legato al vuoto dell’alienazione, del meccanico ripetersi delle ore (pendant della ripetitività dei gesti lavorativi), la solitudine della folla nella grande città.

Perché la Fiat licenzia MicroMega (la fredda legge della Repubblica della fabbrica)

di Antonio Cecere

Abbiamo appreso dalla stampa che la dirigenza di «GEDI» licenzia la storia e l’esperienza intellettuale della redazione di MicroMega. La notizia arriva fulminea, ma nessuno deve rimanere stupito, perché MicroMega è il baluardo della sinistra illuminista, quella Repubblica delle lettere che sappiamo bene essere incompatibile con la Repubblica della fabbrica.

Homo pandemicus: ideologia COVID e nuove frontiere del consumo.

Di Fabio Vighi
Come scrisse Ralf Dahrendorf nel lontano 1985, ‘la società centrata sul lavoro è morta, ma non sappiamo come seppellirla’ – e in effetti, aggiungiamo noi, il fetore comincia a farsi insopportabile. Rimaniamo cioè definiti dal produttivismo capitalista senza però poter più estrarre nuova ricchezza (plusvalore) da un “lavoro vivo” ormai estromesso da inarrestabili processi di automazione. Ma proprio l’individuo improduttivo e atomizzato della globalizzazione neoliberista, il soggetto “senza valore”, smarrito e infantilizzato, è oggi completamente assuefatto al dominio reale dei rapporti capitalistici. L’indole conformistica della piccola borghesia di un tempo si trasferisce oggi nell’aspirazione collettiva di appartenere a un “ceto mediocre” impegnato solo a consumare e sopravvivere, o a vivere per rimanere in vita. Solo l’essere-per-la-merce (insieme a un avvilente narcisismo fatto di palestra, addominali, tatuaggi, pilates, cardiofitness, ecc.) ci tiene uniti. Mai come ora la teologia feticistica del valore si afferma come ideologia, estendendosi a tutti i settori della vita, inclusi l’informazione, l’istruzione e la medicina.

Sorvegliare e punire

C’è da chiedersi come sia venuto costituendosi un ambiente umano così divaricato tra obbedienti paurosi e trasgressori menefreghisti. Azzardo una spiegazione: la scarsa credibilità delle Istituzioni, in quanto tali, mentre determina la trasgressione facile, all’opposto, induce alla obbedienza non per stima politica, ma per pura paura. Ne restano fuori tutti coloro che, consapevoli della entità della situazione, vorrebbero vivere una condizione di autodeterminazione responsabile senza paura e senza sorveglianza.

Chi conta i numeri che contano?

Nell’articolo “Agire dalla perplessità: tra pratiche di sopravvivenza, impotenza ideologica e dialoghi dalle autonomie”, una riflessione che rimette i binari di queste umorali montagne russe in pari con la potenza liberatrice della ragione scettica, la filosofa e attivista Francesca Gargallo (attraverso le sue conoscenze accademiche e i dati delle sue esperienze nei collettivi femministi di donne indigene e popolari) prova a rispondere alla domanda: «Cosa intendono quando ci dicono che dopo questa crisi nulla sarà più come prima?». Come sempre Gargallo non indica delle soluzioni, ma i luoghi in cui dirigere lo sguardo quando ci sembra di poter interrogare nient’altro che le nostre mura domestiche.

Il virus della Sacra Famiglia

Figlia del retaggio cattolico-ortodosso patriarcale che domina la nostra cultura, la famiglia, più che essere mantenuta e conservata nella propria sacralità, va ripensata come primo momento di un processo di emancipazione e di realizzazione di sé, affinché diventi il punto di partenza e non il fine dell’uomo.

Giudicare in tempo di crisi

Nel profluvio di riflessioni sorte a commento degli effetti della pandemia da Covid-19, il richiamo al concetto e allo stato di crisi è uno dei più diffusi. È un richiamo da prendere sul serio se si vuole approntare una cornice concettuale di fondo in grado di inquadrare correttamente il rapporto tra le nostre azioni e il contesto generale scaturito dalla pandemia.