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La Conquista de México

di Enrique Dussel

(traduzione di Antonino Infranca)

Mentre il sovranismo dilaga in tutto il mondo eurocentrico, la coscienza critica non eurocentrica si chiede se non sia il caso di ripensare i valori fondamentali del mondo occidentale. L’Occidente è nato con la Conquista dell’America e il saccheggio delle sue ricchezze ed è proprio dall’America latina, precisamente dal Messico, che è arrivata una richiesta impellente: il presidente del Messico, Andrés Manuel López Obrador, rappresentante vivente della storia e della tradizione messicana pre e post-conquista, interpella con una lettera il Re di Spagna, affinché chieda perdono e restituisca, per quanto possibile a cinquecento anni di distanza, dignità a chi è stato trattato brutalmente in nome del Dio dell’amore e della pace.

Di seguito, pubblichiamo l’articolo del filosofo argentino, Enrique Dussel, che raccoglie l’interpellazione delle vittime della Conquista

Nel 1992 si è dibattuto il problema dell’invasione dell’Amerindia (denominata eurocentricamente la Scoperta d’America) a cinquecento anni dal 1492. Sarebbe bene che in questi due anni (2019-2021) ricordassimo la problematica ancora attuale per gli effetti della sanguinosa conquista delle grandi culture della Mesoamerica (l’atzeca, la maya, la zapoteca, l’otomì, ecc.) che fu un genocidio di significato mondiale, perché qui si produsse lo scontro e la dominazione violenta dell’estremo occidente di Eurasia (Spagna) sulle culture dell’estremo oriente dell’Asia (poiché i nostri popoli originari arrivano probabilmente dall’Asia orientale attraverso lo stretto di Bering). Certamente la Spagna (per la sua occupazione militare) e Roma (per l’organizzazione della Cristianità delle Indie occidentali) sono autrici e complici di un genocidio. In effetti, il papa concede ai re di Spagna con la bolla Inter caetera del 3 maggio 1493, le terre appena scoperte con l’obbligo di evangelizzare i loro abitanti, cioè le non ben conosciute Isole del Mare Oceano ad occidente dell’allora scoperto Oceano Atlantico. Qui si trova già il primo motivo che giustifica il chiedere perdono ai popoli originari da parte del Papa. Lo stesso Bartolomé de las Casas si chiedeva con quale diritto il Papato concedeva o donava al re di Spagna terre e popoli dei quali non aveva alcuna conoscenza, possesso o dominio? Bartolomé negava al Papa questo diritto, che inoltre lo rendeva complice del crimine ingiusto e del genocidio della conquista, con i suoi massacri e con l’orribile servitù in cui aveva ridotto i popoli originari del continente. E, riguardo a Spagna e Portogallo, e specialmente ai loro re e al Consejo de Indias, furono responsabili della ferocia, della violenza, dei sanguinosi scontri con armi sconosciute agli indigeni (come cannoni, balestre, cavalli, ecc.) e di ogni tipo di vessazione che si compirono. Valgano alcune citazioni di lettere che ebbi tra le mie mani nell’Archivo de Indias di Siviglia, inviate al re, mostrando la situazione: «Molto argento che di qui si strappa e va a questi Regni, è ottenuto con il sangue degli indios e va avvolto nella loro pelle» (Lettera del vescovo di Mechoacan Don Juan de Medina y Rincon, del 13 ottobre 1583; AGI, Messico, 374). E ancora: «Saranno quattro anni che, per terminare di perdere questa terra, si scoprì una bocca dell’inferno, per la quale entra ciascun anno una gran quantità di gente, che la cupidigia degli spagnoli sacrifica al loro dio, ed è una miniera di argento che si chiama Potosì» (Lettera del vescovo Domingo di Santo Tomás, del 1 luglio 1550; AGI, Charcas 313).

Il minimo che si possa dire a chi ignori la violenza e l’ingiustizia della conquista dell’America latina, e molto specialmente del Messico, è che è ignorante e che, non avendo cattiva coscienza di un vero crimine, si rende oggi complice di quello stesso crimine, benché sia, e in maggior misura, il re di Spagna. Ho letto migliaia di Schede Reali nelle quali i re spagnoli stampavano una grande firma e che dicevano: IO IL RE, senza ulteriore indicazione (si dovrebbe verificare mediante la data del documento il nome del personaggio). I noti storici demografi, Cook-Boràh e Simpson attribuiscono al Messico una popolazione di 11 milioni di abitanti nel 1519, che decrebbe nel 1607 a 2 milioni di indigeni. È chiaro che ci furono malattie contro le quali la popolazione indigena non era protetta, ma i massacri nelle guerre narrate dal Chilan Balam[1], i maltrattamenti nelle miniere, l’assegnazione degli indios e le fattorie e la produzione di zucchero, e il lavoro domestico delle donne indigene nelle case dei bianchi (che diventavano concubine, obbligandole a lasciare i loro mariti, per essere vessate dagli spagnoli e dai creoli), la trasformazione del territorio agricolo dai più fecondi a deserto sterile (che produsse fame mortale tra tarahumaras)[2] causerà una crisi demografica gigantesca. Tutto questo ci suggerisce che è molto conveniente in Messico cominciare ad avere presente, giorno per giorno, il 500° anniversario dell’orrenda Conquista del Messico. Ci sono date emblematiche: il 18 febbraio di 500 anni fa Hernán Cortés partiva da L’Avana con 600 uomini, 16 cavalli, 10 cannoni, 32 balestre. Il prossimo 22 aprile di 500 anni fa sbarcò a Veracruz; avendo già occupato in Messico, Tenochtitlán il 30 giugno sconfigge Panfilo Narváez[3]. Il prossimo anno, il 30 giugno, si compiranno i 500 anni dell’inizio dell’assedio di Città del Messico con l’aiuto dei tlaxcaltecas e di altri popoli dominati dagli aztechi. 500 anni fa, il 13 agosto del 1521 prenderanno e distruggeranno Tenochtitlán. Devono essere date ricordate e studiate, giorno per giorno, per prendere coscienza che fummo colonia e, dopo, non abbiamo smesso di essere neocolonie, del che non si ha autocoscienza a causa dell’eurocentrismo culturale dei nostri creoli (i messicani bianchi e americani, figli di spagnoli, che dopo rimangono al potere fino ad oggi). Nel futuro, la piena decolonizzazione politica, economica e culturale è necessaria, dopo 500 anni dalla Conquista. Deve essere un proposito della Quarta Trasformazione. È tempo che il re di Spagna e il papa romano chiedano perdono, non solo per mezzo di parole bensì con atti oggettivi, ai popoli originari per il crimine della Conquista! Ma anche che chiedano perdono i creoli messicani, i bianchi e principalmente i razzisti, ai popoli originari realizzando gli Accordi di San Andrés[4] e dando piena autonomia ai nobili e colti eredi delle antiche culture millenarie centroamericane!


[1] Miscellanee maya dei XVII e XVIII secoli dove si narrano gli scontri tra i Maya e i primi spagnoli arrivati in Yucatan.

[2] Comunità indigena del nord del Messico.

[3] Conquistador spagnolo che entrò in conflitto con Cortez.

[4] Accordi tra il governo messicano e l’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale per concedere diritti alle popolazioni indigene (1996).

Agnes Heller, “Il male radicale” (Castelvecchi, 2019)

La questione del Male Radicale rappresenta, ormai, il nodo nevralgico del pensiero post-bellico. Sebbene il problema del male occupi la riflessione filosofica nel suo intero, in quanto parte costitutiva dell’esistenza umana, l’indagine circa la sua radicalità rappresenta la cifra essenziale del pensiero moderno e contemporaneo. Ungherese sopravvissuta alla follia nazista, Agnes Heller nei quattro saggi raccolti in questo volume cerca di sciogliere quei dilemmi che hanno segnato la sua esistenza in maniera intima: come è stato possibile l’Olocausto? Esiste una ratio che permetta di comprendere un evento del genere? Che tipo di mondo permette che simili cose accadano? Cos’è la modernità? È possibile la redenzione?