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Sesso – uno scherzo della natura

di Susi Ferrarello

(California State University – East Bay)

traduzione di Miriam Borgia

tratto dal blog psychologytogay.com

 

“Sesso” – una parola che si trova ovunque e può indicare qualunque cosa.

Pochi giorni fa mi trovavo un bar e ho sentito un ragazzo dire al suo amico “Hmmm…il tuo caffè è proprio sexy”.

Un caffé, sul serio?

Da italiana, rimango sempre colpita dall’uso esteso di questo termine. Ricordo ancora la sensazione di panico che ho provato quando un mio collega l’ha utilizzata durante un mio intervento ad una conferenza: descriveva il mio articolo come “sexy”. Cosa? Ho pensato, arrossendo e sorridendo nervosamente.

Ora lo capisco. Questa parola è oggi sinonimo di tutto ciò che è piccante, intrigante, vitale, dinamico.

 

L’etimologia

Ma se ripercorriamo le sue origini, questa parola così “sexy” è nata in un polveroso ufficio burocratico. “Sex”, dal latino sexus, deriva dal verbo secare, cioè “dividere o tagliare”, ed è correlato a “sezione”, ovvero a ciò che è diviso. Il latino utilizzava questa parola per indicare la qualità dell’essere maschio o femmina per suddividere la popolazione e censirla.

Tuttavia, l’uso contemporaneo di questa parola è piuttosto recente. D. H. Lawrence, nel 1929, fu il primo ad averla utilizzata in tal senso.

1000 modi per dire “ti voglio!”

Quindi, quali sono le parole che i Greci e i Romani utilizzavano per riferirsi all’amore sessuale?

Di certo, i Greci, più che i Romani, non erano a corto di parole quando si trattava di dire “ti amo” o, in questo caso, “ti desidero.”

Il verbo agape indicava un amore spirituale e incondizionato; stergoto indicava l’affetto; phileo, invece, un tipo di amore mentale relativo piuttosto all’amicizia; erao, infine, per l’amore intimo – quel tipo di amore accompagnato dal desiderio passionale.

È così affascinante! Nel mondo greco Eros indica la natura, è quel potere naturale che si impone sull’esistenza umana e ci richiama verso ciò di cui il nostro corpo necessita per stare in armonia con la natura, o meglio per essere un tutt’uno con la Natura.

Un esempio calzante: il satiro

Il satiro, metà umano e metà animale – stando alle descrizioni di Aristofane – era dotato di un’energia sessuale illimitata che cercava di soddisfare in qualunque modo e con “partners”, per così dire, animati e inanimati. Se ti capita di aggirarti in un museo sbadigliando e provato dal dolore alla schiena, osserva meglio i dipinti: sono come una doccia fredda.

Quei vasi erano le riviste per adulti dell’antichità. Piacevano così tanto ai Greci che su uno di questi vasi, custodito a Palermo (V, 651), si può notare un gruppo di satiri che si accoppiano con anfore e persino i vasi stessi. Il filologo Lissarague spiega questa scelta piuttosto discutibile sostenendo che l’anfora del vino era l’accessorio necessario del kōmos (un rituale per bevuta) e del simposio. Vino e sesso sono ciò che rende felice un satiro! Così il famoso detto “Afrodite kai Dionysos met’allelon eisi”, “Afrodite e Dioniso sono insieme”.

Certo, i satiri amavano anche le donne; quest’ultime, però, non ricambiavano affatto (il che spiega le anfore.) Come scriveva MacNally, il rapporto tra satiri e menadi (le seguaci di Dioniso, che erano, per definizione, un po’ eccentriche) iniziò amichevolmente tra il 550 e il 500 a.C., e poi, come molti rapporti amichevoli, “mutò” tra il 500 e il 470, diventando palesemente ostile dopo il 470. Le menadi, secondo Plutarco (Virtuous Women 12.249 sgg.), erano inviolabili – soprattutto, immagino, se si trattava di un branco di mezze capre che si avvicinavano a loro.

Ebbene, nonostante ciò, i satiri non si scoraggiavano: amavano anche gli uomini, naturalmente, e in questo caso avevano più successo. A differenza del resto della società greca, la differenza di età non li preoccupava affatto. Non importava se il ragazzo, l’amato, era più giovane (in effetti, di regola, lo preferivano così). C’è una tazza a Berlino (1964.4) – un’altra “rivista per adulti” – che mostra un gruppo di cinque satiri in piena frenesia erotica.

A loro difesa, i satiri non erano soli in questo desiderio travolgente. C’erano esseri umani che ne condividevano quella fame, e i più noti erano filosofi e poeti: entrambi disprezzavano Eros ma al contempo lo trovavano irresistibile. Nel suo Saggio erotico Pausania chiamava questa raffinata classe di gentiluomini “mostri di appetito”.

Socrate e il sesso

In particolare, la cricca di Socrate e dei suoi seguaci ha avuto molto da dire sull’argomento. Senofonte, il secondo più famoso discepolo di Socrate, racconta una conversazione che il filosofo ebbe con lui su un ragazzo particolarmente sexy. Socrate era irritato con lui perché stava usando la sua bellezza per sfruttare le persone, e per di più il giovane Critobolo, il suo discepolo preferito. Il ragazzo gli aveva infatti rubato un bacio e Socrate ne rimase così “filosoficamente” arrabbiato che lo invitò calorosamente a lasciare la città per un anno. Il suo bacio, borbottò Socrate, era velenoso come il morso di un ragno e ordinò a Senofonte di evitarlo ad ogni costo.

Socrate, d’accordo con Platone e Aristotele, considerava il piacere erotico divertente e necessario, ma occorreva maneggiarlo con cura. Il sesso puro è per le bestie, o per le mezze-bestie – i satiri –. I satiri sono stati inventati proprio per mostrare alla gente quanto fosse strambo un uomo completamente convertito alla natura. La passione bestiale – come scrisse Aristotele, il pensatore super equilibrato che si innamorò perdutamente del virile re Alessandro Magno (Plutarco, Le vite parallele) – è “serva e brutale”.

Il sesso, qualcosa di insidioso

Saffo – poetessa meravigliosa – definiva l’eros una “cosa insidiosa”. Conosceva benissimo l’amore erotico. In Afrodite immortale dalla mente scintillante scriveva:

“Se corre ora, seguirà più tardi, / Se rifiuta i regali, li darà. / Se non ama ora, lo farà presto Amore contro la sua volontà. ”

“Amore contro la sua volontà”. Mi sembra chiaro: ami qualcuno? Aspetta. Nessuno può resistere alla passione di essere amato. L’amore è più forte di qualsiasi cosa. Alcuni secoli dopo in Inferno, V, 103, Dante scriverà “Amor ch’ha nullo amato, amar perdona” aggiungendo, tre righe dopo, “Amor condusse noi ad una morte certa” (v. 106). “L’amore è natura e la natura è morte. Questa è l’equazione. Non puoi resistere alla tua natura, ma in qualche modo devi trovare un modo per farlo.”

La metafora dei due cavalli contenuta nel Fedro di Platone è una sorta di manuale d’istruzione per riuscire in questo tentativo. Per Platone, la nostra vita è sempre guidata da due cavalli, il bianco e nero, corrispondenti alla nostra passione e la nostra ragione. Non possiamo guidare solo uno dei due cavalli, o la nostra traiettoria sarebbe zoppicante. Il nostro compito è trovare il giusto equilibrio, o come diceva Aristotele, “il giusto mezzo”.

“Il desiderio raddoppiato è amore; l’amore raddoppiato è follia”

Come disse Prodico (un sofista del V secolo): “Il desiderio raddoppiato è amore; l’amore raddoppiato è follia”.

L’amore tra animali era ancora considerato “cool”, e l’amore per i vasi era ancora accettabile, ma quando si tratta di donne, attenzione!  Folle, distruttivo, pericoloso. “Il disastro memorabile”, scriveva Esiodo.

Sai qual è stata la punizione degli déi per gli uomini dopo che Prometeo ha dato loro il dono del fuoco, rubato agli immortali? La creazione della donna e dei suoi desideri! Sto ancora ridendo. Penso che questo possa darci un’idea di quanto i Greci fossero terrorizzati dalle donne!

Secondo Esiodo, dopo che Prometeo rubò il fuoco agli déi, Zeus diede inizio alla sua terribile vendetta: la creazione della donna a “somiglianza di una fanciulla timida”. Altri tre déi presero parte al complotto: Atena le insegnò l’arte domestica del ricamo e della tessitura (che noia); Afrodite le diede la persuasione e il potere di suscitare “desiderio crudele e cure divoratrici” (ora inizia a diventare interessante!); alla fine, Hermes, il dio del furto e dell’inganno, le ha dato una “mente da puttana e un carattere ingannevole… bugie e parole astute”.

L’incubo era confezionato. Questa bella creatura spaventosa, questa “trappola pura”, Pandora, fu pensata come l’antenata della “razza delle donne”, la “piaga degli uomini che mangiano il pane” (Esiodo, op. 105-120). Pandora, il prototipo delle donne, è la Natura pura, indomabile e attraente. Esiodo scrive che la sua bellezza sessuale (che ricorda il paradiso perduto) ritorna ogni primavera e che le sue passioni (distruttive come le forze inumane della natura) richiedono la “tecnologia” (sì, questa è la parola che usa!) del matrimonio per controllarla.

Insieme a Pandora c’era Helene, simbolo dell’essenziale ambiguità della donna e della bellezza sessuale divinamente incarnata nella sua protettrice Afrodite, e altrettanto distruttiva quanto la sua. Byron la chiama “l’Eva greca”, la causa della “caduta” della Grecia maschile. Homer la definisce per ben due volte “faccia da stronza”, aggiungendo anche l’onorevole aggettivo di “complotto malvagio”. Come mai? Il suo appetito sessuale non poteva essere facilmente soddisfatto e controllato dagli uomini. A volte succede…

La sua sorellastra, Klytaimestra, era un altro personaggio interessante. Incarnava – come scrive Eschilo (Oresteia) – “l’incessante scempio della passione femminile scatenata che attacca dall’interno degli ordini della famiglia e dello stato”. Era “il leone allevato come un animale domestico in casa… amante dei bambini e gioia per i vecchi”, quando era ancora giovane, ma poi contaminava la casa con il sangue, un “sacerdote della distruzione”, non appena la sua natura selvaggia affiorava.

Ti risparmierò il numero di volte che Homer la chiama “faccia da puttana”. Questa donna, guidata dalla forza più potente della femmina, un’energia sessuale amplificata da un senso di ingiustizia e disonore, ha ucciso la sua rivale Cassandra e il suo sposo Agamenone con un “cuore umano”, scrive Eschilo. Ed è persino più terribile di altre donne perché è una donna-maschio, la combinazione della “mente guidata dalla volontà dell’uomo” e della “passione sessuale della donna” che colludono per portare distruzione e morte.

Forse “la tecnologia del matrimonio” non ha funzionato così bene nel suo caso.

Tuttavia, l’elenco degli esempi spietati del potere erotico femminile è lungo. Mi fermo qui per scoraggiare ulteriori sentimenti misogini.

La parola “sesso” ha percorso una lunga strada, dall’ufficio polveroso dei burocrati assonnati fino al sangue che scorre nelle nostre vene umane.

Riflessioni sul concetto di “cittadinanza” a partire dal progetto – licei di Fim

di Caterina Capomaccio, studentessa del liceo L. da Vinci di Terracina

Il termine cittadinanza indica il rapporto tra un individuo (detto cittadino) e lo Stato, al quale l’ordinamento giuridico ricollega la pienezza dei diritti civili e politici. La cittadinanza, quindi, può essere vista come uno status del cittadino, ma anche come un rapporto giuridico tra cittadino e Stato. Già nell’antica Grecia, venivano riconosciuti ai cittadini un insieme articolato di diritti, tra cui il diritto di proprietà. Anche nel diritto romano lo “status civitatis” distingueva il cittadino romano (civis romanus) dal non cittadino ed era una delle condizioni necessarie per disporre della capacità giuridica. Nel corso della storia il termine cittadinanza ha assunto diversi significati: può essere indicatore del modo in cui sono ripartiti i poteri e le risorse nell’ambito di un ordinamento politico-sociale; può esprimere il rapporto tra individuo e ordine politico, inteso come partecipazione attiva del soggetto alla sfera pubblica oppure intersezione tra individuo e collettività. Nel suo significato giuridico attuale, la parola cittadinanza esprime la molteplicità di diritti e doveri riferibili a un individuo in quanto parte di un determinato sistema politico. In sociologia il concetto assume una valenza più ampia e si riferisce all’appartenenza, alla capacità d’azione e alla realizzazione dell’individuo all’interno di una determinata comunità politica a partire dai propri capitali personali e dai diritti e servizi che gli sono garantiti.

Il concetto di cittadino differisce da quello di suddito che si riferisce a colui che è soggetto alla sovranità di uno Stato. La condizione del suddito implica situazioni giuridiche puramente passive mentre quella del cittadino implica la titolarità di diritti e altre situazioni giuridiche attive. Nel momento in cui lo Stato riconosce al suddito diritti civili e politici, questo diventa un cittadino. Anche in uno Stato che riconosce tali diritti possono tuttavia esserci semplici sudditi, soggetti alla sovranità dello Stato ma privi dei diritti di cittadinanza: questo avveniva, ad esempio, per le popolazioni indigene dei possedimenti di tipo coloniale, anche se, in qualche caso, venivano loro attribuiti alcuni diritti seppur limitati rispetto a quelli riconosciuti ai cittadini veri e propri (la cosiddetta piccola cittadinanza). Anche nei paesi occidentali talvolta, prima di ottenere la cittadinanza vera e propria si transita attraverso situazioni intermedie, come il permesso di soggiorno di breve o lungo periodo, la carta di soggiorno che è una sorta di permesso di soggiorno permanente, talvolta chiamato appunto permesso di soggiorno permanente.

Un rapporto analogo a quello tra persona giuridica e Stato può sussistere anche tra persona fisica e Stato; in tal caso, però, non si parla di cittadinanza ma di nazionalità. Riferito alle persone fisiche, questo stesso termine, anche se talvolta è usato impropriamente come sinonimo di cittadinanza, indica l’appartenenza a una nazione, condizione questa che in alcuni ordinamenti può avere rilevanza giuridica a prescindere dalla cittadinanza.

Come si è detto, il concetto di cittadinanza si ricollega alla titolarità di determinati diritti, detti appunto diritti di cittadinanza, enunciati nelle costituzioni e nelle dichiarazioni dei diritti. Tra questi troviamo: i diritti civili, i diritti politici ed i diritti sociali. Accanto ai diritti, la cittadinanza può comportare doveri come la difesa dello stato, il voto e lo  svolgimento delle funzioni di giudice laico.

Ogni ordinamento stabilisce le regole per l’acquisizione e la perdita della cittadinanza. In molti stati i princìpi al riguardo sono stabiliti a livello costituzionale, in altri invece, tra i quali l’Italia, la disciplina è interamente demandata alla legge ordinaria. La cittadinanza si può acquisire:

  • in virtù dello ius sanguinis (diritto di sangue), per essere nati da un genitore in possesso della cittadinanza.
  • in virtù dello ius soli (diritto del suolo), per essere nati sul territorio dello Stato
  • per aver stipulato un contratto matrimoniale con un cittadino
  • per naturalizzazione, a seguito di un provvedimento della pubblica autorità, subordinatamente alla sussistenza di determinate condizioni o per meriti particolari. In molti ordinamenti, come in Italia, a sottolinearne la solennità, il provvedimento di concessione della cittadinanza è adottato, almeno formalmente, dal capo dello Stato.

La scelta fondamentale che si trovano a fare gli ordinamenti è quella tra ius sanguinis e ius soli, avendo gli altri due istituti una funzione puramente integrativa. Attualmente la maggior parte degli Stati europei adotta lo ius sanguinis, con la rilevante eccezione della Francia, dove vige lo ius soli fin dal 1515.L’adozione dell’una piuttosto che dell’altra opzione ha rilevanti conseguenze negli Stati interessati da forti movimenti migratori. Infatti, lo ius soli determina l’allargamento della cittadinanza ai figli degli immigrati nati sul territorio dello Stato: ciò spiega perché sia stato adottato da paesi (Stati Uniti, Argentina, Brasile, Canada, ecc.) con una forte immigrazione e, al contempo,dotati di un territorio in grado di ospitare una popolazione maggiore di quella residente. Al contrario, lo ius sanguinis tutela i diritti dei discendenti degli emigrati, ed è dunque spesso adottato dai paesi interessati da una forte emigrazione, anche storica (diaspora: Armenia, Irlanda, Italia, Israele), o da ridelimitazioni dei confini (Bulgaria, Croazia, Finlandia, Germania, Grecia, Italia, Polonia, Serbia, Turchia, Ucraina, Ungheria).

Può accadere che una persona acquisisca la cittadinanza dello Stato di origine dei genitori, dove vige lo ius sanguinis, e nel contempo quello dello Stato sul cui territorio è nata, dove invece vige lo ius soli. Queste situazioni di doppia cittadinanza possono causare inconvenienti sicché gli Stati tendono ad adottare norme per prevenirla, anche sulla base di trattati internazionali. Alcuni Stati, peraltro, non ammettono la doppia cittadinanza e stabiliscono che l’acquisizione della cittadinanza presso uno Stato estero faccia automaticamente perdere quella originaria. In Italia invece, con la legge n.91/1992,”Il cittadino italiano che possiede, acquista o riacquista una cittadinanza straniera conserva quella italiana”. La perdita della cittadinanza può essere prevista quindi a seguito di rinuncia, di acquisizione della cittadinanza di altro Stato o di privazione per atto della pubblica autorità in conseguenza di gravissime violazioni. La cittadinanza si può acquisire o perdere anche a seguito di trattati internazionali che trasferiscono una parte del territorio e la popolazione ivi residente da uno Stato all’altro. Inoltre coloro che non possiedono alcuna cittadinanza sono detti apolidi.

In Italia la cittadinanza si acquisisce per nascita solo se almeno uno dei genitori è cittadino italiano (ius sanguinis), senza il divieto di acquisire una doppia cittadinanza. Si acquisisce anche con decreto del Presidente della Repubblica, presentando richiesta a una prefettura. La concessione non è automatica, trattandosi di un provvedimento discrezionale. Ai fini della concessione, vengono favorevolmente valutate una lunga residenza stabile in Italia (almeno 10 anni), la dimostrazione di un reddito superiore al minimo di sussistenza, l’assenza di condanne penali, particolari circostanze di benemerenza (ad esempio il sostegno di associazioni benefiche o di volontariato), la stretta parentela con cittadini italiani. In passato, la cittadinanza italiana si poteva acquisire anche prestando onorevole servizio volontario nelle Forze Armate italiane, circostanza venuta meno con l’abolizione del servizio militare obbligatorio.

Negli ultimi anni, il concetto di cittadinanza si è modificato a causa dei numerosi cambiamenti che coinvolgono la società moderna,in particolare il processo di globalizzazione. Questo sta infatti modificando la realtà dei singoli individui, soprattutto per quanto riguarda i cosiddetti cittadini o migranti transnazionali, che pur risiedendo in un paese diverso intrattengono rapporti molto stretti con il proprio Stato di origine, sia dal punto di vista sociale sia economico, in molti casi anche riuscendo a influenzarne le politiche. Ovviamente il peso di questa influenza dipende dal numero di membri, dalla ricchezza e dalla forza dei rapporti che la comunità riesce a stringere con il proprio paese di origine.

Nell’articolo”jus soli, bene comune”, il prof. Bruno Montanari, accoglie positivamente l’idea di acquisizione di cittadinanza attraverso lo jus soli, ritenendolo un passaggio necessario della società contemporanea. Egli evidenzia anche come questo tema “spaventi” la classe politica che ha preferito metterlo da parte. In un epoca segnata da crisi economiche e flussi migratori, continua Montanari, dove la diversità viene vista come un pericolo si comprende come il concetto di uguaglianza non sia universalizzabile ma è, e deve essere universale, il concetto di esistenza umana. Poiché questa si ha solo attraverso la cittadinanza, lo ius soli diviene necessario (come l’acqua) e nessun essere umano deve esserne privato.