Garantire l’accesso allo studio per tutti, non un reddito “scientifico”

*Perché non convince l’idea di Matteo Cerri e Valter Tucci di un reddito per i 18enni che si iscrivono a corsi di laurea scientifici.

Qualche giorno fa, il ministro dell’istruzione inglese del governo Johnson, Gavin Williamson, ha parlato di alcuni corsi di laurea che sarebbero “dead end”, delle strade senza uscita, perché lascerebbero gli studenti con un pugno di mosche in mano. Anzi no: con “nothing but debt”, con un mucchio di debiti da saldare. L’accusa non è stata circostanziata, ma è probabile che egli si riferisse agli “arts subjects”, visto che il suo ministero aveva, una settimana prima della dichiarazione, tagliato i fondi per essi del 50%. All’altro capo del Commonwealth, il governo australiano ha deciso, sul finire dell’anno scorso, di aumentare fino al 113% le tasse universitarie per i futuri studenti di diritto e humanities, con lo scopo di foraggiare le iscrizioni ai corsi di laurea nelle discipline Stem (Scienza, tecnologia, ingegneria e matematica), per esercitare le quali il paese sarebbe bisognoso di importare manodopera, invece di generarla per conto proprio. Tanto è bastato per far aumentare la temperatura corporea dei cultori degli studia humanitatis, non solo nei paesi del vecchio Impero coloniale, ma anche nella provincia accademica europea, ormai assillata dal pensiero di non essere alla loro altezza, nonostante Dante, Proust e la grandiosa scienza naturale tedesca dell’800.

Quasi negli stessi giorni, il segretario del Pd, Enrico Letta, rilasciava una intervista al settimanale 7 del “Corriere della sera”, nella quale confermava la sua attenzione per i “giovani”, sostanziandola con la proposta di una dote per i diciottenni, capace di dar loro sollievo, nei diversi ambiti dell’esistenza, familiare, lavorativa, accademica. I più hanno discusso del modo attraverso cui Letta intenderebbe finanziarla, e cioè attraverso una imposta di successione sulle grandi fortune, dal milione di euro in su. Per gli egualitari si tratterebbe di un sacrificio che ormai i ricchi, diseguaglianze economiche crescendo, devono mettersi in testa di sopportare; per i disegualitari di una inaccettabile e per di più inefficace interferenza nel sacro recinto della proprietà privata.

Quel che forse è sfuggito è il senso politico della proposta: con essa, e con il proclamato impegno per l’estensione di alcuni diritti civili (il ddl ZAN) e politici (il voto ai sedicenni), si reitera l’obiettivo di arrivare alla maggioranza dei suffragi attraverso una strategia liberal, vale a dire la coalizione fra le minoranze (i giovani, la variegata galassia LGBTQ+ etc.), piuttosto che attraverso la via più diretta, vale a dire la ricerca della corrispondenza fra maggioranza politica e maggioranza economica e sociale, che imporrebbe innanzitutto e per lo più una redistribuzione a favore dei lavoratori. Le varie componenti “sinistre” del Pd hanno dimenticato di registrarlo, forse perché, persi nei fumi della sintesi fra socialismo e cristianesimo, non conoscono più l’abc non del comunismo, ma della socialdemocrazia.

Matteo Cerri e Valter Tucci fanno invece una sintesi diversa: quella fra la politica del governo Johnson in Gran Bretagna e la linea del segretario del Pd. Onde è approvata l’idea di imporre un sacrificio economico ai ricchi, ma solo allo scopo di finanziare un “reddito scientifico”, vale a dire “un reddito a quei 18enni che si iscrivono a corsi di laurea scientifici e che proseguano il percorso di studio con profitto”. Stupisce intanto che gli interventi economici a favore degli studenti, classicamente denominati “borse di studio”, vengano ribattezzati “reddito scientifico”. Ve ne sarebbe una ragione: la borsa di studio “è un sostegno allo studio, mentre lo stipendio ripaga lo studente meritevole del lavoro svolto”. Lavoro? Non si vuole scomodare qui Aristotele o Hegel, ma il lavoro è tale da produrre un oggetto, materiale o spirituale, separato o separabile dalla propria persona. Lo studio provvede invece a formare capacità, attitudini, disposizioni, inseparabili dalla propria persona [[1]]. L’economia di tipo moderno, il capitalismo, ne ha costitutivo bisogno, perché nel suo contesto non ci si limita ad acquistare valori d’uso già fatti e formati, potendoli al più solo assemblare; se fosse stato così, non avremmo assistito, negli ultimi tre secoli, a quel gigantesco aumento della produttività del lavoro che ha sconvolto le vecchie “economie di sussistenza”. Se, infatti, la riproduzione delle capacità fosse rimasta nelle mani della famiglia e delle comunità politiche o religiose, come era nei secoli precedenti, esse non sarebbero potute mutare in corrispondenza dell’applicazione della scienza e della tecnica alla sfera della produzione. L’istituzione moderna di un apparato scolastico funzionalmente differenziato è legata, insomma, alla formazione di una “persona”, libera ed eguale, la quale si affaccia sul “mercato del lavoro” potendo offrire generali capacità e non abitudini produttive trasmesse dalle generazioni passate.

Più in breve: Cerri e Tucci non colgono la differenza fra i requisiti funzionali del capitalismo e quelli dei sistemi economici e sociali che lo hanno preceduto. Per questo, ritengono che l’intento del “reddito scientifico” non sia nuovo e permetta di ricalcare “la modalità di vita dei giovani durante il medioevo. In quegli anni infatti era usanza che già a 10 anni si uscisse di casa per «andare a servizio» presso un’altra famiglia. Qui si attendeva alla vita domestica in cambio di vitto, alloggio ed un piccolo salario. Dopo alcuni anni, il giovane avrebbe cercato una bottega dove fare l’apprendista, ricevendo un piccolo stipendio in cambio della formazione. Poi, una volta ‘uomo’, forte di un piccolo capitale accumulato negli anni, e sufficiente per aprire una propria bottega e formare una famiglia, il giovane sarebbe stato pronto per la vita adulta ma anche per contribuire egli stesso alla società. Ed il ciclo della vita e della società sarebbe così ripartito”. Che fosse un ciclo che non prevedesse la libertà del lavoratore, congiunta alla formazione di un vasto patrimonio di conoscenza tecniche e scientifiche in perpetua trasformazione, e cioè che si trattasse di una società servile afflitta dalla stagnazione economica e culturale sembra non impensierire Cerri e Tucci, pur essendo scienziati impegnati nel costante rinnovamento delle applicazioni della scienza e della tecnica alla produzione.

L’indebita confusione fra la figura dello studente e quella del lavoratore, sottesa alla categoria di “reddito scientifico”, potrebbe apparire come un fatto nominalistico. Ma ha un sicuro scopo politico: promuovere la graduazione fra i corsi di laurea a seconda della percezione che essi siano più o meno “lavoro”. Il cuore della proposta di Cerri e Tucci sta, infatti, nello spostamento di un ampio contingente di risorse destinate alla formazione universitaria qua talis verso gli iscritti ai corsi di laurea “scientifici”. Ma in un paese come l’Italia, dove la quantità, oltre che la corposità, delle borse di studio è ancora fortemente insufficiente – lo rivela la figura, non ancora scomparsa al Sud, degli idonei alle borse di studio non beneficiari – e la residenzialità studentesca ancora scandalosamente ridotta (e oggi peraltro preda di operazioni immobiliari dal dubbio carattere), proporre un tale smistamento delle risorse significherebbe semplicemente proibire alla totalità degli studenti di scegliere come e in quale disciplina proseguire la propria formazione.

Se le condizioni di base per garantire tali scelte fossero assicurate, si potrebbe contemplare un’ulteriore incentivazione per quei corsi di laurea, oggi particolarmente importanti per lo sviluppo delle forze produttive, la cui attrattività risulta ancora troppo bassa. In assenza di tali condizioni, ogni altro intervento creerebbe un privilegio, alimentato da un’ingenua, e anche un po’ rozza, forma di autoritarismo culturale. Il modello di università democratica, e cioè sia di massa sia di qualità, che è disegnato dall’art. 34 della nostra Costituzione (“La scuola è aperta a tutti… I capaci e meritevoli, anche se privi di mezzi, hanno diritto di raggiungere i gradi più alti degli studi”), ne uscirebbe distrutto.

 

*Articolo riprodotto con la gentile concessione di MicroMega. Originale al link: https://www.micromega.net/reddito-scientifico-perche-no/amp/

 

NOTA

[1] L’apprendimento rende infatti provvisori e revocabili tutti i “prodotti” del lavoro mentale e manuale, che così non acquistano mai una reale separatezza (per cui gli studenti giocano, fanno esercizi, fanno prove in laboratorio etc.). All’università, il glorioso istituto italiano della “tesi di laurea” è considerabile come il primo vero oggetto prodotto dal lavoro spirituale degli studenti, ideale transizione al mondo extra-accademico.

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