La periferia come centro, la parola come arma. Il Colonialismo neoliberale di José Guadalupe Gandarilla Salgado

di Paulina Aroch Fugellie

(traduzione di Antonino Infranca)

Gandarilla Salgado, nel suo recente libro sul Colonialismo neoliberale, mette in risalto, con ampiezza di riferimenti e profondità di osservazione, in argomenti che vanno dall’economia politica, alla storia e alla sociologia, fino all’ontologia, alla fenomenologia, alla psicologia, gli studi culturali, la teoria decoloniale e la teoria critica. Nonostante il grande rigore accademico, la lettura fluisce in maniera facile e accessibile, catturando l’attenzione in maniera sostenuta. L’autore ha sviluppato un suo progetto, “Il programma di ricerca su modernità/colonialità come eredità del pensiero latinoamericano e rilievo di senso nella Teoria critica”, tra gli anni 2014 e 2016. L’analisi di Gandarilla ha una coerenza impeccabile e di molto singolare per il momento attuale.

La sua importanza consiste, soprattutto nel tipo di domande che pone e che rare volte si fanno nell’ambito accademico contemporaneo, data la prevalenza di un certo automatismo disciplinare. Oggi si parla molto di interdisciplinarietà e transdisciplinarietà, ma spesso queste pratiche sono addomesticate e svincolate dalla prassi trasformatrice del pensiero e del mondo che questo articola. Ma non è il caso di Gandarilla Salgado.

Benché le discussioni sull’argomento “colonialismo neoliberale” siano vaste, mi concentrerò su quattro punti.

 

 

  1. Marxismo dal Sud, un universalismo posto

 

Gandarilla traccia un panorama della storia del marxismo e della sua cartografia bipolare, con il marxismo freddo o caldo, occidentale o sovietico, ecc. Mediante il gesto dialettico di disvelare l’artificialità di queste divisioni, l’autore rende operativo il dialogo tra elementi opposti. Senza dimenticare che il colonialismo neoliberale opera mediante gerarchie radicali – e anche brutali – tra ricchi e poveri, bianchi e negri, uomini e donne, l’approssimazione di Gandarilla risponde al potere multipolare di oggi – che non è meno egemonico – mediante una sorte di tattica di guerriglia teorica, anche molteplice, con attacchi sempre mossi da diversi fronti. Formula l’obiettivo come un tentativo di integrare riferimenti contemporanei e classici per fare transitare un certo pensiero da Marx e dal marxismo, che sia sensibile a formulazioni enunciate da altre tradizioni. Il risultato è un’appropriazione e una rivivificazione del marxismo pertinente e anche necessaria. Gandarilla raggiunge il suo scopo, ponendo la propria enunciazione ed erigendo dal piano più concreto approssimazioni teoriche, critiche e metodologiche di peso. Che si progetti un aggiornamento del marxismo a partire dall’America latina, non vuol dire che si stia costruendo un marxismo di interesse parrocchiale. L’autore si impegna alla costruzione di una teoria di portata universale, elaborata a partire da esperienze significative nel mondo globalizzato: quelle delle ex-colonie europee, neocolonizzate, nella maggior parte dei casi, dagli Stati Uniti.

Allo stesso modo in cui Marx elaborò la sua teoria de Il capitale a partire dalla conoscenza concreta dell’esperienza nelle fabbriche inglesi del diciannovesimo secolo, Colonialismo neoliberale, si aggancia all’esperienza latinoamericana contemporanea e colloca l’inaugurazione del neoliberalismo nel colpo di Stato cileno del 1973 che, con l’appoggio degli Stati Uniti, utilizzò il Cile come laboratorio per istituire le sue politiche economiche a livello globale. Tale inaugurazione mostra la indivisibilità attuale tra colonialismo e neoliberalismo, idea che dà titolo al libro e che nell’ultima sezione trova legami nelle discussioni intorno al problema dell’educazione. Gandarilla analizza non solo la tradizione decoloniale del nostro continente e le diverse scuole critiche europee, ma anche gli studi postcoloniali di Asia e Africa. Nell’intrecciare diversi continenti, diverse discipline e scuole di pensiero, Gandarilla realizza il suo arduo lavoro, indicando che il valore del lavoro accademico risiede nella rilettura pertinente di strumenti di trasformazione sociali preesistenti; non nella semplice valorizzazione del proprio nome come autore individuale.

 

 

  1. Il lavoro dialogico come assunzione

 

L’amplissimo ventaglio di riferimenti che Gandarilla gestisce, mediante una gamma di scuole, sensibilità letterarie e luoghi e tempi di provenienza non sono a detrimento della coerenza del libro, bensì costitutivi di essa. La sua originalità risiede nella sua comprensione di ogni scrittura come un atto di rilettura, come una voce che arriva a installarsi nell’incrocio di una serie di tradizioni preesistenti: ciò che è inedito non sono le fonti, bensì come le pone a discutere tra di loro, in dialogo con contesti storici, geografici o disciplinari inusitati e come le legge, da dove, da quando e per che cosa e per chi; cioè, l’originalità è il risultato della maggiore moltiplicazione e varietà dei vincoli che si stabiliscono ed è una domanda storica alla quale risponde il libro.

Muovendosi dall’economia politica all’analisi estetica, al riferimento letterario, alla teoria psicoanalitica, all’analisi congiunturale, alla teoria critica e agli studi culturali, e dall’America latina all’Europa o all’Africa, o dal macroeconomico ai soggetti, è un vero lavoro che rende questo libro un lavoro nello stretto senso del termine. In questo senso, troviamo in esso qualcosa che raramente accade nella produzione intellettuale contemporanea: congruenza tra forma e fondo, tra il contenuto del discorso e la sua funzione performativa. La metodologia transdiscilpinare in un dialogo Sud-Sud, al di là di una semplice iscrizione latinoamericana, è la maniera in cui Gandarilla dimostra che pensare è un lavoro sempre condiviso e che ogni testo è una forma di col-laborazione.

Oggi, come discute lo stesso Gandarilla, il solipsismo e l’autoreferenzialità sono il segno dei tempi, per cui il dialogo tra posizioni e visioni distanti si dispiega come strumento di trasformazione. Questa logica del dialogo rimane fissata, in maniera contundente, nel come Gandarilla trasferisce due frasi centrali una dalla psicoanalisi, da un lato, e l’altra dall’economia politica, dall’altro, in due analogie, nelle quali mantiene la logica grammaticale, strutturale, di Lacan e Marx rispettivamente, per trasformare sia questi corpi teorici (mediante il lavoro della lettura), sia il mondo che esaminiamo attraverso di essi.

Gandarilla cita la frase classica della psicoanalisi lacaniana: «L’inconscio è strutturato come un linguaggio»; ma non lo cita così com’è, bensì con la seguente variazione: «Il colonialismo è strutturato come un linguaggio». Questa frase, all’inizio del capitolo sull’opera di Fanon, agisce come una chiave di entrata per incrociare le analisi intersoggettive e macrostrutturali che concernono il libro di Gandarilla come un tutto. Più che porre in questione e semplicemente rovesciare la gerarchia dell’economia sulla cultura, si pone in questione la presupposizione dicotomica che isola entrambi gli ambiti. Questa tesi ci permette di comprendere che la struttura del colonialismo neoliberale dà forma non solo a istituzioni e interscambi borsistici, indici di popolazione o attacchi militari, bensì che impregna anche la costituzione epistemica, sensibile e ontologica di oggetti e soggetti nel mondo e che questi non sono indipendenti dalle condizioni strutturali. Enfatizza che la liberazione in un ambito è impossibile senza la trasformazione dell’altro.

D’altro lato, la citazione originale che invoca Marx è quella con la quale inizia la sua opera magna, Il capitale. Parafrasandole Gandarilla postula: «L’ingrandimento cognitivo nelle “università”, nelle quali domina il “modo di produzione del capitalismo accademico” si esprime in un “enorme cumulo di valutazioni” e gli “strumenti standardizzati” sono la loro unità elementare». Questa parafrasi permette all’autore di esplorare come, contrariamente al senso comune, l’università contemporanea non è un luogo pulito e neutro, dal quale si osserva il colonialismo neoliberale circondante, bensì parte del meccanismo che lo produce. La critica al sistema non può far finta di non comprendere le condizioni della propria possibilità, degli usi a cui è esposta, dei motivi che la lanciano e per questo che Gandarilla – la cui analisi parte dall’epoca del colonialismo classico – conclude con il nostro presente temporale, geografico, culturale e di classe, per porre in dialogo le sue teorie con la nostra realtà storica immediata, per prendere una distanza critica dal nostro luogo di enunciazione e delle possibilità di prassi che questo abilita o preclude.

 

 

  1. Il colonialismo neoliberale è strutturato come un linguaggio

 

Un tratto caratteristico dell’analisi di Gandarilla è che riesce a superare la dicotomia tra il materiale e il culturale, discussione retorica e circolare che depoliticizza l’analisi e presuppone la disciplina come preesistente alla complessità del mondo analizzato.

La coscienza della sovrapposizione tra soggettività e macrostrutture trova un ancoraggio importante in Fanon. Il colonialismo attraversa sia le forme di produzione globale, sia la maggiore intimità dell’essere: la relazione del soggetto con se stesso. Come indica Gandarilla, nel mondo di Fanon ci troviamo di fronte «all’iscrizione di un codice di significazione tanto potente come il linguaggio e la ferita coloniale», per cui «il problema […] dell’alienazione del soggetto colonizzato è proprio la sua incapacità di formulare un orizzonte simbolico proprio», poiché «il linguaggio, cioè la maniera di simbolizzare il mondo, è già, di per sé, coloniale».

Gandarilla riesce a incorporare profondamente l’impulso e le idee di Fanon, oltre la sua analisi di quell’autore. Una serie di proposizioni si motivano o modulano a partire dalla rilettura di Fanon in altri contesti, per esempio, quando si discute della negazione ontologica dell’altro in Messico nel caso di Ayotzinapa*. Analizza anche la condizione di auto-sfruttamento del precariato contemporaneo e la necessità di strategie diverse a quelle richieste in anni precedenti per affrontare, come soggetti controllati dal colonialismo neoliberale, le nuove strategie dell’egemonia del potere.

La capacità di Gandarilla di estrapolare Fanon, come lo fa con vari altri, si deve alla sua profonda storicizzazione, sia del momento della sua produzione, sia del momento attuale della sua recezione. La contemporaneità esige una forma di combattere il potere che sia costantemente mobile e vigilante sulle possibili contraddizioni, di come possiamo farci gioco del sistema, unendo l’opposto (o anche proponendoci come l’opposto). Mediante Anibal Quijano** – e avvalendosi di metafore di Baudelaire – Gandarilla problematizza la distanza tra ciò che il discorso realmente fa e ciò che il discorso dice che farà oggi. E conclude l’idea: «La grammatica di ciò che ci dice l’università oggi non si può eludere, quindi, la semiotica del capitale […], tuttavia, l’entità universitaria non è sussunta in pieno al codice simbolico del capitale corporativo e al suo vorace comportamento appropriatore e profittevole». Aprendo questa crepa, questa fessura, piccola ma concreta, Gandarilla immagina la possibilità che accediamo a un linguaggio al di là di quello imposto dall’egemonia, un orizzonte simbolico proprio o, almeno, appropriabile.

 

 

  1. Trasformazione

 

Per la teoria critica della Scuola di Francoforte la trasformazione della realtà è la misura più pertinente per valutare cosa è una teoria critica e cosa non lo è; così lo espresse Horkheimer nel suo testo fondativo del 1937. Nell’auto-comprensione di questo libro come un “rilievo di senso nella Teoria Critica”, risulta inevitabile la domanda: possiamo pensare al Colonialismo neoliberale come una teoria critica?

Gandarilla riflette su cosa è un libro. Penserei non tanto a cosa è un libro, ma a cosa fa un libro. Per lui si deve comprendere la trasformazione non solo come cambio a livello direttamente materiale, bensì come un cambio nei nostri modi di immaginare, poiché l’immaginazione è co-costitutiva del mondo. Chiedo se per trasformare la realtà è necessario cambiare le nostre forme di pensare in astratto, le cose che pensiamo, con chi le pensiamo e come le pensiamo. Attraverso una prassi localizzata, nel nostro contesto: l’università, ripensato da dove, cosa e perché condividiamo il nostro pensare.

Per cominciare a tracciare risposte, occorre ricordare che Gandarilla apre la possibilità di un’università transmoderna, partendo dal significato dusseliano del termine. Avendo rivelato le strategie, mediante le quali il colonialismo neoliberale cattura affettività, intelligenze e forza/lavoro, Gandarilla offre un potenziale diverso, chiarendo che il prefisso “trans” in “università transmoderna” si deve intendere nel senso del nostro potenziale come soggetti trasformatori. Mentre all’inizio Gandarilla riferisce la sua volontà – iscritta collettivamente – a costruire una teoria critica propria del nostro tempo e luogo, nel corso del suo pensiero articola diverse volontà per forgiare nuove forme di ideare il mondo, precondizione necessaria per il suo cambio materiale.

La teoria critica oggi affronta una totalità che, come suggerisce lo stesso Gandarilla, possibilmente neanche la stessa Scuola di Francoforte di fronte al fascismo poteva aver immaginato. Colonialismo neoliberale sembra dirigersi a trovare un fuori a questo groviglio, ma, a volte, indica che questo fuori è dentro di noi e dentro il sistema, in una relazionalità diversa, nel soggetto dialogico, collettivo e posto, non fuori dell’individuo, bensì nella sua ricostituzione mediante la socializzazione dei suoi patimenti esistenziali, che sono anche patimenti politici ed economici.

Come ogni discorso, anche questo costruisce soggettività e ci interpella come il tipo di soggetto collettivo che vogliamo seguire lottando per essere con vari autori ed autrici; con i nostri colleghi, con i nostri ascoltatori e lettori. Non perché siano queste collettività ideali o armoniose, bensì proprio per le rotture e disaccordi che ci obbligano a pensare sempre al di là, dalla periferia del capitalismo e della modernità, periferia che è, in realtà, il suo centro e fondamento rinnegato. Questa centralità filosofica ed economica rinnegata della periferia contemporanea è ciò che José Gandarilla Salgado sviluppa nella sua analisi della condizione attuale, che battezza come Colonialismo neoliberale.

 

* Località, in Messico, della strage di 43 studenti compiuta, il 26 settembre 2014, dai narcotrafficanti con la complicità della polizia locale, federale e l’esercito [NdT].

** Anibal Quijano (1928-2018), sociologo peruviano [NdT].

0 commenti

Lascia un Commento

Vuoi partecipare alla discussione?
Sentitevi liberi di contribuire!

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.