PRESENTAZIONE FIM – CAMPANIA

1. Spazio-tempo

Se si vuole penetrare nello spirito del nostro tempo, se si vuole cioè “apprenderlo col pensiero”, occorre anzitutto guardare ai modelli di soggettivazione che vengono incessantemente prodotti sul palcoscenico di ciò che si continua a definire realtà. Ciò che colpisce, anzitutto e perlopiù, è il fatto che il soggetto tardo-moderno (individuale o collettivo che sia) appare auto-centrato – abbiamo a che fare con un ente che alza muri, laddove una volta si aprivano le corsie che rendevano possibile l’attraversamento delle frontiere. Sebbene si viva nel tempo della globalizzazione, dunque, sembra che lo spazio, anziché allargarsi, si sia ridotto fino a coincidere con il proprio spazio.

Il medesimo destino, mi pare di vedere, tocca anche alle categorie della temporalità. Se lo spazio sembra essersi ridotto, infatti, la tripartizione temporale classica, ossia quella che presuppone il passato e il futuro, la memoria e l’attesa, accanto al presente, sembrano anch’esse schiacciarsi su un’istantaneità ipertrofica e claustrofobica. Il risultato è che la memoria è umiliata, il futuro sfuma nelle nebbie dell’inconsistenza, il confronto fra le generazioni è azzerato e la comunicazione fra le culture (quelle che sono sopravvissute) praticamente desertificato, anzi uniformato ad un modello unico di tipo tecno-finanziario. Mai come in quest’epoca storica, si assiste ad uno schiacciamento della dimensione esistenziale su un presente dimentico del passato e di-sperato rispetto al futuro.

Sembra dunque che, in maniera implicita o esplicita, sia vivo e attivo nella nostra mente una sorta di imperativo categorico: “vivi il presente! “. Più che un semplice slogan, tale imperativo è diventato un vero e proprio mantra, quasi una seconda natura, che connota in maniera precisa questo nostro tempo. Pressati da una fretta irrefrenabile, da un futuro pieno di incertezze e da un senso di sradicamento che non ha precedenti nella storia dell’Occidente, vivere la dimensione presente del tempo sembra ormai l’unica possibilità superstite.

Perché questa insistenza sul presente? Che cosa motiva il bisogno – oggi sentito come irresistibile – di contrarre e comprimere la propria vita in un ritaglio temporale che peraltro è (come ricordava già Agostino) il più sfuggente di tutti? Io credo che tale bisogno indica la volontà di lasciare il maggiore spazio possibile allo scatenamento di un desiderio frutto di pulsioni dell’Io del tutto a-razionali. Per desiderio, va inteso qui quell’impulso irresistibile, e quasi esclusivamente indotto in maniera eteronoma, che pretende di consumare, non sempre responsabilmente e tanto meno in modo lungimirante, prodotti che possono servire a mettere ancora altro cibo, sempre più cibo, nella bocca del Moloch capitalistico che oggi governa, senza trovare quasi più opposizione, il sistema-mondo del nostro tempo.

La governance tecno-finanziaria ruota interamente attorno al denaro, si rivolge quasi esclusivamente verso la merce e considera pressoché tutte le cose: natura, uomini e sentimenti, come beni di consumo da bruciare incessantemente.

2. Frammentazione e autoreferenzialità

La chiusura non è certamente una caratteristica esclusiva del nostro tempo. Eppure, c’è qualcosa di inaudito e di particolamente nichilistico in ciò che è successo, e non smette di succedere, a partire dallo svuotamento di senso che ha accompagnato la modernità e, soprattutto, la post-modernità. La caratteristica del potere nel quale siamo collocati in questi primi decenni del ventunesimo secolo, infatti, possiede una morfologia del tutto inconsueta se la confrontiamo con i secoli passati.

Intanto, le forme di dispotismo in esso incapsulato non sono palesi come accadeva un tempo. Il potere stesso è invisibile e policentrico. Non abbiamo a che fare tanto con un contenuto visibile che abbia cioè un’identità chiara e definita, quanto con un oggetto cognitivo irriducibile e metamorfico, capace di mutare aspetto e di catapultarsi verso territori intatti, creando così nuove quanto inaspettate zone di colonizzazione.

In secondo luogo, il potere stesso si è trasferito dalle stanze ovattate delle sedi istituzionali, nei luoghi più diffusi e chiassosi dei mass media globali e richiede costantemente la complicità e l’assenso degli individui. La formazione e il controllo della psico-sfera, infatti, è divenuta la preoccupazione più grande di un potere contemporaneo che è fortissimo nella sua inacciuffabilità ma che, proprio per questo, è del tutto consapevole di essere esposto ad ogni pericolo.

Il pensiero dunque, e l’intero campo della ricerca scientifica e della comunicazione culturale lato sensu, si ritrovano davanti problemi del tutto nuovi che vanno, evidentemente, affrontati in maniera altrettanto nuova.

Il potere dominante individualizza e separa. Ciò accade non soltanto per quanto riguarda gli individui (il conflitto politico deve diventare conflitto privato) ma anche per le attività di ricerca. Le specializzazioni settoriali avanzano senza posa. La frammentazione del sapere mette capo a miriadi di specialisti privi della sia pur minima visione dell’intero. È chiaro che, in un contesto simile, mentre la specializzazione aumenta, avanza anche la barbarie.

 3. Un nuovo approccio

Occorre dunque il recupero di un terreno comune entro cui rinvenire ciò che è universale per l’uomo. Occorre che le scienze ri-prendano a comunicare fra di loro. È necessario che le culture riattivino quelle risorse vitali che certamente non possono trovare una sintesi dialettica sic et simpliciter nella tecno-finanza.

Se questo è lo scenario di fondo (almeno tale a me sembra) che caratterizza il nostro tempo, occorre una reimpostazione dell’idea stessa di scienza e di comunicazione culturale. Che cos’è infatti la ricerca scientifica (in modo particolare quella filosofica) se non una pratica “spirituale”, non la sola, forse la più efficace, capace di creare distanza critica fra la mente e il mondo, fra le dimensioni temporali, fra l’uno e molteplice? Che cosa se non la filosofia, pertanto, può servire per allargare lo spazio della trascendenza, oggi compressa da un’”immanentizzazione forzata”, al fine di far riemergere l’uomo occidentale (ormai globalizzato) da quell’hic et nunc nel quale sembra irrimediabilmente confitto? La filosofia e il pensiero sono le uniche – io credo – a poter far apparire con nettezza “lo sballo”, talvolta privo di memoria e di speranza nel quale viviamo.

La specifica modalità di visualizzare la temporalità, ossia l’insistenza reiterata e ossessiva sul qui ed ora, dimentica (o finge di farlo) che all’interno del presente medesimo esistono tante realtà: relazioni umane, memorie psichiche e corporee, responsabilità verso il futuro – un magma vitale incandescente che coinvolge l’intera esistenza degli uomini e che non può in alcun modo essere obliterata o elusa senza che si producano danni assai gravi. In altre parole, vivere il presente non può significare l’immersione acritica in un attimo estatico, senza che quest’ultimo riveli il proprio incancellabile impegno verso un radicamento esistenziale che, nulla è più ovvio, non si esaurisce nel/col presente. La responsabilità nei confronti dell’intero dell’uomo, del tempo e dello spazio – di cui fa organicamente parte quella vita politica da cui dipende il senso delle comunità attuali e future – ci dovrebbe spingere a curare la nostra esperienza con uno sguardo ampio, pieno, integrale.

Se questa è la situazione attuale – sotto certi aspetti, appunto, più cupa e oscura di quella classica -, occorre dire che oggi possiamo contare anche su inedite possibilità. L’aver superato le convinzioni assolute dei secoli moderni che veicolavano alcuni falsi miti apre indubbiamente uno scenario nuovo. La più importante e significativa è data dal fatto che siamo ben consapevoli che l’avversario da battere non è soltanto esterno alla soggettività, ma si trova spesso collocato fin nelle pieghe più intime del nostro animo. Come negare infatti che siamo tutti più e meno implicati nel Regno del capitale? Come non ammettere il fascino seduttivo che esso esercita quotidianamente su di noi e che costituisce quasi esclusivamente la sua forza? Ecco, la possibilità stessa di porre tali questioni, io la considererei un passo avanti nella comprensione di noi stessi e delle possibilità sempre aperte di cambiare il mondo attraverso la filosofia. È soltanto la filosofia, infatti, ciò che consente di aprire il nostro animo, di far discendere in esso – o magari richiamare – quei venticinque secoli di storia sedimentati nel suo linguaggio, allo scopo di forzare la cappa di conformismo a cui il mondo contemporaneo ci sovraespone costantemente. Non si tratta di negare la scienza o il capitale: è del tutto evidente che essi facciano parte d’una esistenza storica immanente all’umano – ciò che costituisce peraltro una tappa decisiva del suo sviluppo. Si tratta soltanto di creare le condizioni per un nuovo abitare, attraverso la costituzione di un inedito equilibrio fra noi stessi e il mondo nel quale l’uomo appaia come sovrano del suo esistere e non semplicemente come una componente epifenomenica.

4. Filosofia in movimento – Sezione Campania

All’interno di questo orizzonte generale e sulla base dei presupposti testé sinteticamente enunciati, FIM – SEZIONE CAMPANIA intende porsi su una linea di stretta continuità rispetto all’Associazione Nazionale.

In modo particolare, la nostra sezione vorrebbe intrecciare una rete di relazioni assai fitta fra la cosiddetta società civile e la ricerca scientifica. In realtà, contro ogni forma di autoreferenzialità purtroppo sempre più diffusa, crediamo che nessuno – neppure un filosofo o uno scienziato – possa dirsi titolare di un certo sapere. Non c’è sapere che possa dirsi valido se esso non viene messo in gioco costantemente nel dibattito pubblico e reso protagonista di un’azione comune. Ritengo che i saperi volti ad ossequiare un piano esclusivamente storiografico, ma privi di contributi sul piano concettuale, benché eruditi e talvolta assai raffinati, non portino un reale contributo al pensiero. Nello stesso modo, sono altresì convinto che le filosofie atteggiate in maniera normativa, slegate dalla realtà storica e astratte sul piano dei contenuti, siano senz’altro valide come esercizio dialettico ma non portino particolare alimento all’esperienza concreta e al pensiero. Questo è lo spirito di fondo di Filosofia in movimento – almeno tale a me sembra – e lo stesso spirito viene fatto proprio dalla sezione campana.

In questo senso, allora, sarà nostro obiettivo moltiplicare le occasioni di incontro e di dibattito, anche in luoghi non “istituzionali”, al fine di coinvolgere, socraticamente, le intelligenze di tutti. Del resto, se nel nostro contemporaneo è in atto un conflitto, e sulla base delle cose dette, sembrerebbe proprio di sì, dobbiamo presupporre che ciascuno di noi abbia il proprio, specifico modo di affrontarlo. In questo senso, il contributo degli insigni storici, giuristi e filosofi che compongono il nostro gruppo dovrebbe servire “soltanto” a mettere a disposizione i metodi e i rigorosi plessi categoriali frutto di anni di lavoro, nella convinzione, tuttavia, che questi assumeranno il loro senso soltanto a ridosso dell’esperienza di tutti e quando saranno capaci di farsi “storia”. Nulla sarebbe più urgente di questo, del resto, in un tempo che mette a durissima prova la capacità di tenuta della democrazia – crisi ormai evidente (per fare soltanto qualche esempio) della rappresentanza politica e della mediazione istituzionale, smantellamento del welfare, fenomeni di spoliticizzazione di massa radicale e flussi migratori ormai esodali la cui gestione appare priva della sia pur minima strategia geopolitica.

Se la resistenza al dolore e al pericolo e l’elaborazione di strategie sono la caratteristica di ogni conflitto (anche di quelli che, come oggi avviene, si combattono sotto l’egida della libertà), FIM – CAMPANIA si ripromette, nonostante l’ambizione sia grande e le nostre risorse limitate, di accettare la sfida, consapevole della forza del confronto fra uomini e di quella che si connette allo scambio delle idee.

Una volta erano i poeti a produrre nuovo linguaggio: oggi, nel migliore dei casi a farlo sono i giornalisti. Sarebbe il caso che il pensiero e il confronto pubblico, invece, possano vedersi presto restituire l’antico blasone. Occorre comprendere che la filosofia è un bene comune dell’umanità e che essa è soprattutto, oltre che ricerca di senso e giustificazione del proprio esistere, relazione etica fra gli uomini e pensiero vivente.

Antonio Martone

Università degli Studi di Salerno (Gennaio 2019)