Pagine lukàcsiane
A cura di Antonino Infranca
György Lukács è stato considerato, fino al crollo del socialismo realizzato, uno dei maggiori filosofi del Novecento. Poi su di lui è calato il silenzio. Il poco interesse per le sue opere è diretto al suo periodo giovanile, soprattutto perché è precedente alla sua adesione al partito comunista ungherese, senza tener conto che anche in quelle opere giovanili è fortissima la tensione etico-politica. Eppure fino a tutti gli anni Ottanta la sua opera Storia e coscienza di classe era considerata una delle maggiori del Novecento, mentre l’altra sua grande opera marxista, l’Ontologia dell’essere sociale, era quasi totalmente sconosciuta, soprattutto a causa del boicottaggio a cui l’avevano sottoposta i suoi stessi allievi della Scuola di Budapest. L’accusa che si faceva a Lukács era quella di essere stato uno dei sostenitori dello stalinismo, ma in realtà fu una delle vittime dello stalinismo: espulso dal partito comunista ungherese, arrestato dalla polizia stalinista, deportato in Romania dopo la partecipazione alla Rivoluzione Ungherese del 1956. Fu sempre un critico radicale del regime di Kádár, dopo il 1957. Alcune delle sue opere marxiste, come quelle di Critica letterarie o Il giovane Hegel, La distruzione della ragione, l’Estetica hanno rappresentato dei punti fermi per lo sviluppo del marxismo antidogmatico. È il momento di tornare a rileggere, senza pregiudizi ideologici, le sue opere per scoprirne il valore di critica dell’esistente che Lukács non smise mai di sviluppare.