Antonio Cecere, “Lessico Resistente. La poesia visiva e la critica alla società dell’immagine. In un dialogo con Lamberto Pignotti”, Kappabit 2019.
Nel suo ultimo scritto Lessico Resistente (Edizioni Kappabit 2019), Antonio Cecere analizza lo status del pensiero critico nella società dell’immagine, appellandosi ai principali movimenti di avanguardia intellettuale che hanno saggiato l’estensione della tematica. L’originale contributo identifica la relazione tra parola e immagine come problematica fondante, strutturando una critica attorno al ruolo del linguaggio pubblicitario a partire dall’esperienza della Poesia Visiva, in un dialogo con l’artista Lamberto Pignotti.
Cercheremmo invano, sfogliando le pagine del libro Lessico Resistente di Antonio Cecere, di rintracciarvi un’ossatura meramente informativa, unicamente votata ad una scientificità compilativa. La struttura del testo, al contrario, ha il suo centro nevralgico nell’elaborazione di stimoli eterogenei, nel ragionamento, nell’ostensione prevalente di idee e di modelli possibili. In effetti, è proprio dall’analisi del modello testuale adottato dall’autore che occorre partire per rintracciare i caratteri essenziali dello scritto. Un modello dialogico, interdisciplinare ed eclettico, che risente senza mistero dell’influenza del pensiero illuminista di cui l’autore accoglie ideali, utopie, metodologie. “Non si tratta di una riedizione pura e semplice della ben nota «dialettica dell’Illuminismo» (Adorno-Horkheimer) del secolo scorso” chiosa Paolo Quintili nella prefazione del testo, e prosegue: “Il proposito è dichiaratamente critico: la società dell’immagine o, a ben vedere, delle immagini al plurale è il bersaglio dell’analisi”.
Nel primo capitolo del libro, La crisi della capacità di pensare autonomamente, l’autore registra un’istantanea dello stato dell’arte del pensiero critico nel nostro tempo, mettendo in campo minacce ed opportunità legate all’egemonia della rete. Distaccandosi da un’ottica pessimistica, Cecere riconosce il potenziale positivo del web per il consolidamento del pensiero critico, non fosse altro per la quantità di informazioni rese reperibili grazie ad esso. Lontano da un’ottica di demonizzazione dello strumento, l’autore palesa sin dalle prime pagine del testo una delle sue posizioni centrali: non sono i nuovi media in sé a costituire la minaccia reale per il progredire del pensiero critico, ma il linguaggio che si è sviluppato in seno agli stessi, viziato dalla sovrabbondanza di contenuti e dalla rapidità della loro diffusione. Ma occorre procedere per gradi. L’autore rivendica in questa fase la centralità del contributo illuminista rispetto alla tematica della costruzione di un senso critico collettivo: si tratta infatti della prima vera avanguardia che proponga un modello culturale che guardi al cittadino come unità critica autonoma. Centrali, in questo senso, le posizioni dell’enciclopedista Nicolas de Condorcet nel ribadire l’importanza dell’istruzione pubblica come strumento di emancipazione culturale, auspicando un sistema capace di superare le iniquità e discriminazioni dettate dalla casta, dalla classe e dalla fede religiosa di appartenenza del cittadino. Un intreccio magmatico in cui fervevano desideri di uguaglianza, indipendenza ed emancipazione culturale, che finirono gradualmente per prendere la forma dell’ideale utopico illuminista, ovvero la fiducia nel progresso della società. Ma proprio risalendo alle origini di questo sistema di valori progressista l’autore riesce ad identificarne le criticità, affermando che “la società economicista ha sostituito, al mito illuminista del progresso, lo schema aziendale dello sviluppo”. Ecco uno degli assi attorno ai quali si svilupperà la trattazione. L’autore incarna l’utopia illuminista contrapponendo alla frenesia produttiva imposta della “società-fabbrica” i tempi lenti della ricerca e dell’apprendimento, un raccoglimento che impone il ben noto, benefico dubbio. La scelta, che si vedrà esplicitata più in seguito, di approcciare questa problematica nell’ottica dei linguaggi artistici si ritiene uno dei punti di forza della trattazione. Antonio Cecere comprende difatti appieno l’urgenza di riportare la visualità al centro del dibattito, promuovendo una rinnovata alfabetizzazione visiva e recuperando il valore della creazione artistica come processo fondativo, spazio del dubbio e della complessità.
Con queste premesse ci addentriamo nel secondo capitolo della trattazione, Genesi ed affermazione del pensiero critico. La questione del linguaggio è ormai dichiarata come il punto focale della trattazione, e viene qui affrontata in termini di genealogia, al fine di indagare non solo la “ricerca sulla genesi della disuguaglianza fra gli uomini” ma anche di ripercorrere uno “studio sulle facoltà dell’intelletto quale elemento portante della natura umana”. L’autore ricerca le origini del rapporto tra verbale e visivo riferendosi alla primigenia nozione di segno, dunque ad una intrinseca unitarietà prelinguistica, mettendo in campo, in quest’ottica, anche la parabola comunicazione orale. Ripercorrendone la storia, l’autore afferma la centralità della parola nei processi di attribuzione di significato. D’altro canto, l’immagine, nella sua diversa parabola, si riconosce altresì come espressione di una concrezione culturale: basti pensare a quanto delle società prelinguistiche ci è potuto giungere, e quanto siamo stati in grado di ricostruire, senza alcuna mediazione verbale, solo grazie al complesso patrimonio artistico provenutoci.
Nel terzo capitolo, La società dell’immagine, l’autore compie un salto temporale volgendo lo sguardo alla nostra condizione contemporanea. Le premesse illuministiche per una società che portasse l’individuo verso l’emancipazione culturale si scontrano con una realtà, quella del secondo dopoguerra, in cui una struttura capitalistica della società pone in essere il nuovo valore assoluto del consumo. Questa impostazione avrà conseguenze immediate sulla natura del linguaggio, permettendo lo stabilizzarsi di un nuovo sistema di comunicazione strutturato attorno ai cosiddetti linguaggi pubblicitari. Un lessico diretto, d’impatto, fatto di motti perentori privi di gradienti e sfumature. In questa cornice, l’immagine conquista sgomitando uno spazio vitale fino ad allora impensabile. Quasi simultaneamente, come è possibile intuire, gli artisti visivi si troveranno a reagire a questa invasione di campo, riflettendo sul nuovo statuto delle immagini, indagando le minacce e le possibilità di questa nuova condizione. L’autore sceglie di mettere in campo l’esperienza della Poesia Visiva, punta di diamante delle Neoavanguardie artistiche italiane degli anni ’60, uno dei primi movimenti ad aver colto appieno questa problematica (forte certamente della precedente esperienza della Pop Art), riuscendo a rovesciare il linguaggio pubblicitario mediante lo strumento poetico. La figura di riferimento è quella dell’artista Lamberto Pignotti, padre della Poesia Visiva (assieme ad Eugenio Miccini), personaggio di spicco della Neoavanguardia italiana, animatore del Gruppo ’70 e del Gruppo ’63. Si legge in un passaggio:
“La riflessione del Gruppo ‘70, che noi rileggeremo attraverso alcuni scritti critici di Lamberto Pignotti, è stata in grado di mettere in evidenza come l’aumento delle immagini, nel mondo dell’informazione, abbia riportato indietro le capacità degli individui di sviluppare un pensiero critico riguardo alla società dei consumi.”
La Poesia Visiva, ibrido sinestetico di parole e immagini, risponde agli atti di forza del linguaggio pubblicitario nutrendosi degli elementi costitutivi dello stesso, scomponendone e riassemblandone le logiche, i contenuti e le forme.
Ci accompagna verso la conclusione del libro l’appendice Arte per Fraintenditori. Un dialogo con Lamberto Pignotti, articolata in forma discorsiva tra i due autori nel tentativo di sistematizzare non solo diversi saperi, ma anche diversi linguaggi. L’impennarsi del ritmo di lettura dato dall’alternanza tra le diverse scritture degli autori determina l’assestarsi di una narrazione estremamente godibile, in linea con quell’approccio eclettico che è il marchio di fabbrica dell’intero elaborato.
L’Appendice si presenta come una costellazione di suggestioni attorno al rapporto tra parola e immagine, un’occasione non solo per riflettere sul ruolo della critica d’arte come possibilità di indagine intersemiotica, ma anche per ripercorrere i motivi chiave della ricerca di Lamberto Pignotti e del Gruppo ’70, come testimonia il riferimento ai concetti di poesia tecnologica e di cultura del neo-ideogramma. Quest’ultima, in particolare, risulta particolarmente rilevante nell’ottica di definire la nuova condizione contemporanea in cui, grazie alle nuove tecnologie, parola e immagine possono riconoscersi in una rinnovata unità, quasi a rivendicare la loro origine comune di “segno”.
L’operazione posta in essere da Cecere suggerisce la necessità di affermare l’importanza della ricerca artistica come strumento critico di approccio alla società, possibilità che discende proprio dalla natura trasversale e poetica dei suoi linguaggi. La Poesia Visiva, giustamente riconosciuta dall’autore come un esempio autorevole, riesce ad aggirare le logiche dei sistemi dominanti incarnando il senso più profondo dell’Avanguardia. Partendo dalla prospettiva del disfunzionale e dell’inutile, l’arte può fornire strumenti di lettura e vie di fuga. La codifica di un lessico sovversivo, resistente, riesce a sconquassare la realtà per come ci appare, scorpora i miti e i feticci del nostro tempo, riesce a dirne la verità, o forse a tentarla.