Giovanni Magrì, “Popolo, nazione ed esclusi”, Castelvecchi, 2020
“Prima gli italiani”, “America first”: sono slogan semplici, di sicura presa, soprattutto ci sembrano nuovi, perché fino a pochi anni fa non li avremmo immaginati possibili nel dibattito politico. Ma chi li usa cosa vuol dire davvero? Per rispondere, tornano in campo espressioni più “tradizionali”: privilegiare l’interesse nazionale, stare dalla parte del popolo… Anche qui, però, non mancano i problemi: cosa vuol dire davvero essere una nazione? Ed essere un popolo? Significano forse la stessa cosa?
Questo libro ripercorre la storia dei termini “popolo” e “nazione”, scandendola in tre momenti (il popolo della res publica, il popolo dello Stato, lo Stato diventa nazione) e giunge con metodo critico-razionale alla conclusione che “popolo” è un concetto strumentale del discorso giuridico-politico, mentre “nazione” è una costruzione mitologico-politica. Fermarsi qui, tuttavia, significherebbe consegnare alla psicologia delle masse e alle sue derive irrazionalistiche troppe pagine importanti della storia e considerare impraticabile un’analisi razionale dei nazionalismi, dei populismi e della loro inedita sintesi contemporanea, il “sovranismo”. C’è invece ancora qualcosa su cui riflettere: in negativo, il bisogno di protezione dalle disuguaglianze della globalizzazione; in positivo, l’identità linguistica come luogo di costruzione di prospettive di senso su un mondo comune. Perché c’è un modo (anzi, in verità, indefiniti modi) di sapersi un popolo in mezzo ad altri popoli, aperto alle possibilità dell’umano e responsabile della propria storia.