Dall’emergenza epidemica alla crisi di sistema
Badiou – Considerazioni critiche #4 [di Vittorio Giacopini]
di Vittorio Giacopini
Il saggio di Badiou sulla situazione epidemica contiene alcune riflessioni capitali su cui conviene avviare un confronto per provare a capire il senso di questi giorni senza senso. Indico alcuni punti.
Scrive Badiou:
“ l’epidemia attuale non è in alcun modo il sorgere di qualcosa di radicalmente nuovo o d’inaudito….Non ho trovato dunque nient’altro da fare che provare, come tutti, a sequestrarmi in casa mia, e nient’altro da dire se non esortare tutti a fare altrettanto”.
In sostanza per Badiou non va enfatizzata la novità del fatto epidemico. Mixed feelings. Direi, ha ragione e ha torto, perché una cosa così, inutile farla lunga, non s’era mai vista. Ma cosa “Non s’era mai visto”? Effettivamente non il fatto epidemico in sé, e in questo senso l’equivalente, il parallelo vero, non è tanto con l’AIDS o la Sars 1 ma con la “spagnola”. Quel che non s’era mai vista è una simile ‘sospensione’ (o mutazione) dei rapporti sociali. Badiou non ragiona sul lockwdown o lo dà per scontato o irrilevante. E aggiunge: personalmente mi sono autosegregato. Secondo me minimizza il dato chiave del momento: Il problema è che, cifre del 24 marzo, due miliardi e seicentomila persone al mondo sono segregate in casa. Togliamo pure dalla cifra il miliardo e trecentomila indiani e abbiamo oltre un miliardo di persone chiuse in casa in tutto l’occidente. A me questo sembra il dato antropologico, politico, e ‘psichico’ su cui riflettere. Il lockdown realizza una mutazione dei rapporti sociali o meglio completa (e rivela, dialetticamente) una mutazione già in atto. La logica di questo processo claustrale è molto complessa. Escluderei qualsiasi teoria del ‘complotto’ à la Agamben. Non c’è un piano del potere per a) spaventarci per b) poi chiuderci in casa. Ma certamente in questa situazione esistono e si manifestano dinamiche varie. 1) la dipendenza anche mentale dal virtuale, dai social, dallo sciame della rete: nel momento del confino questa ‘irrealizzazione’ dei rapporti umani viene allo scoperto ma il lockwdown non la crea, la conferma e la asseconda. 2) stare chiusi in casa è, come dire, il contrario di vivere la polis e nella polis. Accettarlo tranquillamente significa rivelare l’inconfessabile. Alla polis non ci crediamo più.
Altro punto chiave del ragionamento di Badiou.
Questo genere di situazione (guerra mondiale, o epidemia mondiale) è particolarmente «neutro» sul piano politico. Le guerre del passato non hanno provocato rivoluzioni se non in due casi, per così dire eccentrici nei riguardi di quelle che erano le potenze imperiali: la Russia e la Cina.
Guerre e epidemie in sè, dice Badiou, sono “neutre” dal punto di vista politico. Almeno sul momento non ha torto. Storicamente mi pare una valutazione un po’ troppo disinvolta. Già gli esempi che cita basterebbero. La rivoluzione russa, la rivoluzione cinese. E’ almeno metà della storia del Novecento, non è poco. Quindi già non sarebbe poco se non fosse che nella storia il “prima” e il “poi” e i meccanismi di causa effetto non possono essere identificati con una meccanicistica simultaneità. Sì è vero, non durante una guerra, ma subito, quasi subito dopo sono anche nati i fascismi, e quindi il discorso è più complesso. Poi tutto resta aperto: che questa contro il virus sia o non sia una guerra è, naturalmente, da vedere. Ma qualcosa certamente sta accadendo. Molte cose si muovono, e davvero non è chiaro se se ne esce, e come se ne esce. Neutralizzare il tutto parlando di una situazione ‘neutra’ sul piano politico mi sembra un gesto apotropaico. Posso anche capirlo ma non mi convince.
La questione più seria che Badiou solleva (a metà) è quella del riarticolarsi del modo di essere dello stato borghese nell’emergenza.
Da parte di questo Stato, la situazione è quella in cui lo Stato borghese deve, esplicitamente, pubblicamente, far prevalere degli interessi in qualche modo più generali di quelli della sola borghesia, pur preservando strategicamente, nell’avvenire, il primato degli interessi di classe, di cui tale Stato rappresenta la forma generale. O, in altre parole, la congiuntura obbliga lo Stato a non poter gestire la situazione se non integrando gli interessi di classe, di cui esso è il fondamento di potere, in interessi più generali, e ciò in ragione dell’esistenza interna di un «nemico» esso stesso più generale, che può essere, in tempi di guerra, l’invasore straniero, ed è, nella situazione presente, il virus SARS 2.
E’ vero: adesso bisogna ricorrere alla spesa pubblica non solo per tutelare la borghesia tout court ma anche più ampi strati di popolazione. Il problema è: e dopo? se immaginiamo che questa emergenza finisca suppongo che …. lo stato borghese si darà da fare per riprendersi tutto con gli interessi. Questo più che filosofico è proprio un problema politico. Ma d’altronde la querelle sull’ultimo dcpm ‘chiudi fabbriche’ tra Confindustria e sindacati è lampante: alle strette l’operaio, il lavoratore etc. è ancora carne da macello. Niente di nuovo sotto al sole, ovviamente. La situazione epidemica, dunque, NON è neutra dal punto di vista politico anche nel senso, diciamolo senza fare giri di parole, della ‘lotta di classe’. Mentre è in atto la guerra al virus, e vige il coprifuoco, il tremendo materialismo della realtà andrebbe assunto in tutta la sua evidenza. Si fa molta retorica sugli ‘eroi’ di questa situazione e naturalmente medici e infermiere in questa situazione sono davvero eroi. Non si fa caso, mi sembra, all’involontario eroismo di chi è esentato, per motivi strettamente capitalistici, dal lockdwon: dall’operaio di fabbrica al rider che porta le pizze, dalla commessa del supermarket al bangla del benzinaio, c’è tutta una ‘classe’ di lavoratori che possono anche ammallarsi…. perché servono. E ovviamente, c’è un altro aspetto della vita materiale, e della cultura materiale, che torna in primo piano. Farei una battuta: non avremmo avuto “Il Capitale” di Marx senza le ricerche di Engels sulla vita, e sulle case degli operai di Manchester. Ecco, oggi che siamo (quasi) tutti chiusi in casa, chiediamoci: in che case? Cento metri quadri terrazzati o con giardino, villette a schiere, appartamenti soffocanti e insani, topaie, stamberghe? Andiamo a vedere dove e come abita la gente: forse tutti i discorsi sul ceto medio universale possiamo anche metterli da parte. Mai come in casa la disuguaglianza sociale è lampante…. Siamo al ‘grado zero’ dell’analisi di classe.
Infine Badiou propone una riflessione ‘cartesiana’, cosa molto saggia perché parliamo tanto di quanto accade ma spesso senza sapere di che parliamo.
Di conseguenza, mi sento in certa misura costretto a raccogliere alcune idee semplici. Direi volentieri: cartesiane.
Per iniziare, conveniamo pure col definire il problema, peraltro così mal definito e, dunque, così mal trattato.
Un’epidemia ha questo di complesso, che è, sempre, un punto di articolazione tra le sue determinazioni naturali e le determinazioni sociali. La sua analisi completa è trasversale: bisogna afferrare i punti in cui le due determinazioni s’incrociano, e trarne le conseguenze
Questa transizione locale tra specie animali, fino all’uomo, costituisce il punto originario di tutta la faccenda. Soltanto dopo ciò, opera un dato fondamentale del mondo contemporaneo: l’accesso del capitalismo di Stato cinese a un rango imperiale, ovvero una sua presenza intensa e universale sul mercato mondiale. Da qui, le innumerevoli reti di diffusione.
Questa considerazione cartesiana è molto sensata. D’accordo, l’epidemia è un’articolazione di natura e cultura, un cortocircuito animali-uomo. Va benissimo ma non basta. Ora che un tema ambientale sia effettivamente in ballo è evidente ma forse il nodo vero non è questo. Forse bisognerebbe ragionare su quanto accade come se fosse una cartina di tornasole capace di gettare una luce diversa, inquietante e/o promettente, sul nostro modello di sviluppo e sul capitalismo. Partiamo da un elemento statistico: i dati sull’inquinamento, i canali di Venezia che tornano limpidi, l’aria decisamente più respirabile (peccato che poi non te la puoi godere). Dopo il fallimento di tutte le conferenze sul clima Onu da Parigi in poi, involontariamente le potenze industriali del pianeta si sono trovate costrette dal virus a tagliare le emissioni di C02 e varie altre emissioni molto più di quanto non fosse mai stato ipotizzato persino dagli accordi climatici più ambiziosi. Se ne deduce 1) tecnicamente si può fare, cioè non casca automaticamente il mondo (o tutto il mondo) 2) va capito se (e quanto) economicamente un processo del genere sia sostenibile. Finita la crisi (ammesso che finisca) quanto accaduto in questi mesi può diventare sul fronte ambientale (e quindi di più ampia sopravvivenza del pianeta) la chiave di volta di un nuovo discorso politico tutto da inventare. Naturalmente è una situazione dialettica: l’emergenza virus ci ha trapiantati in un mondo ‘con meno emissioni’ e finita la crisi, visto che a questo mondo nuovo non siamo preparati, è prevedibile che si voglia tornare come prima e più di prima a quel modello di sviluppo. La transizione in atto non è voluta e questo comporta seri problemi: recessione, licenziamenti, disoccupazione, taglio dei salari, etc. Ora io credo che una sinistra degna di questo nome, in una situazione del genere, dovrebbe tornare al fare il buon caro, ostinato lavoro della….”vecchia talpa”. Invece di parlare sempre e solo in termini di emergenza dovremmo provare a leggere la situazione in termini di “crisi” e, diamine, provare a trasformare questi dannati mesi di clausura in una… “crisi di sistema”. A scommetterci oggi, probabilmente vinceranno i ‘cattivi’, come sempre, e un’uscita reazionaria, regressiva da questa fase è probabilissima. Tocca provare a sfruttare l’occasione diversamente. Obtorto collo, una cosa, almeno una cosa è successa: davanti alla pandemia i rapporti di forza tra politica e economia e finanza si sono spostati e per la prima volta da decenni la politica (bene o male) sta tornando a fare il suo lavoro. Le ultime guerre le abbiamo fatte per il petrolio; questa la stiamo facendo per salvarci la pelle. Mi spiace che Badiou non colga nessuna “novità” in quanto sta accadendo. Di per sé, è anche vero: “l’epidemia attuale non è in alcun modo il sorgere di qualcosa di radicalmente nuovo o d’inaudito”. Non è “il sorgere” nel senso, direi, di un sorgere spontaneo, automatico. Ma qui dovrebbe tornare in gioco il fattore ‘volontà’ (termine ampio e ambiguo, ma usiamolo in uno spettro ampio, per così dire tra Rousseau e…. Errico Malatesta). Insomma, che sorga o no qualcosa di nuovo, forse dipende anche da noi.