Engels e il comunismo primitivo
Commento sul libro “L’origine della famiglia, della proprietà privata e dello Stato”
di Michael Löwy*
(traduzione di Antonino Infranca)
Nel novembre 2020 i socialisti del mondo intero hanno celebrato il bicentenario della nascita di Friedrich Engels. È un errore, ripetuto frequentemente, considerare Engels semplicemente come un divulgatore delle idee di Marx. Non soltanto egli ha contribuito, insieme a Marx nel 1844-48, alla formazione di una nuova visione del mondo – la filosofia della prassi o materialismo storico – ma ha sviluppato analisi su temi a cui Marx non si dedicò o non ebbe l’opportunità di studiare. Uno di questi è la questione del comunismo primitivo – che non è assente in Marx, soprattutto nei suoi Quaderni antropologici inediti[ref]Tr. it. P. Foraboschi, Milano, Unicopli, 2009; NdT.[/ref], ma si trova molto più elaborata nel libro di Engels, L’origine della famiglia, della proprietà privata e dello Stato (1884).
Partendo dai saggi dell’antropologo nordamericano Lewis H. Morgan sulla società gentilizia della preistoria, Engels studiò con grande interesse, e anche entusiasmo, questa forma primitiva di società senza classi, senza proprietà privata e senza Stato. Un passo de L’origine della famiglia illustra bene questa simpatia: «Ed è davvero una costituzione magnifica, in tutta la sua infantile semplicità, questa costituzione gentilizia! Senza soldati, gendarmi e poliziotti, senza nobiltà, re, governatori, prefetti o giudici, senza carceri e senza processi […] Tutti sono eguali e liberi – anche le donne […] [La civiltà] è come una degradazione, come una caduta peccaminosa dalla semplice altezza morale dell’antica società gentilizia»[ref] F. Engels, Origine della famiglia, della proprietà privata e dello Stato, tr. it. M. Lentini, Roma, Newton Compton, 1977, pp. 121-125; NdT [/ref].
Questa analisi engelsiana del comunismo primitivo – un altro termine per designare ciò che gli antropologi chiamavano “società gentilizia” (da gens, comunità tribale, del clan o famiglia) ha varie implicazioni metodologiche importanti per la concezione materialista della storia:
1) Essa delegittima il tentativo dell’ideologia borghese di “naturalizzare” la disuguaglianza sociale, la proprietà privata e lo Stato come caratteristiche essenziali di tutte le società umane. Il comunismo primitivo rivela che queste istituzioni sociali sono prodotti storici. Essa non esistevano per migliaia di anni nella preistoria ed esse potrebbe smettere di esistere nel futuro.
Lo stesso vale per il patriarcato. Engels utilizza, seguendo Morgan e altri antropologi dell’epoca (Bachofen), il concetto di “matriarcato” per definire il comunismo primitivo. Si tratta di un termine discutibile, che ha provocato, fino ad oggi, molte controverse tra le storiche, antropologhe e/o teoriche del femminismo. Credo che sia più importante ciò che Engels sostiene nei passi che abbiamo citato: in queste società primitive c’era un alto grado di eguaglianza tra uomini e donne. Si tratta, anche qui, di demistificare l’autoproclamazione del patriarcato come struttura atemporale, comune a tutte le formazioni sociali.
2) Essa rompe con la visione borghese – condivisa da buona parte della sinistra – della storia come progresso lineare, avanzamento continuo delle “luci”, della civiltà, della libertà e/o delle forze produttive. Engels propone, invece di questa dottrina conformista, una visione dialettica del processo storico: sotto vari aspetti, la civiltà ha rappresentato un progresso, ma sotto altri, essa è stata una regressione sociale e morale in relazione a ciò che è stato il comunismo primitivo.
3) Essa suggerisce l’esistenza, nel corso della storia umana, di una dialettica tra il passato e il futuro: il comunismo moderno ovviamente non sarà un ritorno al passato primitivo, ma esso riprende, sotto una nuova forma, aspetti di questa prima forma di società senza classi: assenza di proprietà privata, di dominio statale, di potere patriarcale.
È importante osservare che, ne L’origine della famiglia, Engels non si riferisce soltanto al passato preistorico. Così come Morgan, egli constata che anche nella sua epoca, esistevano ancora comunità indigene con questo tipo di organizzazione sociale egualitaria. Egli si entusiasma, per esempio, per la Confederazione degli Irochesi, un’alleanza di nazioni indigene dell’America del Nord: il comunismo primitivo è presente anche nel XIX secolo.
Queste idee di Engels furono riprese da alcuni dei migliori pensatori marxisti del XX secolo. Per esempio, Rosa Luxemburg nel suo libro (postumo) Introduzione alla critica dell’economia politica dedica quasi metà dell’opera al comunismo primitivo. Lei considera la lotta per la difesa di queste forme sociali comunitarie contro la brutale imposizione della proprietà privata capitalista come una delle ragioni della resistenza dei popoli della periferia contro il colonialismo. Secondo la Luxemburg, il comunismo primitivo è presente in tutti i continenti; nel caso dell’America latina, lei constata la persistenza, fino al XIX secolo, di ciò che lei chiama il “comunismo inca”.
Senza conoscere questo libro di Rosa Luxemburg (egli non leggeva il tedesco), José Carlos Mariategui, il fondatore del marxismo latinoamericano, usa esattamente lo stesso termine, “comunismo inca”, per descrivere le comunità indigene (ayllus) alla base della società inca precedente alla colonizzazione ispanica. Per lui, queste tradizioni comunitarie indigene si mantengono fino al XX secolo e possono costituire una delle principali basi sociali – insieme al proletariato urbano – per sviluppare il movimento comunista moderno nei paesi andini.
Oggi, nel XXI secolo, di fronte alla crisi ecologica che minaccia la vita umana in questo pianeta, un altro aspetto – menzionato ma poco studiato da Engels – deve essere messo in conto. Il “comunismo primitivo” era un modo di vita in autentica armonia con la natura e fino ad oggi le comunità indigene si caratterizzano per un profondo rispetto per la Madre Terra. Non è pertanto un caso se esse si trovano, da Nord a Sud del continente americano, in prima linea nella resistenza alla distruzione delle foreste e all’avvelenamento dei fiumi e delle terre da parte delle multinazionali del petrolio, degli oleodotti e dall’economia agricola esportatrice. Berta Caceres, la leader indigena assassinata in Honduras, è un simbolo di questo lotta tenace, che ha per centro, in Brasile, la lotta degli indigeni per salvare l’Amazzonia dalla violenza distruttrice dei re dell’allevamento e della soia – con l’appoggio sfacciato del governo neofascista ed ecocida di Jair Bolsonaro.
*Michael Löwyé direttore di ricerca del Centre National de la Recherche Scientifique a Parigi. Autore di moltissimi libri tradotti in italiano.