Osservatorio di critica e regolazione sociale
Nel pensiero politico occidentale, comprendendo in questa espressione un arco temporale che copre circa venticinque secoli, la “politica” è concepita come ars architectonica. “Arte” e non “tecnica”, proprio al fine di mostrarne la vocazione progettuale, in quanto il suo fine è la costruzione dell’edificio sociale; mettendo in forma, cioè, un progetto di società, quale che ne possa essere il contenuto ideale e la struttura organizzativa. Con parole prive della geniale fantasia degli antichi, la politica è definibile nella “modernità” europea come la scienza dei fini. L’economia, al pari del diritto, è pensata come quella scienza che allestisce i mezzi idonei a perseguire i fini determinati dalla politica. È evidente che l’economia, in quanto scienza, ha dei propri specifici canoni di validità dettati dalla “teoria”, i quali intervengono nella determinazione dello spazio di sostenibilità del progetto politico. Ma è altrettanto storicamente verificato come tali canoni di validità siano esposti, in quanto “teorie”, alla loro interna discutibilità, e, da un punto di vista esterno, alla verifica di funzionalità nel fronteggiare vantaggiosamente situazioni sociali e istituzionali. È in questione, come è noto, il rapporto, oggetto di acute e contrastanti tematizzazioni e riflessioni critiche, tra “economia politica” e “politica economica”. In definitiva, le caratteristiche, nella modernità e fino a gran parte del XX secolo, della relazione di strumentalità dell’economia rispetto alla politica stanno tutte nell’egemonia della politica economica sulla economia politica, cui evidentemente segue una diversa concezione, tutta politica, del rapporto tra “pubblico e “privato”, tra fine ordinatore dell’istituzione governante e libertà dell’individuo. Oggi, con la progressiva affermazione del capitalismo finanziario, sostituitosi al classico capitalismo industriale e produttivo, assistiamo ad una sorta di rovesciamento della relazione strumentale tra politica ed economia, che conduce al primato dell’economico-finaziario sul politico e ad una conseguente vera e propria speculazione sui fenomeni di crisi e di decrescita. Infatti, data la logica propria dell’agire finanziario, che è in contraddizione strutturale con l’agire politico-sociale, più si accentua la decrescita più margini di profitto aumentano per coloro che giocano da protagonisti nel mercato finanziario. A ciò si aggiunga che il diffondersi, e l’affermarsi come esclusivi, dei modelli di pensiero “scientifico-scientista”, per la struttura delle categorie di ragionamento che necessariamente comporta, impedisce l’affermarsi di un pensiero “critico”. L’Osservatorio di Critica e Regolazione Sociale intende, invece, rilanciare la necessità di un tale pensiero critico in grado si svelare la contraddizione tra modelli democratici e un economicismo, che per essere se stesso, in funzione delle finalità che persegue, non può che includere modelli tecnocratici. È in questo contesto che l’Osservatorio di Critica e Regolazione Sociale si apre ai contributi di quanti vogliano ragionare in libertà.