Sorvegliare e punire

di Bruno Montanari

Sorvegliare e punire. Nascita della prigione, è, come è noto, il titolo di un famoso saggio di Michel Foucault pubblicato in Italia da Einaudi nel 1975. Gli osservanti: fenomenologia delle norme, è un testo altrettanto noto, edito da Giuffrè per la prima volta nel 1967, autore Franco Cordero.
Ricordo questi due titoli pubblicati in un’epoca nella quale c’era un fermento ideologico-culturale, allora anche drammatico, e che oggi possono avere una loro attualità, ma per ragioni ben più modeste, fino al punto che si fatica a trovarvi una ragione “culturale”.
Le questioni sono due. Il modello di gestione Covid 19 e quale tipo di ambiente umano appare emergere a partire dal comportamentismo sociale.
La prima questione trae spunto dalla novità ministeriale, assai controversa e chissà se tramontata, consistente nella autorizzazione data dal ministro Boccia ai Comuni di assumere 60.000 sorveglianti o controllori anti-movida. Ma non è questo il punto. La questione è un’altra: il governo dopo il “confinamento” attuato con le modalità operative di un arresto domiciliare ora non saprebbe rinunciare al metodo “sorveglianza”, al fine di garantire il non assembramento.
Alla base di tale meccanismo “ideo-logico” di ispirazione quanto meno “ispettiva”, vi è, oltre alla consapevolezza (si spera!) di impotenza rispetto ad una sana ed efficiente capacità gestionale, una istanza di scientismo: gli “esperti”, virologi, epidemiologi etc.; ma scientismo, non scientificità. Mi spiego. Mentre la scientificità si caratterizza per il confronto epistemologico che sostiene le diverse ipotesi, lo scientismo fa riferimento unicamente ad una affermazione di conoscenza da ritenersi valida per il solo fatto di essere fondata su metodi empirici, senza affrontare, però, seriamente, il tema della falsicabilità relativo alla discussione del contesto epistemologico più generale. Contesto, che finisce per chiamare in causa un sapere anche filosofico-teoretico (vedi gli studi di matematici come Zellini o di fisici come Revelli). Lo scientismo, in altre parole, si limita alla analisi di dati empirici ritenuti “evidenti”, in base alla semplice condizione che sono empirici, senza chiamare in causa la discussione delle questioni metodologiche sottostanti. Ma è ciò che è bastato fin qui, affinché si costituisse un costante affidamento per la “gente” (all’inglese, people) verso le decisioni governative (ai vari livelli, centrale e pluri-periferico) e, in particolare, possano essere giustificativi per gli svariati provvedimenti di “sorveglianza” da adottare.
Veniamo ora alla “concretezza della situazione”. Ci sono notizie diverse: autorevoli primari ospedalieri affermano che la fase acuta è passata e che il virus è ampiamente depotenziato, agevolato dalla stagione calda; come il numero dei contagi ormai sempre decrescente dimostra. Gli “esperti” non possono smentire il dato attuale, ma mettono in guardia da una possibile ripresa sia a seguito delle cosiddette “aperture”, sia dopo l’estate. La sensazione è che occorra mantenere le persone sulla graticola della paura; si tratta di una situazione psicologica diffusa, che favorisce alcune operazioni che hanno anche risvolti economici. Innanzitutto soddisfa il narcisismo degli “esperti”: se finisce il virus anche loro escono di scena. Poi vi è tutto quel pezzo di produzione industriale alimentato dal virus, dalle sanificazioni, ai disinfettanti, ai guanti, alle mascherine e così via; è una produzione che ha determinato conversioni che, ovviamente, vanno economicamente ammortizzate. Faccio un esempio: La Ramazzotti ha convertito la produzione del suo “amaro” nella produzione di un disinfettante, lasciando invariata la forma e la “ditta” sulla bottiglia: cambia il liquido e la specifica del contenuto sull’etichetta. Quale è dunque la questione che intendo sollevare e che basta fermarsi a riflettere per capire che è più evidente di quanto non sembri. A fronte di imprese che sono rimaste passive subendo gravi perdite, altre hanno convertito la loro produzione secondo le esigenze del momento; produzione che va smaltita sia in termini di “prodotti” sia in termini di investimento economico. Altro esempio: la scuola per via telematica. E’ un altro settore dove viene incentivato un grosso mercato capace di arricchire, anche per il futuro con la stabilità tipica “di sistema”, quello già in atto.
Queste osservazioni aprono ad una riflessione scontata: accanto all’insorgere di un impoverimento aspro e diffuso di molti soggetti economici, piccoli e grandi, si è costituito un rapporto stretto tra allerta – virus, investimenti e profitti economici in diversi settori interessati. Conclusione: non è insensato pensare che occorra una attività di gestione della situazione tale da confermare nella “gente” (people) l’idea che il virus sia sempre in agguato: ciò soddisfa il narcisismo degli esperti e l’interesse industriale di quanti hanno convertito la loro produzione.
Vediamo ora alla seconda questione: l’ambiente umano che chiamiamo “società”. Se guardiamo la media dei comportamenti troviamo una polarizzazione preoccupante. Da un lato la somatizzazione della paura, conduce molti ad indossare la mascherina a passeggio per strada, all’ “aria aperta”, in motocicletta, in bicicletta, al mare, senza pensare che respirare il proprio fiato significa respirare quanto di batterico è contenuto nel proprio corpo. E la ragione è semplice: la somatizzazione della paura, che è una condizione che ciascuno vive nella propria individualità, dispone all’obbedienza l’individuo verso chiunque rappresenti, non tanto la soluzione dei problemi, quanto una sorta di riferimento psicologico stabile capace di dare sicurezza. E’ appunto il connubio “governo – esperti” che costituisce quell’Altro cui, io individuo, in una situazione di pericolo, posso affidarmi, “senza se e senza ma”.
L’altro lato, il fenomeno del tutto opposto: il farsi folla. L’assembramento in luoghi dove si potrebbe facilmente (oltre che si dovrebbe) mantenere una adeguata distanza di sicurezza, senza rinunciare a quel senso di liberazione e sollievo compresso per troppo tempo. C’è da chiedersi come sia venuto costituendosi un ambiente umano così divaricato tra obbedienti paurosi e trasgressori menefreghisti. Azzardo una spiegazione: la scarsa credibilità delle Istituzioni, in quanto tali, mentre determina la trasgressione facile, all’opposto, induce alla obbedienza non per stima politica, ma per pura paura. Ne restano fuori tutti coloro che, consapevoli della entità della situazione, vorrebbero vivere una condizione di autodeterminazione responsabile senza paura e senza sorveglianza.
Resta il danno: quello che deforma la società, trasformandola in una massa di individui sorvegliati, obbedienti o trasgressivi, comunque ineducati a pensare con la propria testa e privi di “senso dello Stato”. Vi è poi un altro aspetto sul quale riflettere: come si distribuisce la polarizzazione trasgressione menefreghista – obbedienza paurosa sul piano anagrafico-generazionale. E questa riflessione aprirebbe un piano di ragionamento che andrebbe oltre la contingenza attuale.
Restano fuori da tutto ciò gli uomini liberi e responsabili, che credono ancora nella necessità delle Istituzioni e in quello Stato sociale di diritto costituitosi, pur con tutti i suoi inevitabili difetti, nel secondo dopoguerra, e che ha dato vita ideale all’Europa; ma costoro non godono né di visibilità né di molto credito.