La fratellanza: perimetri ideologici, vincoli biologici, principi giuridici
di Domenico Bilotti
1-Prequel: le coordinate geografiche e semantiche di un discorso sulla fratellanza
Sembra ora operazione comoda quanto un esercizio di stile contestare lo spirito e i contenuti della Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo (1948), ritenendola espressiva del sentire dei vincitori di guerra (peraltro, vincitori, sullo scacchiere globale, non sempre con comportamenti specchiati) o, al più, alla stregua di un atto a malapena costitutivo di una nuova rappresentazione istituzionale della comunità internazionale[ref]Sulla natura sistemica di questa critica, B. Fassbender, K. Traisbach, Introduction, in Aa. Vv., The Limits of Human Rights, Oxford University Press, Oxford-New York, 2019, pp. 2-3.[/ref]. Né l’una né l’altra ipotesi ci pare aiutino granché nella ricerca: nell’umanità al tempo schiacciata da due conflitti mondiali e da una epidemia, in meno di trent’anni, mettere la parola fine all’atrocità più che una vanagloria sembrava una speranza. Proprio l’articolo 1 di quella Dichiarazione introduceva un inciso importante: [gli esseri umani] devono agire l’un l’altro in spirito di fraternità. Cosa si intendeva? La fraternitas latina di matrice familiare – ora consuetudinaria, ora legale, ora meramente biologica? La fraternité della Francia rivoluzionaria, che, unita alla liberté e alla égalité, prometteva politiche antimagnatizie, partecipazione, rovesciamento di soprusi e intollerabili disparità sociali? O, magari, la fratellanza del lessico biblico, che nel Vecchio Testamento può essere ancora fonte d’odio e di gelosie sotto lo stesso tetto e che, invece, nel Nuovo acquisisce un carattere più evidentemente universalistico, tale che per alcuni, in special modo dopo il Concilio Vaticano II, essere popolo di Dio ed essere genere umano finì per significare che la Chiesa non avrebbe più condannato nessuno e avrebbe accettato i diversi culti, stili di vita, approcci alla coscienza[ref]Sul tentativo di far convergere la nozione di popolo di Dio, verso l’intera considerazione del genere umano, in ragione del tipico universalismo del diritto canonico, per quanto avversando ipotesi di atecnica ed eccessiva elasticizzazione della richiamata dicitura, G. Routhier, Il Concilio Vaticano II. Recezione ed ermeneutica, Vita e Pensiero, 2007, Milano, pp. 108-109.[/ref]? E quanta ipocrisia ha poi trasformato questa impostazione, talvolta riducendola al piano dei programmi senza costrutto e talvolta precisandola fino all’ossesso, in modo da renderla nei fatti ugualmente inesistente e priva di ogni legittimazione!
Prima di ragionare sull’enciclica Fratelli Tutti di papa Francesco è bene contemporaneamente far giusta pulizia terminologica e metodologica sul lemma della fratellanza e sui significati concretamente assunti, per poi verificare in che punti e in che modi questa nozione di fratellanza emergente dal Magistero non sia un’incursione in re aliena, ma un principio già presente nell’apporto teologico-politico, giuridico-culturale, storico-canonistico.
La tesi da cui si procede è che, anche grazie all’impulso offerto dal diritto e dalla cooperazione internazionale, la nozione di fratellanza, che le fonti convenzionali del Dopoguerra indicavano come ambiente applicativo della loro effettiva implementazione, fosse significativamente diversa dalle accezioni che la avevano preceduta.
Non è qui il caso di ripercorrere la valenza giuridica della fratellanza, per come introiettata dal diritto ebraico, dalla tradizione romanistica e da quella particolare forma di inter-relazione tra i due che fu il diritto romano-giudaico (e gli usi) al tempo della nascita del cristianesimo e delle sue prime forme di proselitismo. E ciò si sceglie di fare per ragioni ben precise, che in realtà non dipendono soltanto dalla maggiore brevità suggerita dalla sede espositiva. Quel significato di fratellanza aveva evidente valore legale. Nella tradizione euro-cristiana, fino a ben oltre la lenta scomparsa del diritto feudale[ref]Una scomparsa che i giuristi fanno fatica a collocare lungo coordinate cronologiche precise. V., in proposito, W. Kudrycz, The Historical Present. Medievalism and Modernity, Continuum, London-New York, 2011, pp. 171-173; L. K. Little, Mainstream and Margins of Medieval History in the United States, in M. Rubin (ed.), The Work of Jacques Le Goff and the Challenges of Medieval History, The Boydell Press, Woodbridge, 1997, pp. 85-97.[/ref], la fratellanza istituiva, in base all’età o al rapporto intercorrente tra i genitori (se riprovato o meno nel diritto), vincoli gerarchici e patrimoniali. Nell’ebraismo la riflessione rabbinica non mancava di rimarcare con singolare appropriatezza quanto spesso l’appartenenza alla stessa famiglia – nozione anch’essa culturalmente orientata – potesse essere ben più conflittuale delle altre forme di relazione sociale[ref]Tentativi di giungere a una significazione maggiormente universalistica in R. Mackintosh, Christ and the Jewish Law, Hodder and Stoughton, London, 1886, pp. 96-97. Un preliminare lavoro sull’esegesi delle fonti in M. Davidsohn, Moral and Religious Guide Based on the Principle of Universal Brotherhood, Houlston and Stoneman, London, 1855, pp. 115-117.[/ref]. Non erano le uniche nozioni di “fratellanza” o “fraternità” del mondo antico. Per restare a Occidente, un’evidente asimmetria assisteva i rapporti tra fratelli e sorelle, legata certo al differente riconoscimento della soggettività femminile, epoca per epoca anche intenso e dirompente, ma sostanzialmente asservito nelle culture patriarcali al dominio maschile di genere.
Nel Medio Oriente, la fratellanza si disperdeva, come vincolo tendenzialmente esclusivistico, in forme di organizzazione familiare a un tempo più larghe e a un altro più strette del paradigma monogamico canonistico: nel mondo arabo pre-islamico i clan tribali descrivevano una rete intricata e complessa di rapporti, dove non mancava il primato della convenienza su quello dell’affettività. Anche per questo il Corano rappresentò l’emblematica svolta epocale che ci è dato di cogliere tutt’oggi, cercando di bandire le regole dei sodalizi clanici e gli affarismi interessati[ref]La svolta impressa dall’islamizzazione si nota in una pluralità di fonti; per quanto riguarda aspetti specifici, sulla condizione di genere nelle relazioni di famiglia cfr. R. El Khayat, La donna nel mondo arabo, Jaca Book, Milano, 2002, p. 42 ss.; sull’opera di unificazione linguistica realizzata dal messaggio coranico, D. Mascitelli, L’arabo in epoca preislamica. Formazione di una lingua, l’Erma di Bretschneider, Roma, 2006, pp. 54-56. [/ref]. Gli storpi generati all’interno della stessa famiglia potevano finalmente consumare i pasti insieme ai normotipi. La contrattazione con gli infedeli, ammessa in limiti rigorosissimi, non poteva più includere pratiche predatorie, truffe, ruberie, quali che fossero le loro manifestazioni concrete. Una disputa di carattere familiare (successorio, non subito direttamente cultuale o politico) riguarda pure la frattura tra gli sciiti e i sunniti: secondo quali regole doveva essere garantita la successione del Profeta[ref]J. Armajani, Shia Islam and Politics. Iraq, Iran and Lebanon, Rowman & Littlefield, Lanham-London, 2020, pp. 5-6.[/ref]? Avrebbe guidato la comunità un suo consanguineo o un suo amico? Chi aveva, in altre parole, più titolo a fregiarsi della sua fratellanza nella umma, la quale è peraltro per definizione non disgregabile, non revocabile, mentre gli attentati alla sua integrità costituiscono il più grave dei peccati[ref]N. A. Shah, Islamic Law and the Law of Armed Conflict, Routledge, London-New York, 2011, pp. 33-34.[/ref]? Negli usi delle confraternite dell’esoterismo islamico, ancora, il vincolo affiliativo tra i partecipi degli stessi riti sembra adombrare, o addirittura abiurare, la stessa fratellanza: come se la scelta intenzionale da cui promana l’imprevedibile e ingovernabile carattere misterico fosse in sé riassuntiva del più forte legame che si possa instaurare tra gli appartenenti al genere umano.
Nella tradizione cristiano-orientale, d’altra parte, andava affermandosi, tanto alla nascita della cultura monastica quanto negli usi linguistici liturgici, una pratica semantica del dirsi fratelli che riguardava la fratellanza nella vita e nella condivisione della fatica e del tempo, non i vincoli dettati dai meccanismi normativi della filiazione[ref]Sull’occorrenza di questo fenomeno, anche al di fuori di uno spazio geografico orientale prettamente europeo, G. Filoramo, Monachesimo orientale. Un’introduzione, Morcelliana, Brescia, 2010, pp. 161-179.[/ref].
All’Estremo Oriente, per quello che ci trasmettono le fonti, nozioni di fratellanza e fraternità, distinte dal nostro tracciato semiologico consueto, si affermavano in modo discontinuo, ma percepibile. Vi è, per qualcuno sorprendentemente, un processo di separazione progressiva tra le condizioni parentali precisate dal vincolo di sangue (una fratellanza in senso stretto) e i modi comportamentali attribuiti al dovere o alla convinzione di agire come fratelli (una fratellanza che la Grecia antica aveva in parte riassunto nell’ospitalità xenofiliaca). I sistemi giuridico-politici asiatici non prendono sempre nettamente partito a favore dell’uno o dell’altro senso. Il confucianesimo, ad esempio, nascendo come ragion pratica illuminata dai vincoli di lealtà, avrebbe potuto dischiudere una accezione più universalistica di fratellanza, ma l’attenzione alle norme deontologiche dell’uso familiare, verso gli anziani e non solo, ha poi spinto molti teorici confuciani a rivendicare quell’atteggiamento nell’ambito domestico, più che nelle relazioni esterne[ref]Dando conto di questo processo, D. Bilotti, Rischi e dinamiche di riassorbimento del privato nel pubblico. Ricerche recenti sull’etica normativa confuciana, in Stato, Chiese e pluralismo confessionale (Rivista telematica, http://www.statoechiese.it), n. 2/2021.[/ref]. Senza voler poi smentire le invece enormi possibilità di studio e ricerca insite nel discorso sui sistemi di pensiero orientali (l’hinduismo, lo shintoismo, il buddhismo, per ricordar solo i più noti), pare che essi abbiano avuto, nonostante le profondissime articolazioni cosmologiche, delle oscillazioni materiali legate al genius loci e alle diverse forme di radicamento. E ciò rende poco plausibile un approccio omologante e riducibile a categorie statiche di ragionamento.
2-Vista da Ovest: malintesi nella politica del diritto
Avendo provato a presentare i primissimi usi, religiosi e giuridici, del lemma fratellanza, ci è ora necessario cercare di verificare se e come quella molteplicità di declinazione abbia del pari influenzato l’ambito pubblico, politico, partecipativo. Ed è abbastanza chiaro che ciò sia avvenuto anche attraverso il processo di secolarizzazione, che ha trasferito principi teologici in categorie ordinanti di contenuto ideologico etimologicamente profano. Questo fenomeno ha coinvolto, ben prima dell’attuale e diffusa rivalutazione ecclesiastica, la stessa esegesi scritturale.
La questione, come ricordato, ha il suo primo fondamento epistemico nel mutamento che si realizza tra il Vecchio e il Nuovo Testamento. Non si aderisce qui a nessuna di quelle letture – invero poco attente – che esasperano la divaricazione tra le due parti della Scrittura, ora per affermare una immediata cogenza del testo evangelico, anche all’interno della sfera pubblica, ora per invocare un primato letteralista, cronologico e tradizionalistico dei libri più antichi, al fine di arginare le concessioni che la religiosità individuale e collettiva avrebbe avuto nei confronti della mentalità secolare. Ci pare che non sia tempo per piegare le appartenenze di fede a conseguenze di natura elettoralistica o di presa sull’opinione pubblica. Chiaro è invece che, nella continuità trinitaria del monoteismo rivelato cristiano, Vecchio e Nuovo Testamento impostino diversamente il divenire della religione abramitica nelle relazioni umane mondane. Nella Genesi, ad esempio, prevale una visione marcatamente biologica della fraternità, che rende ancor più gravi i comportamenti illeciti tenuti tra soggetti che siano in rapporto di fratellanza. La damnatio di Caino sorge inevitabilmente tanto dal tentativo di eludere l’onniscienza (che già sa del crimine commesso), quanto dall’infamia del gesto omicidiario che ha colpito un fratello, Abele[ref]D. Assael, La fratellanza nella tradizione biblica, Centro Studi Campostrini, Verona, 2017, pp. 13-18; A. Wenin, Giuseppe o l’invenzione della fratellanza. Lettura narrativa e antropologica della Genesi, EDB, Bologna, 2007, p. 4 ss. [/ref]. Nel Discorso della Montagna, la fratellanza differentemente appare come proiezione esponenziale alla riconciliazione: non ci si può che trovare fratelli nel perdono, perché fratelli, data la fallibilità umana, lo si è nella colpa. L’irrazionalismo giuridico russo, alimentato dalla narrativa di Dostoevskij in poi[ref]Uno dei più rilevanti studiosi italiani della letteratura e dell’estetica russa tende, tuttavia, a ridimensionare le pretese dottrinali della scienza giuridica giuspubblicistica, preferendo non collocare il grande romanziere nella concezione dualistica che contrappone razionalismo e irrazionalismo. V., in proposito, S. Givone, Dostoevskij e la filosofia, Laterza, Roma-Bari, 2006, p. 63 ss.[/ref], portava il tema fino alle estreme conseguenze: se tutti sono colpevoli e già la colpa è una forma di relazione umana, tutti sono responsabili di tutto, nei confronti di tutti. Questo universalismo ha dato vita a numerosi filoni: il pacifismo radicale e universalistico di Tolstoj, nonché il messianismo apocalittico e millenaristico del misticismo nichilista, che ha inteso la fratellanza innanzitutto in quanto fratellanza nella estrema e peritura fragilità. Anche il nazionalismo russo, vuoi se declinato come specifica istanza patriottica, vuoi se inteso quale ancor più ampia chiamata aperta a tutti i popoli slavi, faceva larghissimo uso della fratellanza. Era però una fratellanza carismatica, che mobilitava una posizione e un’opposizione: noi e loro, i nostri interessi e quelli degli altri. Si trattava di una fratellanza per divisione, quasi si potesse tracciare tramite essa il confine univoco del giusto e dell’ingiusto. Non era già più la fratellanza scritturale: né quella della pena inflitta ai fratricidi, né quella della penitenza che si attua fraternamente nel reciproco perdono.
Non si creda d’altra parte che le ambiguità applicative del termine fratellanza dipendano esclusivamente dal tentativo di fornirne la significazione religiosa più appropriata alla Scrittura. A Occidente, molti rilevanti crinali civili sono stati condotti cercando di fornire della fraternità l’accezione più puntuale rispetto alla propria visione escatologica, ideologica, persino etologica e politologica.
Nello stesso secolo, il XIX, viepiù a pochi chilometri di distanza l’uno dall’altro, il poeta maledetto Lucien Ducasse e il pensatore e agitatore risorgimentale Giuseppe Garibaldi adottano ancora della fratellanza il prodotto di quel procedimento ermeneutico fondato sulla separazione tra chi è fratello e chi mai potrà esser riconosciuto come tale. Anzi, il propagandista repubblicano anticlericale è, oltre la patina delle ricostruzioni postume, ancora più oltranzista del lirico dannato e insofferente. Per Garibaldi non si dà fratellanza coi preti: la fortissima religiosità del ceto politico rivoluzionario risorgimentale gli impedisce di accogliere la mediazione dei ministri di culto[ref]Questa postura marcatamente anticlericale tende tuttavia ad emarginare ancora oggi il pensiero risorgimentale garibaldino da un discorso collettivo sulla spiritualità e sulle forme della sua regolazione giuridica. Si veda il nettissimo giudizio di D. Arru, La legislazione ecclesiastica della dittatura garibaldina, La Sapienza, Roma, 2004, p. 67. I grandi contemporanei impressero letture forse più accomodanti (v., per tutti, A. Dumas, The Garibaldians in Sicily, Routledge, London, 1861, pp. 46-47).[/ref]. Non è più una questione teologica, come poteva esserlo al tempo dello scisma luterano, anche se molti autori risorgimentali sentono fortemente l’influenza della cultura protestante. È un giudizio tranchant di tipo eminentemente politico: non ci si chiede più se il volgo abbia diritto a capire la Scrittura (è un diritto affermato dalla Riforma, mentre ancora sul fronte canonico-occidentale di riforma liturgica non si parla), è semmai il clero a esser ricondotto a un’intermediazione parassitaria non dei contenuti veritativi, ma dei beni, delle scelte politiche, della partecipazione, dei precetti morali che riverberano impietosamente sull’accesso ai sacramenti, sulla sessualità, sullo stato civile.
Contro la scelta positivistica del suo secolo, all’opposto, il Conte di Lautréamont va avanti, guardando indietro, insistendo ad affermare che la fratellanza non abbia nulla a che fare con la mitizzazione escludente che ha ricevuto nella propaganda politica[ref]Un inquadramento etico sui contenuti della fratellanza, riscoperta in funzione di abolizione dei legami politici convenzionali, in A. Carotenuto, Senso e contenuto della psicologia analitica, Bollati Boringhieri, Torino, 1990, pp. 53-54.[/ref]. Ma è davvero così? O meglio: davvero la fratellanza rivoluzionaria della fine del secolo precedente non era un dispositivo così lucido e potente da poter ergersi a valore etico universale, a nucleo esclusivo, finitimo, ma indisponibile, del riconoscersi liberi e eguali nell’operare per il bene proprio e per quello comune?
Si è osservato che dalle parole d’ordine della Francia borghese rivoluzionaria discenderebbero le diverse appartenenze dei movimenti collettivi, che hanno messo in questione lo stato di cose presente. La libertà sarebbe divenuta il campo d’azione, la rivendicazione per eccellenza, del pensiero liberale, socialista, radicale. Avrebbe messo a tacere per sempre l’autoritarismo, la presenza invasiva del potere nella vita[ref]La pretesa di contrapporre queste istanze generative della propaganda rivoluzionaria tende troppe volte a proiettarsi su situazioni di molto successive, o addirittura contingenti, forse piegando a letture preconcette anche analisi che sarebbero di pregevole valore. V., per tutti, M. Teodori, Storia dei laici nell’Italia clericale e comunista, Marsilio, Padova, 2008.[/ref]. L’eguaglianza sarebbe stata colta dall’egualitarismo marxista, che per tale via avrebbe permesso di rovesciare l’ordine capitalistico borghese, riducendo a unità gli statuti soggettivi e collettivizzando i mezzi di produzione[ref]Parte della dottrina marxista ha in effetti rivendicato questo vincolo di causazione. Cfr. A. Bordiga, Russia e rivoluzione nella teoria marxista, il Formichiere, Foligno, 1975, p. 29 ss.[/ref]. La fraternità sarebbe stata la cifra distintiva del riformismo cristiano, redistributivo nella politica economica, ma fondamentalmente prudente nel campo delle libertà politiche e civili. La ricostruzione ci convince poco, perché immaginare i lemmi della rivoluzione come fiumi che hanno in comune solo la sorgente, e che nel mezzo della loro esistenza non hanno diritto a toccarsi, è molto limitante. E bisogna sottolineare quanto se ne sia accorto il Pontefice, che se riconduce la libertà alla legge divina (e non a quella umana) certo non la nega, che se non intende abolire in radice le differenze socioeconomiche perora, comunque sia, il loro possibile livellamento. A dividere le strade di libertà, fratellanza ed eguaglianza han perso tutti e più di tutti ne han perso il diritto e le religioni: l’uno costretto a riconoscere che né la codificazione né il costituzionalismo erano sufficienti a implementare ex se i principi fondamentali[ref]Secondo le note considerazioni di E. W. Böckenförde, Stato, Costituzione, Democrazia. Scritti di teoria della costituzione e di diritto costituzionale, Giuffrè, Milano, 2006.[/ref]; le altre ancora troppo protese a pensarsi divise, separate in casa. Separate nella stessa casa comune. Il diritto ha viepiù comminato alla fratellanza un’ulteriore condanna: la ha espropriata della sua potenzialità normativa pubblica e la ha ricondotta al suo sempre meno afferrabile darsi biologico-familiare. Come ha scritto il giurista laico Stefano Rodotà, essendo la fratellanza difficilmente giustiziabile in giudizio e ancor più apparentemente pericolosa da estendere univocamente oltre la sfera del vincolo di sangue, essa è stata mestamente adombrata nel diritto vigente quanto in quello vivente. Non ci sembra sempre convincente la pista di ricerca di chi insiste acriticamente sui beni comuni, senza mai precisarne il contenuto o limitandosi a sottolineare la rilevanza dal basso di forme di vita in comune che prescindono dalla condizione normativa dell’essere fratelli, mantenendo o addirittura accrescendo, d’altra parte, la forte carica solidaristica della fratellanza, intesa in senso simbolico[ref]Letteratura di senso parzialmente difforme: G. Allegri, Il reddito di base nell’era digitale. Libertà, solidarietà, condivisione, Fefé, Roma, 2018; A. Negri, Il comune in rivolta. Sul potere costituente delle lotte, Ombre Corte, Verona, 2012; V. Raparelli, Rivolta o barbarie. La democrazia del 99 percento contro i signori della moneta, Ponte alle Grazie, Milano, 2012.[/ref]. Che esperienze del genere esistano e mettano sotto stress, le uniche!, l’egoismo e l’alienazione alla quale i tempi della produzione e della divisione sociale del lavoro vorrebbero abituarci è fuor di dubbio. Arrestarsi a riconoscere questa linea, senza interrogarsi sul suo possibile sviluppo etico, è come tirar fuori le chiavi per restare a guardare l’uscio di casa.
3-La (ri)scoperta del Magistero: traduzione e diritti umani
Il percorso evolutivo tracciato da Francesco sembra poter prestarsi a letture di maggiore profondità. Si tratta del resto ormai di un’esperienza pontificia che assomma in sé anni, documenti, atti, posizionamenti, non più, se mai poteva esser sembrata, una novità votata all’estemporaneo degli strumenti di comunicazione sociale. Lo testimonia l’andamento delle encicliche, oltre che la scelta contenutistica in esse intrapresa. La prima di queste, Lumen Fidei, recava ancora molto significativamente lo spirito elaborativo iniziato da Benedetto XVI[ref]Si veda l’impalcatura di Francesco, Lettera Enciclica Lumen Fidei, 29 Giugno 2013 (reperibile in http://www.vatican.va). [/ref], come coronamento della trilogia teologale, che comprendeva anche Spe Salvi e Deus Caritas Est[ref]Benedetto XVI, Lettera Enciclica Deus Caritas Est, 25 Dicembre 2005; Id, Lettera Enciclica Lettera Enciclica Spe Salvi, 30 Novembre 2007 (testi rinvenibili in http://www.vatican.va).[/ref]. L’importante lavoro di Caritas in Veritate va ritenuto non solo un’integrazione tematica della riflessione sulla carità, ma una sua non banale proiezione a quel tramite specifico di comunicazione verso le realtà mondane che è sempre stata la dottrina sociale della Chiesa – e, in essa, è impossibile estromettere chirurgicamente la questione della fratellanza. Francesco ha proseguito nel lavoro del predecessore, ma lo ha arricchito di punti qualificanti, ancor più orientati alle dinamiche secolari, al punto che taluno ha obiettato sul protagonismo assertivo di questa politica magisteriale, invero cogliendo forse nel segno solo sull’aspetto di una palese vastità contenutistica che, giocoforza, non sempre riesce a tradursi in una pari accuratezza filologica. Francesco stesso, soprattutto nelle esortazioni apostoliche (in primis, Evangelii Gaudium e Amoris Laetitia)[ref]Il riferimento è a Francesco, Esortazione Apostolica Evangelii Gaudium sull’annuncio del Vangelo nel mondo attuale, 24 Novembre 2013; Id, Esortazione Apostolica Post-sinodale Amoris Laetitia sull’amore nella famiglia, 19 Marzo 2016 (entrambi i testi consultabili in http://www.vatican.va).[/ref], quando interveniva su temi aperti a un più diffuso confronto interno alla società e alla Chiesa, perorando un metodo dialogico molto largo e una pratica consultiva della sinodalità canonica, precisava sempre come ciò inevitabilmente potesse scoraggiare qualcuno sul fronte della rigorosità dogmatica e dottrinale. Pare però che ai fini della presente analisi il rischio non sussista, perché l’approccio qui veicolato – una ricerca sui significati della fratellanza, in una prospettiva di tutela interculturale delle libertà fondamentali – non si occupa di sondare alla radice le costruzioni teologiche, che sono sempre perfettibili nel contatto tra la Scrittura e il mondo in cui il fedele è chiamato ad inverarla.
La seconda enciclica, Laudato Si’, ormai del 2015[ref]Francesco, Lettera Enciclica Laudato Si’, 24 Maggio 2015, in http://www.vatican.va.[/ref], dava conto di almeno tre questioni di grande significato, dietro la tematica ambientale, lasciando forse presagire che un successivo momento di riflessione non sarebbe potuto che giungere in materia di fraternità e relazioni umane. Innanzitutto, quell’enciclica aveva una genuina predisposizione ecumenica, nonostante l’impianto redazionale non sempre palesasse questo preliminare background. Forti erano, da quel punto di vista, l’influenza della recente teologia cristiano-ortodossa e la collaborazione col patriarca Bartolomeo, da tempo impegnato sui temi ecologici[ref]D. Keramidas, Evangelizzazione della creazione. Ecologia eucaristica vs. de-sacralizzazione del creato, in E. Garlaschelli, G. Salmeri, P. Trianni (a cura di), Ma di’ soltanto una parola … Economia, ecologia, speranza per i nostri giorni, Educatt, Milano, 2013, p. 93; G. Scalmana, Teologia e biologia, Morcelliana, Brescia, 2010, p. 251.[/ref]. L’ecologia è certo una scienza o un reticolato di nozioni scientifiche apprese da discipline diverse; è uno strumento rivendicativo (che diede vita all’ampia e forse dispersa costellazione di movimenti ambientalisti); è senz’altro questione che può e deve essere affrontata, anche con l’ausilio del diritto, della filosofia e della teologia. Un’ecologia che non sa dotarsi di norme, affinché prevalga la salvaguardia ambientale nel bilanciamento con gli altri principi costituzionali, si candida a essere più debole, costantemente tacciata di indeterminatezza sulle situazioni normative puntuali. L’ecologia abbisogna ancora di una costruzione preventiva di senso, di una direzione del proprio pensiero, che investe l’antropologia, la biologia, la filosofia morale e quella politica. Viepiù, per le diverse ascendenze religiose, una concezione ecologica non può che procedere da una concezione della vita e della creazione. Inoltre, Laudato Si’ ripercorreva le ragioni della scelta francescana, che è una scelta canonisticamente interessante tanto per motivazioni ecumeniche quanto per ulteriori ricadute interreligiose. Francesco d’Assisi è stato ritenuto tra gli ispiratori di quel rinnovamento etico-spirituale che, dal XIII secolo in poi, ha avviato e perfezionato le pagine più durevoli e benefiche nella storia del pensiero politico europeo[ref]Tra le opere più importanti, che segnalano il succitato vincolo di sostanziale derivazione del nuovo umanesimo giuridico cristiano anche dal francescanesimo, M. Cacciari, Doppio ritratto. San Francesco in Dante e Giotto, Adelphi, Milano, 2012; F. Cardini, Francesco d’Assisi (1989), Mondadori, Milano, 2020. [/ref]. Non solo: della sua opera e del suo operato hanno sentito ed espresso lodi contemporanei di altre fedi religiose (sultani, giureconsulti islamici, scismatici dei movimenti protestanti radicali pre-riformati). La nettezza di scelte insita nel francescanesimo paradossalmente diviene la cartina di tornasole di un nuovo universalismo, orientato all’invenzione (in senso etimologico: rinvenimento in praxim) di pratiche nuove del vivere comune: un presupposto di fratellanza. E, in ultima analisi, Laudato Si’ procedeva nel solco del tener giunta la ricerca teologica alla questione sociale, rivitalizzando per tale via l’apporto del diritto canonico particolare, quello cioè che sub exemplo della legge e della tradizione tuttavia articola le esperienze concrete del vissuto ecclesiale, se del caso fornendo avvedute dinamiche di inclusione, innovazione e partecipazione. Una Chiesa che pensa solo al proprio centro decisionale, dimenticando la periferia della determinazione effettiva e sostanziale, rischia di non essere più una ecclesia Corpus Christi, ma un gigante la cui testa prominente schiaccia le membra gracili[ref]Denunciava il problema sul piano ecclesiologico, pur non ricorrendo alla medesima immagine avversativa, L. Boff, Chiesa: carisma e potere, Borla, Roma, 1984.[/ref]. Come si vede, seguendo gli assi dell’enciclica sulla salvaguardia della casa comune, si giunge con coerenza al tema della fratellanza, anzi determinando non occasionali motivi di perplessità quando la fratellanza, da creazione paritetica dell’affettività inter-umana, si ordina comunque secondo i criteri gerarchici consuetudinari. In proposito, è a molti parso un tentativo di non scontentare fronti normalmente abituati a rappresentarsi contrapposti (progressisti e conservatori) l’andamento di tre esortazioni apostoliche successive alla controversa Amoris Laetitia: Gaudete et Exsultate, che ribadiva il principio della chiamata alla santità, Christus Vivit, sul dibattuto tema teologico del discernimento vocazionale, Querida Amazonia, che metteva al centro del Magistero i diritti dei popoli indigeni, pur poco concedendo a chi avrebbe atteso sul punto una riflessione integralmente innovativa, anche in ottica liturgica e sacramentale[ref]Francesco, Esortazione Apostolica Gaudete et Exsultate sulla chiamata alla santità nel mondo contemporaneo, 19 Marzo 2018; Id, Esortazione Apostolica Post-sinodale Christus Vivit ai giovani e a tutto il popolo di Dio, 25 Marzo 2019; Id, Esortazione Apostolica Post-sinodale Querida Amazonia al popolo di Dio e a tutte le persone di buona volontà, 2 Febbraio 2020 (anche i detti documenti risultano integralmente reperibili in http://www.vatican.va).[/ref].
Non v’è dubbio che i principali vettori dell’approccio dialogico bergogliano – l’umanesimo e la cultura ateistico-secolare; il mondo islamico, prevalentemente, ma non esclusivamente, sunnita; le realtà indigene latino-americane; il cristianesimo orientale – indichino in re ipsa, se ancor meglio veicolati, le coordinate di un discorso di tipo nuovo sulla fraternità. Sulla scia dell’insegnamento conciliare, non ci si nega il confronto con le sensibilità autentiche della cultura civile che non hanno trovato la fede, ma che con la fede sentono l’esigenza di caricare rinnovatamente l’eccedenza assiologica dell’umano, contro il dominio tecnico-finanziario. Si discute, proprio come nell’incipit di Fratelli Tutti, con le realtà organizzate della religiosità collettiva, che contemporaneamente subiscono il fondamentalismo dei propri seguaci come dei propri oppositori. Si osservano le identità originarie nelle culture popolari, che spesso precedono le forme specifiche dell’appartenenza religiosa. Si torna a confrontarsi con schiettezza e rispetto, meditazione e tolleranza, nei confronti di quelle forme divise del cristianesimo che, invece, collaborativamente molto possono offrire l’una all’altra e probabilmente all’associazionismo solidale e di promozione sociale e culturale, complessivamente inteso. Fratelli Tutti non è un documento irenico; non omette le fatiche del mondo pandemico, non nega l’esistenza di problemi sociali di bruciante attualità, ora raccontati frammentariamente (le guerre globali), ora taciuti (le condizioni della pena e le privazioni di libertà), ora e peggio lasciati allo scandalismo delle accuse, della paura e del populismo (le sperequazioni sociali, le forme irregolari e predatorie delle migrazioni, il senso collettivo, dopo decenni di opposta narrazione, di un comune, grave, pesante arretramento socio-economico).
Torniamo così, ci pare, nella involontaria ringkomposition di un diritto che deve essere contemporaneamente autonomia e cura[ref]Sul punto sempre attuali le considerazioni di E. Dieni, Il diritto come “cura”. Suggestioni dall’esperienza canonistica, in Stato, Chiese e pluralismo confessionale (Rivista telematica, http://www.statoechiese.it), Giugno 2007.[/ref], sfera d’azione e attribuzione di senso[ref]Di sfere di giustizia, come ambiti dell’agire plurale, parla M. Walzer, Sfere di giustizia, Laterza, Roma-Bari, 2008; interessante, sulle implicazioni etiche stavolta personali e non collettive, R. Nozick, La vita pensata. Meditazioni filosofiche, BUR, Milano, 2004. [/ref], a una declinazione non meramente biologica della fratellanza: fratellanza non come corredo di geni, né come presunzione di legge. Fratellanza, all’opposto, come precondizione essenziale per rendere il linguaggio delle libertà fruibile a un incessante lavoro di traduzione[ref]Sul metodo della traduzione interculturale, tra i più efficaci lavori giuridici in lingua italiana si segnalano M. Ricca, Oltre Babele. Codici per una democrazia interculturale, Dedalo, Bari, 2008; Id, Culture interdette. Modernità, migrazioni, diritto interculturale, Bollati Boringhieri, Torino, 2013. [/ref], a beneficio degli ultimi. Il solco ha preso forma. Non era facile, ma è troppo più facile che renderlo a seguire campo e raccolto. Da quel punto di vista, il lavoro non è nemmeno iniziato.