Teologia politica e teologia economica
Vincenzo Rosito
La crisi in quanto “esperienza critica” vissuta da un determinato contesto sociale e in un preciso frangente storico non è qualcosa di nuovo per la filosofia occidentale. Pertanto l’attuale crisi economico-finanziaria che le società occidentali stanno attraversando si offre quasi naturalmente alle analisi della filosofia politica o delle scienze sociali. È dunque una necessità, nonché un compito quasi naturale, quello di leggere e interpretare la crisi mentre la si attraversa, osservarla da un prospettiva interna conservando pur sempre lo spazio della riflessività. Filosofia e crisi sono infatti legate da un vincolo stretto e indissolubile poiché uno dei compiti che da sempre contraddistingue la riflessività occidentale è proprio l’esercizio della critica, l’esercizio cioè del giudizio sull’ora, sull’evento che si offre allo sguardo di chi avverte l’impellenza di interpretarlo. Nella lettura filosofica della crisi è dunque necessario riconoscere la “criticità” di un rapporto, ovvero la criticità del rapporto che per eccellenza contraddistingue la razionalità occidentale: quello tra il soggetto conoscente e l’oggetto conosciuto.
L’analisi della crisi economico-finanziaria che ormai da diversi anni incombe a livello planetario sta lentamente orientando la riflessione filosofico-politica intorno alle modalità con cui la realtà economica determina o condiziona gli universi di senso in cui gli agenti sociali si collocano e agiscono. Il potere economico non si manifesta soltanto come influenza esercitata dai mercati, dagli istituti bancari o dalle imprese multinazionali sulle sorti della vita politica e sociale. Il potere stesso, nella sua generalità infatti, non può essere letto esclusivamente come capacità propria di un agente specifico di determinare il comportamento di un altro agente. Tale visione monodirezionale dei rapporti di potere non è più in grado di fornire una lettura adeguatamente efficace del mondo contemporaneo e dell’intera storia sociale dell’umanità. Il potere è piuttosto uno strumento necessario e onnipervasivo a cui da sempre gli individui socializzati ricorrono per dare forma ai paesaggi istituzionali, politici e sociali in cui vivono; esso rappresenta la sostanza con cui si sono combinati, nel corso dei secoli ruoli, pratiche e saperi ben precisi. Il potere, compreso quello economico, ha sempre una dimensione pluridimensionale nel senso che è lo strumento principalmente usato per dare forma alla soggettività sia al livello micrologico delle relazioni interpersonali che al livello più esteso dei rapporti sociali.
Il dispositivo della teologia politica fa leva proprio su questo presupposto: sondare il rapporto esistente tra sapere teologico e potere, non essendo quest’ultimo sinonimo di dominio ma di organizzazione di un campo simbolico e pratico di rapporti. La teologia, essendo a sua volta discorso razionale e riflessivo sul rapporto tra un Dio personale e creatore e un essere libero e creato, ricorre alla configurazione di un sapere specifico oltre che a categorie capaci di determinare assetti relazionali e dunque specifiche strutture sociali. Il rapporto tra sapere teologico e discorso filosofico sul potere è dunque alla base della specificità della teologia politica la quale in maniera del tutto particolare si presenta come disciplina che più di ogni altra ha una matrice al contempo teologica e filosofica.
La teologia politica non può essere confusa né con la politica della teologia, né con la teologia della politica. Se la prima rimanda a un concreto assetto del potere politico assoggettato all’ingerenza e al dominio del potere religioso, la seconda descrive la posizione di quest’ultimo quando è strumentalmente impiegato nel rafforzamento della coesione comunitaria di un dato contesto sociale e politico. Pertanto la teologia politica non coincide con lo studio dei rapporti storicamente dati tra la sfera del politico e quella del religioso, ma indugia piuttosto sui processi collettivi di produzione di alcuni significati sociali, ovvero sull’interazione epistemica tra il sapere teologico e quello filosofico.
Carl Schmitt ha contribuito più di ogni altro a elaborare lo statuto contemporaneo della teologia politica. Il presupposto di questa disciplina è che la teologia cristiana implica inevitabilmente un’immaginazione produttiva del potere politico. Questo assunto è in grado di fondare la tesi secondo cui la costruzione teorica della sovranità, che ha caratterizzato la storia politica e istituzionale della modernità, trova il suo fondamento nella riflessione teologica sull’unicità trascendente di Dio. Secondo Schmitt il paradigma del potere politico statuale viene a costituirsi in relazione a un processo di secolarizzazione delle categorie teologiche. In realtà più che sulla circolarità ermeneutica tra l’ambito teologico e quello filosofico-politico, la riflessione di Schmitt si concentra sulla dinamica storica della secolarizzazione, ovvero su quella struttura epistemica che rappresenta l’alveo in cui i concetti politici moderni sono stati generati. Più che una genealogia storica delle categorie politiche, il giurista tedesco offre una teoria del potere in relazione alla dinamica storica e sociale della secolarizzazione, essendo la sua principalmente una sociologia dei concetti giuridici. Schmitt è dunque interessato a quell’ambito specifico dell’organizzazione moderna e occidentale del potere politico che viene identificato con il paradigma della sovranità e al rapporto di questa con la produzione normativa. Egli guarda al mondo delle relazioni politiche dalla prospettiva dell’autorità statuale; l’ambito del politico sembra così esaurirsi nei dispositivi teologici con cui i soggetti politici occidentali hanno immaginato e implementato l’idea di autorità la quale rappresenta, a sua volta, il momento concettuale intorno a cui il mondo delle istituzioni e dei poteri si è strutturato nella forma di una potestà decisionale fondata e regolamentata dagli usi specifici della norma giuridica.
Nella prospettiva schmittiana è quasi del tutto assente l’idea che la teologia politica sia soltanto uno dei paradigmi scaturiti dalle trasformazioni storiche dei concetti teologici. Accanto a essa, infatti, si dovrebbe collocare un secondo paradigma identificabile con la teologia economica. Quest’ulteriore ambito disciplinare allarga la prospettiva tanto della filosofia quanto della teologia sull’analisi del potere configurato non solo in una chiave politico-statuale ma anche amministrativa e governativa. Accanto alla dimensione politica e istituzionalizzata del potere sovrano, immaginato come un movimento discendente e gerarchico da cui sono scaturite le istituzioni politiche e giuridiche occidentali, deve essere pensata una dimensione economica del governo del mondo e dell’amministrazione dell’oikos in quanto spazio orizzontale e immanente dei rapporti di scambio effettuati a un livello domestico e sociale piuttosto che politico.
Le categorie fondamentali della teologia politica ricorrono al lessico teologico della trascendenza divina e ai modi con cui questa si rende effettivamente esperibile nel suo intervento efficace sul mondo in quanto signoria che ordina il mondo. L’orizzonte terminologico della teologia economica si estende invece sul piano immanente del governo delle realtà mondane in quanto realtà da gestire e da amministrare. Se nell’ambito della teologia politica l’immagine di riferimento era principalmente quella di un Dio trascendente e personale in grado di strutturare, mediante ordini di potere, il mondo degli uomini, nel paradigma della teologia economica Dio è piuttosto estraneo se non addirittura indifferente alla realtà delle cose del mondo. L’ambito dell’oikonomia viene fondato proprio da questa concezione teologica di Dio dalla quale scaturisce l’idea di un mondo che è il regno immanente degli atti con cui gli uomini amministrano l’ordinaria fruizione di beni e ricchezze. La sfera economica nasce dunque in relazione a una specifica concezione del mondo degli uomini in quanto spazio da governare. La realtà immanente dell’uomo, la sua oikia, si compone infatti di beni che devono essere gestiti da bravi amministratori i quali sono stati delegati da un padrone momentaneamente lontano, ma che non tarderà a venire.
È dunque più che mai necessario ricorrere a un doppio paradigma in grado di effettuare una ricerca critico-genenalogica intorno alla categorie della crisi. Il dispositivo teologico-politicono deve essere affiancato dall’autonomo paradigma della teologia economica. In quest’ultimo ambito è fondamentale il ruolo ricoperto dal modello trinitario con cui la teologia cristiana ha espresso la comunicatività costitutiva di Dio. Esso rappresenta un luogo imprescindibile per le genealogie dei concetti teologico-economici come, ad esempio l’idea di commercio (commercium) o di interesse (inter-esse). Sono queste, infatti, specifiche categorie teologiche che nel corso dei secoli hanno espresso prima di tutto i rapporti di mediazione interna e di interazione tra le persone della comunità trinitaria.