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Un anno di DAD

di Valeria Budassi, studentessa presso il Liceo Scientifico “Nomentano” di Roma

 

Nel mese di Marzo del 2020 è stato bloccato tutto a causa di un virus da molti sottovalutato, ma che ha ingenerato una pandemia ancora oggi in corso. Nessuno sapeva come affrontare la situazione, che ogni giorno si aggravava. Cosa fare? Si decise di chiudere tutto, provocando grande confusione nella vita di ognuno. Intanto la scuola che ha fatto? Questa è riuscita ad andare avanti usando la famosa DaD, la didattica a distanza, di cui tutti parlano ma che in pochi conoscono. Essa consiste nel trasferire le attività scolastiche dalla presenza al remoto, proponendo lezioni in videochiamata, compiti e test da fare su piattaforme online, ecc.

Certo, si è andati avanti, ma la mancanza di ogni contatto fisico, la diffidenza dei professori, il sentirsi all’improvviso sommersi di responsabilità non hanno fatto altro che acuire il vuoto e il senso di solitudine che la nostra generazione già sentiva pressante. Josè Saramago scrisse “la solitudine non è vivere da soli, la solitudine è non essere capaci a fare compagnia a qualcuno o a qualcosa che sta dentro di noi”. Possiamo sentirci soli in mezzo a una folla di gente, accanto ad un amico e questo sentimento scaturisce dal non riuscire a sentirsi utile. Del resto un ragazzo come può sentirsi utile se è chiuso all’interno di uno schermo?

La DaD continua ad essere considerata un’arma ottima, la soluzione ad ogni problema didattico, peccato che chi l’ha vissuta affermi tutto il contrario.

Senza dubbio, la Dad è uno strumento adatto per far fronte a situazioni d’emergenza, ma solo se non durano a lungo perché nasconde molti pericoli. Innanzitutto, viene a mancare il rapporto fra studenti della stessa classe, è spaventoso pensare che alunni della prima media o del biennio al liceo non si siano mai visti di persona. Scegliere il proprio compagno di banco, scambiarsi le merende, parlare dei propri problemi e consolarsi a vicenda in caso in compiti in classe o interrogazioni, sono elementi sconosciuti a molti ragazzi e la loro mancanza ha ingenerato sofferenza in chi era abituato a vivere questi atti come propria quotidianità.  Inoltre manca il rapporto studente-professore. I docenti non si possono fidare di alcun alunno per via degli escamotages che offre il web. Anche in presenza, gli studenti sono soliti aiutarsi a vicenda durante i test, scambiandosi magari dei bigliettini contenenti dei suggerimenti, ma in questo caso chi suggerisce è internet, una fonte inesauribile e facilmente accessibile di sapere. Oltretutto, inquadrando solo alcune parti della propria stanza gli studenti riescono facilmente a consultare i propri libri di testo. Infatti si è diffusa presto l’usanza di far bendare i ragazzi durante un’interrogazione, per essere sicuri che non stessero leggendo, ma senza rendersi conto della violenza commessa.

Chi studia lo fa per avere un buon voto, chi copia lo fa per lo stesso motivo e a volte ai professori nemmeno interessa accertarsi che gli argomenti siano stati appresi, ma non perché siano cattivi insegnanti, anzi spesso succede ai migliori. Perché capita anche ai più bravi? Le risposte sono varie, ma la realtà è una: da uomini siamo passati ad essere macchine. Infatti è stato preteso dai professori di continuare a insegnare usando la Dad, senza considerare che avrebbero dovuto imparare in pochissimo tempo ad usare perfettamente programmi fino ad allora sconosciuti. Inoltre, hanno dovuto garantire una buona conoscenza degli argomenti trattati, ma allo stesso tempo tenere conto della situazione difficile vissuta dai ragazzi. Molti docenti hanno deciso di creare gruppi whatsapp con le proprie classi, altri addirittura hanno scelto di tenere il telefono acceso fino a tarda notte per essere fonte di supporto per i propri studenti. Altri invece sono crollati per il troppo peso che gravava su di loro, qualcuno non si collegava mai, qualcun altro se lo faceva si preoccupava solo delle videocamere accese, senza fare lezione ma continuando ad assegnare compiti in classe. Naturalmente, le lezioni in videochiamata non possono essere paragonate a quelle in presenza. In classe si costruiscono rapporti d’amicizia duraturi, si impara a rapportarsi con persone diverse continuamente e si viene a contatto con molteplici punti di vista su una stessa idea. Inoltre, nei migliori dei casi, si impara il valore della cultura. Philippe Daverio diceva “sono ancora convinto che la cultura salverà il mondo”.  Egli ne era convinto perché la cultura è l’unica vera garante di libertà. Ma la trasmissione della cultura non è permessa dalla DaD. La comprensione degli argomenti trattati non è mai totale, anche solo per i problemi tecnici, quali l’assenza di internet oppure microfoni o videocamere che non funzionano. Inoltre la situazione si complica trattando le materie scientifiche che necessitano un’attenzione costante da parte dello studente e pazienza e passione da parte dell’insegnate. Come si può rimanere concentrati anche solo un’ora davanti ad uno schermo in cui sono disegnate delle linee? Semplicemente non si può, anche perché i professori sono costretti a usare delle lavagnette digitali su cui è difficile scrivere.

Insomma la didattica a distanza è stata un modo per garantire lo svolgimento delle attività scolastiche durante la pandemia, ma è bene riflettere prima di considerarla come un altro modo di fare scuola. Essa può essere solamente uno strumento da usare in situazioni d’emergenza, ma non potrà mai sostituire la scuola, che è solo una, ossia quella in presenza.

Lettera ai miei docenti

di Anna – Studentessa liceale

9/03/2020, data fondamentale da ricordare poiché l’istituzione scolastica italiana si è fermata a causa dell’emergenza sanitaria più problematica del ventunesimo secolo.
Siamo stati tutti catapultati in una situazione di indubbio disagio, in cui nessuno sapeva come comportarsi e come sfruttare al meglio i molteplici (forse troppi) strumenti telematici che ci erano prospettati. Timore e totale disorientamento segnavano intere giornate passate in isolamento. Noi studenti abbiamo unito le forze e attinto alle nostre risorse per continuare il percorso scolastico al quale abbiamo, pur sempre, diritto, rivoluzionando il concetto classico di “scuola”, mettendo in discussione tutti i valori precedentemente acquisiti.
La domanda che sto per porvi richiede, per la risposta, un profondo esame di coscienza, la più sincera presa d’atto degli effetti delle decisioni prese: vi siete mai soffermati ad analizzare lo stress emotivo, e altrettanto psicologico, a cui siamo stati sottoposti?
La didattica a distanza ci ha segnato particolarmente, ma la peggiore esperienza è stata, ed è tutt’ora, la mancanza di comprensione da parte di persone che consideravamo quasi alla stregua di “modelli di vita”.
Sin da bambina, ero incuriosita da tutto ciò che mi circondava, dalle matite colorate che mia mamma riponeva nel mio zaino ogni mattina, alle singole storie che la mia insegnate era solita raccontare. La scuola è sempre stato un luogo in cui, ai miei occhi, era assente l’ignoranza (il male peggiore che possa esistere, a parer mio) e, soprattutto, la paura di essere incompresi.
15/09/2020, il Governo italiano afferma di aver lavorato incessantemente durante il periodo estivo ed è pronto a riaprire le scuole della penisola. Risultato? Tempo due mesi e sono stati costretti a richiudere; siamo punto e a capo. Sorpresi? Neanche noi.
Eravamo convinti di saper lavorare con questa dannata DAD, eppure riscontriamo gli stessi, identici problemi iniziali: scarsa connessione, problemi tecnici di ogni tipo, diminuzione della concentrazione e della voglia di continuare con questa, permettetemi di dirlo, inutile modalità. Ripeto, siete sorpresi?
Abbiamo difficoltà a farvi capire che ci sentiamo lasciati quasi allo sbando, quei “modelli di vita” di cui parlavo hanno ormai come unico obiettivo quello di farci ingurgitare più nozioni possibili, per poi farcele recitare a loro piacimento.
Eravamo coscienti di entrare in una scuola dove non c’è posto per la pigrizia e la non curanza per gli studi, certo, ma se avessimo saputo che il livello di comprensione umana sarebbe stato praticamente nullo, illustri professori, avremmo riconsiderato le nostre scelte. Non fraintendeteci, siamo fieri del percorso che abbiamo intrapreso ed essendo giunti quasi al termine di questa esperienza, non vogliamo lasciare questo ambiente così come lo abbiamo trovato. Proprio per questo vi chiediamo, ora, in questo momento così delicato, di seguirci nell’essere il cambiamento in cui tutti noi, ancora, crediamo.
La scuola non può essere un luogo in cui ansie e paure regnano sovrane, ma un posto in cui la curiosità non trova confini e l’educazione e il rispetto per il prossimo devono essere all’ordine del giorno.
Cercate di comprendere le nostre necessità, senza annientare le nostre capacità personali, e vi assicuro che non ci sarà spazio per future incomprensioni, poiché, con la giusta benevolenza, non avranno modo né luogo di esistere.