È ormai quasi un luogo comune: a traghettare le “società occidentali avanzate” fuori dalla lunga crisi, che esse attraversano almeno dall’inizio del nuovo Millennio – crisi della rappresentanza democratica, crisi del lavoro e della produzione, crisi dei riferimenti simbolici e identitari – dovrà essere chi inquesti anni va a scuola, o tutt’al più all’università. Le energie intellettuali e la libertà di spirito necessarie, non ce le possiamo aspettare solo da chi ha già oggi l’età per essere “classe dirigente”; da quanti cioè, nella miglioredelle ipotesi, per attraversare il guado con un certo successo, si sono dovuti adattare a un modello sociale che esige molta specializzazione e poca distanza critica; e, nell’ipotesi peggiore, devono affrontare problemi quotidiani così assillanti da doversi accontentare di soluzioni immediate, di “metterci una toppa”, senza stare tanto a chiedersi quali conseguenze si preparino, nel medio e nel lungo termine.

D’altra parte – ecco l’altra faccia del luogo comune – ci angoscia la sensazione che questi giovani potenzialmente più liberi e creativi che mai, ricchi di mezzi tecnologici ed esperti delle loro modalità d’uso, siano al tempo stesso desolatamente poveri di strumenti per comprendere davvero la crisi e trovare vie d’uscita; in una parola – che adombra però molti significati – per progettare alternative di società.

Ma che cosa c’è esattamente dietro i luoghi comuni? Che cosa ha di speciale la crisi che stiamo vivendo, se è vero che ogni tempo ha pensato se stesso come un’epoca di crisi? Le statistiche e i sondaggi – altro tratto non secondario dello spirito di questo tempo – non ci dicono nulla in proposito. O meglio: non ci sanno rispondere da soli, se non si fa loro la domanda corretta. Resta una sensazione di inquietudine, da decifrare.

Com’è stato scritto di recente (da Luciano Violante), “c’è differenza tra crisi e passaggi. La crisi segna un declino, il passaggio segna una trasformazione. Mala distinzione non è fondata su automatismi. Se assistiamo inerti e senza memoria ai processi che si svolgono sotto i nostri occhi,  il declino dellademocrazia sarà inevitabile”.

Già,“inerti e senza memoria”: è una buona fotografia delle ragioni della nostra inquietudine. Azzarderei: inerti (anche) perché senza memoria. Un’immagine minimale, ma impressionante, è il disorientamento dei concorrenti di un noto quiz televisivo, ai quali viene richiesto di abbinare alla descrizione di un avvenimento una di quattro date possibili (tutte del Novecento). Dis-orientamento: non sapere dove si è, non trovare la via. E non perché non si siano imparate le storie: fin troppe, la scuola ne ha insegnate. Ma non hanno formato la direzione di un percorso, non sono diventate infine la mia storia. Nessun rapporto con me, qui, oggi. Impossibile ragionare di un noi, di un altrove, di un futuro.

Per fare solo un altro esempio: “non esistono più la Destra e la Sinistra”, lo può dire un osservatore che ha delle esperienze, dei significati magari discutibili da collegare a quelle due parole; che una volta ha creduto di sapervi riconoscere due discorsi politici e, forse, addirittura due tipi umani, mentre ora non li riconosce più. Ma la stessa frase la può dire anche chi letteralmente non sa cosa Destra e Sinistra significhino, o abbiano significato; chi non ha mai visto, ascoltato, sperimentato e, soprattutto, riconosciuto all’opera una politica di Sinistra nella sua differenza da una politica di Destra (eviceversa). Nell’uno e nell’altro caso, è la stessa frase. Descrive lo stesso presente. Eppure, non vuol dire la stessa cosa.

Non serve, dunque, riempire la memoria di altre storie, che restino tuttavia,appunto, altre. Non è questo che serve, almeno, se l’obiettivo è di realizzare la consapevolezza che le condizioni del nostro presente – in ordine sparso e un po’ a caso: i vincoli di Maastricht, la crisi dei partiti e la corruzione politica, la disoccupazione tecnologica el’aumento delle disuguaglianze, il bullismo sui social e i “femminicidi”, le migrazioni di massa –, tutte queste condizioni non sono messe lì una volta per tutte, per un destino ineluttabile,ma sono il risultato di scelte e di tendenze, le abbiamo fatte noi, un po’ per volta, un po’ per uno, e potevamo e possiamo fare diversamente. Ma, al tempo stesso, per scegliere cosa vogliamo fare e come, dobbiamo conoscere cause ed effetti, quel che un’opzione significa per noi – per la nostra testa e per la nostra “pancia” – e quel che può significare per altri. Perché è così, a partire dalle cause ma anche dai significati, dai fatti ma anche dalle parole con cui li raccontiamo(e anche i numeri, in un certo senso, dipendono dalle parole), che le cose succedono; che si subiscono oppure si prevedono e si orientano, cioè si governano.

La nostra proposta è quindi di procedere all’inverso. Non dalla ricognizione dei concetti, né dalla ricapitolazione delle storie. Bensì da alcuni temi didiscussione, anche eterogenei, ma di cui ognuno può dire con certezza che intrecciano, o intrecceranno di qui a poco e inevitabilmente, la mia storia, il mio qui e ora. Per fare qualche esempio: 1.C’era una volta la destra e la sinistra; 2. Reddito senza lavoro vs dignità senza reddito: un lavoro per tutti, un reddito a ognuno o che altro?; 3. Tempo del lavoro e tempo della vita: da una solitudine all’altra? 4. Amicizia e like:come si forma il legame sociale. Ognuno di questi temi suscita domande, la risposta alle quali è aperta; e non ci sono neppure concetti “scolastici” che possano fornirci una soluzione, quei termini di cui il filosofo Adorno diceva che ognuno di essi è la cicatrice di un problema irrisolto. Qui la cicatrizzazione non è ancora nemmeno iniziata; c’è solo il problema. Eppure, se ne può parlare; si possono fare domande, e poi si può cercare di formulare le domande giuste. Non è cosa da poco. Servono parole. E serve intenderci sul loro significato.

Alcune delle parole con cui ci interroghiamo sono parole nuove, quasi tutte in inglese, quasi tutte attecchite sulla Rete, sorte dalle possibilità delle nuove tecnologie. Bene: occorre conoscerle, e qui i più giovani sono insuperabili. Sono loro i battistrada. Ma poi ci si può chiedere (e allora può soccorrere l’esperienza di adulti più “smaliziati”): significano davvero qualcosa di preciso? O sono etichette messe là proprio per non parlarne più, per arrestarela riflessione? D’altra parte ci sono ancora le parole vecchie, certamente inadeguate, eppure necessarie per cominciare a pensare; quanto meno, perché non ne abbiamo ancora altre! In esse, oltretutto, è sedimentato un patrimonio di scelte, di esperienze, anche di malintesi, da cui ancora si può imparare, se non altro a non ripetere gli stessi errori. Infine, cominciando a parlare, si può scoprire quel che vorremmo sapere e non sappiamo, e quali sono i saperi necessari per fare buone domande.E qualcuno, dei più giovani o dei meno giovani, potrà suggerirci perfino dei saperi di cui ignoravamo di aver bisogno, ma la cui mancanza, fino a questopunto, ha limitato la nostra prospettiva.

Qui, e solo qui, l’esperto, il competente, l’accademico può servire a qualcosa. Purché questo qualcosa, a sua volta, serva a entrare nella nostra storia di oggi e a riconoscerla appunto come la storia che stiamo vivendo, una storia che non sappiamo come andrà a finire, perché dipende da noi (e già la responsabilità di una storia comune dà senso ad un “noi”, che arricchisca il punto di vista di un io isolato e diffidente). Poi, eventualmente, si aggiungerà la consapevolezza che dietro i racconti della Storia e le parole delle Istituzioni, del Diritto, della Politica, dell’Economia, ci sono stati percorsi simili a quello del nostro presente: che la Storia è sempre stata per qualcuno,una volta, la “mia” storia, che è fatta di carne e di sangue, di problemi e di soluzioni(buone e cattive), di memorie e di progetti, e per questo ci può appartenere e ci può servire.

Giovanni Magrì  

Segretario FIM Sicilia

Programma I semestre 2019:

È razionale un’economia darwinista? Presentazione
di S. Spagano, Il caso, la necessità e la
volontà. Un percorso nell’istituzionalismo economico evoluzionista
, Aracne,
Roma 2018 (presentazione a cura di Maurizio Caserta)

Giustizia ed equilibri istituzionali.
Discussione pubblica dell’intervista collettiva di Filosofia in Movimento,
sezione siciliana, a Giustiziainsieme
(referente: Angelo Costanzo)

Presentazione di A. Corbino, Rigore è quando arbitro fischia. Il mito
della legalità
, Jovene, Napoli 2018

Governare con gli algoritmi? Discussione tra un giurista, un
filosofo e un economista sulle politiche della Banca Centrale Europea