Georges Simenon, Il Mediterraneo in barca, Adelphi, 2019
di Giacomo De Rinaldis
Il dottor Francois Mahé ogni estate si ostinava a portare la famiglia in vacanza a Porquerolles, isola della Costa Azzurra della quale mal sopporta il sole abbacinante ed il caldo appiccicoso; eppure lì viene folgorato da una scena: una ragazzina vestita di rosso che lo guarda intensamente, in una casa poverissima dove si era trovato quasi per caso a constatare la morte di una donna. Questa immagine ossessionerà la mente del dottore: essa misura in qualche modo la distanza che intercorre tra la vita essenziale ed autentica di quel luogo esotico e la sua grigia esistenza, ingabbiata nelle forme precostituite della provincia francese.
Questo il nucleo del romanzo Il Clan dei Mahé[1] di Georges Simenon, che proprio da Porquerolles parte per la sua crociera attraverso il Mediterraneo raccontata ne Il Mediterraneo in barca[2], libro che raccoglie i resoconti dei viaggi che lo scrittore fece tra il maggio e l’agosto 1934 a bordo della sua goletta, con un improbabile equipaggio capitanato da Angelino, un italiano con cui riesce a comunicare a gesti, quasi miracolosamente.
Come nel romanzo, anche qui si parla di un’ossessione, cioè della ricerca di una definizione di questo mondo stranissimo, tanto luminoso quanto sfuggente: non a caso all’inizio del libro Simenon ripete come un mantra ‘Il Mediterraneo è…Il Mediterraneo è…’[3]. Di questo mondo così diverso lo scrittore francese sente di poter parlare solo balbettando, sospende qualsiasi tentativo di definizione (dal momento che sa di non essere un filosofo), eppure ammette che “E’ difficile girare per il Mediterraneo senza filosofeggiare. E filosofeggiando si corre naturalmente il rischio di dire tante sciocchezze…”[4].
Lo scrittore intuisce che per dare un’idea di cosa sia il Mediterraneo non gli resta che fare il suo mestiere: raccontare storie, come quelle ascoltate per caso nel suo girovagare tra Napoli, Messina, Malta, Tunisi; in queste pagine descrive il nervosismo e il sudore di giorni interi trascorsi ad attendere il vento di ponente per poter proseguire il viaggio, racconta dei bordelli (a suo dire uno dei pochi motivi per cui valga la pena scendere a terra) e della ‘appiccicosa beatitudine’ in cui rilegge la Bibbia e i classici greci e latini, iniziandoli finalmente a comprendere, o meglio ad abitare, dal momento che si trova nei luoghi di questi libri. Per lui infatti il Mediterraneo rappresenta l’essenza stessa della cultura latina, è il mare della Storia e del mito.
Tra le pagine del libro troviamo delle bellissime fotografie scattate durante questi viaggi, che fanno da contrappunto alle immagini che lo scrittore crea con i suoi racconti: così come nella storia del dottore Mahé tutto era racchiuso nella figura della ragazzina col vestito rosso, il senso del Mediterraneo giunge alla mente di Simenon nel momento in cui sull’isola d’Elba vede i tipici asini del Sud, così lontani dai poderosi cavalli e dalle vacche pasciute del Nord: “Di un asino non si può certo dire che sia allegro. Ma non si può neanche sostenere che sia triste. Va dritto per la sua strada, paziente, simile a un vecchio filosofo che ne ha viste così tante che niente riesce a turbarlo. Se la fame gli attanaglia le viscere, sa che protestare non serve a nulla e aspetta fiducioso che la Provvidenza si mostri più clemente.” [5]
Questa estrema pazienza, questa attesa inconsapevole è l’essenza dell’uomo mediterraneo, che nel rapporto con l’altro è capace di accogliere indiscriminatamente, con semplicità e senza retorica: “Non si tratta di carità, né di affetto traboccante”[6], ma proprio di questa ‘saggezza dell’asino’, di una lucidità che guarda alle cose senza orpelli, nella loro nuda luce: senza speranza né disperazione. Le genti del mare nostrum sono come i miti che hanno generato, i quali non sono né allegri né tristi, ma analizzano semplicemente la vita umana nei suoi elementi fondamentali.
Questa naturale predisposizione ad accogliere di cui parla Simenon ricorda molto da vicino la visione del Mediterraneo come “Spazio archetipico di convivenza”[7] del recente Lumi sul Mediterraneo: lo scrittore sembra rappresentare proprio questa dimensione quando parla del mare nostrum come di un ‘campo di golfi’ che dà sempre la possibilità di incontrarsi e ritrovarsi, poiché in esso possiamo naufragare fiduciosi di tornare a casa, come Ulisse. Si tratta di un grande lago in cui tutti si conoscono, in cui ovunque si vada si potrà trovare un cugino o un parente; per questo “Gli emigranti (…) si ritrovano in famiglia ovunque siano, in quartieri che richiamano alla memoria Genova o Milano, Atene o Smirne”[8]: essi sono capaci di ricostruire la loro casa in ogni luogo perché si trovano a casa dovunque.
Lo spaesamento giunge nel momento in cui lo scrittore sbarca a Malta: qui gli inglesi hanno importato pub, cibo in scatola, campi da golf e policemen che impongono il pudore vittoriano; qui si fa l’amore non alla luce del sole, ma come se si fosse sulle sponde del Tamigi. La lucidità meridionale ha fatto posto alle nebbie atlantiche, a un mondo artificiale che infastidisce profondamente Simenon: non vi è più il tempo mitico, ma quello del progresso, la vita inconsapevole cede il passo all’esistenza sistematica, il mito alla fiction.
Malta è terra di confusione: essa è l’ombelico paradossale del Mediterraneo, un centro senza identità, un’eccezione in un mondo umanamente (e veramente) globalizzato, di cui oggi sono rimasti solo reperti sparsi. Il mare della Storia occidentale oggi si presenta molto più diviso rispetto ad allora, dal momento che esso sembra aver perduto quella sua unità intrinseca che il creatore di Maigret ha potuto osservare in questi viaggi. L’impressione che resta è che questa Malta degli anni ’30 parli a noi di oggi, poiché essa non rappresenta più un’eccezione, ma un ineluttabile destino.
[1] G. Simenon, Il Clan dei Mahé, Adelphi, Milano, 2006.
[2] G. Simenon, Il Mediterraneo in barca, Adelphi, Milano, 2019.
[3] Ivi p. 11.
[4] Ivi p. 86.
[5] Ivi p. 51.
[6] Ivi p. 78.
[7] A. Coratti, A. Cecere (a cura di), “Lumi sul Mediterraneo”, Jouvence, Milano, 2019, p.11.
[8] Il Mediterraneo in barca, p. 81.