La fraternité del 1793 e la «fratellanza». Differenze e compatibilità filosofiche, sull’enciclica di papa Bergoglio.

Il motivo conduttore dell’Enciclica papale «Fratelli tutti» (2020) è la ripresa di una tematica classica nella tradizione politica rivoluzionaria moderna, a partire dalla grande Rivoluzione del 1789, passando per la costituzione del 1848, fino alla Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino di un secolo successiva (1948). È il tema della Fraternité, l’ultima delle tre famose ingiunzioni divenute la «divisa» della Repubblica francese, inscritta nella Costituzione del 1958: Libertà, Eguaglianza, Fraternità![1] La prima considerazione da avanzare, riguardo la posizione del problema offerta dall’Enciclica, è che la nozione papale, francescana, di fratellanza appartiene, com’è ovvio, anzitutto al dominio della morale e della religione; la nozione di fraternità – termine più raro nell’italiano corrente – uscita da una vicenda rivoluzionaria di oltre due secoli, appartiene al dominio della politica e del diritto. Vediamone dunque le differenze e le affinità, le compatibilità concettuali e pratiche.

Nell’Enciclica di Bergoglio si può osservare una costante oscillazione dall’uno all’altro dominio, già a partire dal sottotitolo: «Sulla fraternità e l’amicizia sociale», espressioni sinonime nella nostra lingua («fraternità» = «amicizia sociale»). Nella 4a di copertina dell’Enciclica, tuttavia, la questione è subito spostata sul terreno morale e religios0: «La fratellanza è stata il primo auspicio di Francesco fin da quando, all’inizio del suo Pontificato, ha espresso un desiderio: “Preghiamo per tutto il mondo, perché ci sia una grande fratellanza”. Proprio questa aspirazione, che pone al centro della sua terza Enciclica, gli appare oggi l’unica via d’uscita dal dramma della solitudine dell’uomo consumatore e spettatore, chiuso nel suo individualismo e nella passività…». L’oscillazione terminologica è presente in tutto il testo e l’intenzione appare chiara: estendere la portata del valore morale cristiano della fratellanza – come espressione del comandamento dell’amore del prossimo – dal terreno della religione/teologia a quello della politica laica, in un tentativo di mettere in dialogo le due nozioni, senz’altro compatibili, tanto sul piano storico (delle origini), quanto su quello teorico-filosofico (dei contenuti concettuali).

Nondimeno, sussistono differenze storico-filosofiche importanti e, direi, sostanziali, tra fratellanza e fraternità che occorre qui rilevare.

La prima volta che la nozione di fraternité appare in un contesto politico-istituzionale, come oggetto di dibattito, è nel vivo delle feroci lotte di potere che opposero giacobini e girondini, in seno alla Convenzione nazionale, all’atto della redazione della nuova Costituzione del 1793. Sono i primi vagiti di una «Repubblica universale» che avanzava – in periodo di guerra e di mancanza delle «sussistenze», cioè dei generi di prima necessità – l’esigenza di diritti sociali da garantire ai cittadini vittime «della cattiva sorte», diritti fino ad allora mai istituiti, né discussi. In prima battuta, l’abate Emmanuel Sieyès, nel 1790, in seno all’Assemblea costituente mentre stava redigendo la prima Costituzione della Francia rivoluzionaria, nel 1791, avanzò timidamente la questione: «Si sa che tra i nostri concittadini coloro i quali una cattiva sorte condanna all’impotenza di provvedere ai propri bisogni, hanno dei giusti diritti ai sussidi dei loro concittadini»[2]. Ma il rilievo di Sieyès restò un semplice accenno inascoltato, diremmo pure una pia intenzione. La fraternité infatti non compare come un «giusto diritto» nella celebre Dichiarazione dei Diritti dell’Uomo e del Cittadino del 26 agosto 1789[3].

Il marchese J.-A. C. de Condorcet (1743-1794), ultimo rappresentante dei philosophes, di quella che Robespierre definirà sprezzantemente «la setta enciclopedista», nel 1791 presentò un progetto di riforma degli istituti d’insegnamento, in cinque Mémoires sur l’instruction publique, in cui si propone di estendere l’istruzione elementare a tutto il popolo e, soprattutto, alle donne, in perfetta égalité e fraternité. Nel difendere il diritto delle donne all’accesso alla medesima istruzione degli uomini, in classi miste e non separate (perché ciò garantirebbe una sana e reciproca «emulazione» fondata sul piacere), Condorcet argomenta, nella prima Memoria, dal titolo «Natura e fine dell’istruzione pubblica»:

 

La vita umana non è punto una lotta, dove i competitori si disputano i premi; è un viaggio che si fa insieme come fratelli, e dove ciascuno, impiegando le sue forze per il bene di tutti, ne è compensato dalle dolcezze di una benevolenza reciproca, dal piacere unito al sentimento d’avere meritato la riconoscenza o la stima. Un’emulazione che avesse per principio il desiderio di essere amato o di essere considerato per le qualità assolute, e non per la propria superiorità sugli altri, potrebbe anche divenire potentissima[4].

 

Per Condorcet dunque il primo terreno d’esperienza della fraternité repubblicana è quello dell’educazione e dell’esperienza della parità di genere femminile/maschile, in cui la fraternité è la condizione della égalité.

Due anni e mezzo più tardi, dopo la proclamazione della Repubblica, dopo il processo e la condanna a morte per alto tradimento del re Luigi XVI (21 gennaio 1793), con le nazioni europee nemiche alle porte, Maximilien Robespierre, il 21 aprile 1793, lesse al Club dei Giacobini il progetto di nuova Dichiarazione che ebbe grande risonanza, in quanto doveva includere pienamente la fraternité tra i diritti/doveri dell’uomo e del cittadino – con uno statuto giuridico alquanto ambiguo, tra il politico, il morale e l’economico.

Pur restando fieramente avverso all’égalité economica rivendicata dagli «arrabbiati» (Roux) e dai sanculotti, Robespierre rifiutava di annoverare la proprietà tra i diritti naturali «inviolabili e sacri» dell’uomo, perché in certe condizioni e situazioni, il diritto primario all’esistenza – garantito dal lavoro e dall’accesso ai beni di prima necessità, e dunque la fraternité, in caso di «cattiva sorte» – è quello il solo, «sacro», a valere: «La proprietà è il diritto che ciascun individuo ha di godere e di disporre della porzione di beni che gli è garantita dalla legge… questo diritto è limitato, come tutti gli altri, dall’obbligo di rispettare i diritti degli altri»[5], perciò la proprietà non è annoverabile tra i diritti «sacri». In casi di emergenza, ad es. quando mancano le «sussistenze», la limitazione dei beni privati è non solo legittima ma necessaria. Si tratta di un argomento politico già avanzato con successo da Robespierre in occasione della crisi agraria del 1792, nel famoso «discorso sulle sussistenze» del 2 dicembre 1792. I soli diritti ad essere «sacri» sono dunque la libertà e l’esistenza[6]. Perciò, lo stesso Robespierre fece del «diritto al lavoro» e del «diritto all’assistenza» due diritti naturali fondamentali e imprescrittibili:

 

La società è obbligata a provvedere alla sussistenza di tutti i suoi membri, o procurando loro del lavoro, oppure assicurando dei mezzi di sussistenza a tutti coloro che sono fuori dalla condizione di poter lavorare. I sussidi indispensabili a colui che manca del necessario sono un debito di colui che possiede il superfluo[7].

 

Come osserva J. Godechot, Robespierre, assieme al nobile rivoluzionario di origini prussiane, membro della Convenzione, Anacharsis Cloots (1755-1794)[8], dopo questi rilievi, negli ultimi quattro articoli del progetto di nuova Costituzione si innalzava a considerazioni internazionali, cosmopolite, sulla fraternità tra i popoli:

 

Gli uomini di tutti i paesi sono fratelli e i diversi popoli devono aiutarsi vicendevolmente secondo i loro poteri, come i cittadini di uno stesso Stato. Quel popolo che opprime una sola nazione si dichiara nemico di tutte le altre. Quelli che fanno la guerra a un popolo [il riferimento non velato andava alle potenze monarchiche inglesi e tedesche. N.d.t.] per fermare il progresso della libertà e annientare i diritti dell’uomo devono essere perseguiti da tutti, non come dei nemici ordinari, ma come degli assassini e dei briganti ribelli. I re, gli aristocratici, i tiranni, quali essi siano, sono degli schiavi in rivolta contro il sovrano della Terra, che è il Genere Umano, e contro il legislatore dell’universo, che è la Natura[9].

 

Discorso potente, e bellicoso in senso autodifensivo, che faceva della fraternité ad un tempo una necessità politica e un dovere morale. Ma neanche stavolta la proposta passa. La fraternité non è annoverata tra «i diritti naturali, inalienabili e imprescrittibili dell’uomo» nella Costituzione del 24 giugno 1793. Tuttavia, l’articolo 21 reca l’impronta inconfondibile del progetto di Robespierre, in cui primeggia il diritto all’esistenza: «I sussidi pubblici sono un debito sacro. La società deve la sussistenza ai cittadini sfortunati, o procurando loro un lavoro, oppure assicurando i mezzi di esistere a coloro che sono fuori dalla condizione di poter lavorare». La fraternité non è evocata con il suo nome, ma è là presente, chiaramente espressa nella formula dei «secours publiques», i nuovi diritti sociali che tuttavia la neonata Repubblica non ebbe il tempo di applicare. La stessa Costituzione del 1793, passata alla storia con il nome di «costituzione giacobina», rimase allo stato di progetto e non venne mai applicata. Dopo il colpo di stato del 9 termidoro Anno II (27 luglio 1794), con la caduta di Robespierre, la nuova Convenzione «termidoriana» – formata per lo più da esponenti girondini rientrati in forze – lavorò subito a un nuovo progetto, di una terza Costituzione, proclamata il 5 fruttidoro Anno II (22 agosto 1795), e subito applicata, che espunse i principi dei diritti sociali espressi chiaramente nel 1793. Osserva con acume Charles Godechot: «Il merito principale della Costituzione del 1793 non risiede nelle sue possibilità di applicazione [perché era troppo avanzata. N.d.t.]. Consiste soprattutto nei principi che ha proclamato per la prima volta (i diritti “sociali”) e nei problemi che ha posto. Perciò, benché non sia mai stata applicata, conserva un’importanza capitale nella storia della Francia: è rimasta un esempio e un modello per i democratici. Babeuf e Buonarroti [capi della cosiddetta «Congiura degli eguali», protocomunisti. N.d.t.] ne tessero l’elogio, nel 1796. Ne trasmisero il ricordo ai rari democratici dell’età imperiale e della restaurazione. Grazie a costoro, i costituenti del 1848 se ne ispireranno, e persino quelli del 1946 vi si richiameranno. La Costituzione del 1793 non ha mai smesso di svolgere il ruolo di guida che i suoi autori, certo, non avevano previsto per essa»[10].

Tra i concetti motori di questa «guida» che la Costituzione del ’93 rappresenta, e che ancora oggi funzionano da sprone verso una democrazia reale, c’è senz’altro la fraternité rivoluzionaria. Sottolineerei l’aggettivo «rivoluzionaria», in quanto si tratta di un concetto giuridico e pragmatico che si aggiunge e integra il vecchio concetto religioso, non come una semplice ingiunzione morale (lo è, anche). Il problema è anzitutto economico, lo sottolineò Robespierre: come concepire pragmaticamente quel «debito sacro» che i cittadini più fortunati hanno nei confronti dei loro «fratelli» meno fortunati, nella forma di «sussidi pubblici»? C’è anzitutto, ovviamente, l’imposizione fiscale; ma sappiamo quanto le iniziative di «imposte di solidarietà» siano difficili da far passare, ancora oggi, al voto dei parlamenti. I cittadini «fortunati» non vogliono sentir parlare di «fraternità» in questo senso. L’ingiunzione religiosa e morale, dei «Fratelli tutti» appunto, per costoro sembra bastare, come «atto di buona volontà verso il prossimo» o di «tolleranza» di alcune restrizioni alla libertà economica, a patto di non toccare la sostanza del portafoglio privato. C’è poi, in secondo luogo, il problema giuridico: il diritto di aiuto ai bisognosi non può essere ostacolato dall’attività del legislatore. Il problema in Francia è stato sollevato nel 2018, nei casi dei cosiddetti «reati di solidarietà» contestati a cittadini francesi che in prossimità delle frontiere nazionali hanno dato soccorso a immigrati clandestini o migranti, passati illegalmente in Francia. Di fronte a un simile aborto giuridico – una legge che sanziona atti di umanità verso soggetti in difficoltà, compiuti senza scopo di lucro – Il Consiglio costituzionale francese, con una decisione del 6 luglio 2018, ha sanzionato di incostituzionalità quelle imputazioni contro coloro che s’erano «macchiati» di presunte violazioni della legge Macron contro l’immigrazione clandestina, i sans papier e contro chi dà loro asilo o aiuto. In base a quale principio la Corte sanziona? Il principio è appunto la fraternité (menzionata nel testo della delibera), che è ritenuta un diritto fondamentale, problematico sì, ma imprescrittibile, non passibile cioè di sanzione. Al contrario, la legge, il codice di entrata e di soggiorno degli stranieri non EU e il diritto di asilo, va cambiata. La conquista è notevole, come è stato notato, in quanto viene de-sanzionato il soccorso per il soggiorno, insieme a quello all’entrata e alla circolazione: «Il principio di fraternità è finalmente riconosciuto»[11], nondimeno con qualche distinguo.

Al di qua dello stesso primato del diritto/dovere alla fraternità, c’è infine un terzo problema, quello antropologico. I diritti «imprescrittibili e inalienabili» dell’uomo e del cittadino, nella concezione filosofica dei costituenti, non vanno dimostrati o argomentati, esistono a priori, sono cioè dei trascendentali, ad un tempo giuridici e biologico-storici: non vanno «stabiliti» (quindi argomentati, discussi ecc.) ma solo constatati e dichiarati. Da cui le quindici «Dichiarazioni dei diritti» che la Francia ha conosciuto dal 1789 a oggi. Ora, tra questi diritti a priori, come s’è detto, c’è il diritto all’esistenza che primeggia, è il più alto ed è un diritto dell’«uomo» tout court, prima che questi acquisisca il ruolo, la funzione politica di «cittadino». Conseguenza: i diritti dell’uomo vanno «dichiarati» – e dunque riconosciuti  ­- prima di quelli del cittadino, sono cioè primari in quanto «trascendentali», condizionanti tutti gli altri. Un diritto del cittadino è, ad esempio, il diritto di proprietà o di sicurezza, o il diritto di voto. Un diritto dell’uomo, primario, inalienabile e imprescrittibile, dunque «sacro» e superiore ai primi, e che va tutelato incondizionatamente, è invece il diritto all’esistenza (o alla «sussistenza», secondo la formula robespierriana), ovvero anche il diritto alla libertà di movimento per procurarsi degni mezzi di sussistenza, o anche il diritto alla proprietà e all’inviolabilità del proprio corpo individuale[12].

Su quest’ultimo punto si potrebbe aprire un lungo, difficile discorso (che non apriamo, ma ci limitiamo a evocare) attorno ai problemi legati alle vaccinazioni anti Covid-19, all’obbligo vaccinale che lo Stato potrebbe affermare, in nome del primato della tutela del «corpo sociale», ovvero negare, in nome del primato del corpo del singolo individuo, da tutelare sempre, e a cui l’opera del diritto è primariamente indirizzata e per cui è pensata. Il corpo dell’individuo è una proprietà inalienabile del soggetto giuridico. La «salute del corpo sociale» è invece una nozione più complessa e difficile da inquadrare nelle sue finalità proprie, non chiaramente concettualizzata nell’attuale quadro giuridico-normativo europeo, di stampo liberal-democratico. Diverso è il discorso per la Cina e i paesi «comunisti» o i regimi autoritari[13].

 

Jacques Le Goff ha affermato molto provocatoriamente che, da un punto di vista storico, «il diritto alla fraternità non esiste»[14]. In effetti, la fraternità è stata riconosciuta come la «parente povera», in termini giuridici, delle sorelle maggiori, la Libertà e l’Eguaglianza[15]. Osserva Le Goff:

 

Elle [la fraternité] est d’ailleurs négligée par la Déclaration des droits. D’où la commisération dont elle est l’objet : c’est une référence sympathique, mais elle ne génère qu’une faible productivité politique et juridique, à la différence de la liberté et de l’égalité, aisément convertibles en droits. La fraternité demeure par trop dans le vague des intentions généreuses, de l’injonction morale au partage dans la justice et la concorde. C’est un souhait, un devoir, plus qu’un axe politique fort. Elle contribuera pourtant très activement à l’édification du droit social sur ses deux versants : celui de l’assistance, de la protection sociale et celui du travail, en tant que pensée de la relation, de l’« entre deux » négligé par ses grandes sœurs[16].

 

L’osservazione sul ruolo di «pensiero della relazione», di operatore di «mezzo» che la fraternità svolge sul piano del mondo del lavoro è fondamentale. Libertà e eguaglianza sono «confinate» sul piano dei diritti soggettivi, mentre la fraternité prende corpo sul terreno dei diritti oggettivi, cioè i diritti sociali, terreno sul quale soltanto il discorso relativo alla tutela del «corpo sociale» acquista senso. Come osserva il grande storico delle Annales : «Seule la fraternité permet de rendre compte de la dynamique morale et politique de l’attention à autrui, du secours qui lui est porté et d’une action commune en vue  d’une œuvre de justice. Étant ancrée dans la relation, elle est la vertu de l’entre-deux, l’âme du lien social bientôt juridiquement déclinée»[17].

Su questo piano può innestarsi la discussione portata avanti da Bergoglio nell’Enciclica «Fratelli tutti». La bella parabola evangelica del Buon Samaritano declina precisamente, in modo visibile, quell’entre-deux dei diritti dell’uomo che sta al di qua della posizione delle leggi, e sancisce l’incondizionalità trascendentale dell’atto d’umanità per l’uomo tout court, prima che diventi «cittadino», cioè soggetto appartenente a una «nazione», «popolo» o «tribù» – il Samaritano è infatti uno straniero, ma anzitutto un uomo che aiuta l’altro uomo senza chiedergli compenso e senza interessarsi a quale credenza, religione, nazione ecc. egli appartenga: tutto questo viene dopo. Bergoglio sottolinea adeguatamente tale aspetto del valore universale della parabola cristiana, in quanto essa stessa va al di là del Cristianesimo come semplice confessione religiosa, e attinge invece la dimensione universale del trascendentale bio-storico. Oltretutto, si dovrebbe meglio dire che la parabola del Buon Samaritano sta al di qua del Cristianesimo stesso, appartenendo – come i filosofi illuministi, materialisti e atei (Diderot, D’Holbach), hanno saputo ben rilevare –, alla «morale universale» dell’umanità razionale. Che i valori universali, trascendentali, dell’umanità dell’uomo (il Bene, il Giusto, il Vero ecc.) si fondino sull’idea di un Dio trascendente o sui «rapporti eterni» che regolano le giuste relazioni dell’uomo con l’uomo[18], la cosa non cambia.

È nel mondo del lavoro, soprattutto, che la fraternità fa e continua a fare problema. Il movimento operaio internazionale nato nell’Ottocento sulla scia della grande Rivoluzione dell’1789-1793, ha considerato con un certo sospetto ogni appello generale e universale alla fraternità, come un’ingiunzione che tenderebbe a neutralizzare la spinta della «lotta di classe». La fraternité ha valore operativo solo tra gli oppressi, i proletari, che devono unirsi universalmente nella loro lotta al capitalismo. Ma tra capitalisti e operai non potrà mai esserci vera «fraternità», se non in una società emancipata dai legami di dipendenza e, in ultima analisi, dall’oppressione capitalistica.

La fraternità operaia è selettiva, esclusiva. Del resto, il concetto stesso di «fraternità» nei secoli XVII-XVIII non è ancora caricato di un significato morale o religioso. Come si evince dai dizionari dell’epoca, la parola fraternité, nella lingua corrente, esprimeva, oltre al legame di sangue tra fratelli[19], un valore etico-nobiliare legato alla fedeltà d’armi, come ricorda ancora l’Encyclopédie (vol. VII, 1765) di Diderot[20]. È solo con la Rivoluzione del 1793 che «fraternité» si carica di quella connotazione politica e morale-religiosa (in senso deistico), che assumerà a poco a poco fino a noi, senza tuttavia dimenticare la connotazione etico-nobiliare (militare) che aveva conservato per secoli. Ecco perciò che durante la nuova rivoluzione del 1848 si assisterà a un «revival» della fraternité, dimenticata dal 1793, come argine alla guerra civile ma con l’aggiunta della valenza di lotta di classe che la nuova coscienza operaia internazionale iniziò a legarvi[21]. Con il Manifesto dei comunisti (Londra, 1848) di Marx e Engels il passo di affrancamento dalle ambiguità legate al concetto di fraternité è definitivamente compiuto. La fraternité resta e deve restare un valore, ma condizionato dalla lotta di classe; può limitare i «danni» che questa potrebbe causare in termini di guerra civile (il Terrore). Ma sono soprattutto i socialisti non comunisti, allievi della scuola di Saint-Simon a conferire dignità di «diritto» alla fraternità elevandola alla stessa altezza delle due sorelle maggiori, al di là delle sirene di una «rivoluzione comunista» che avrebbe fatto piazza pulita di tutti i diritti «del cittadino» (borghese e non), in primis la proprietà. Quest’ultima va subordinata ai diritti sociali, in maniera determinante, secondo la lezione giacobina, ma non «abolita» in nome della necessità (pretesa) scientifica di una «socializzazione dei mezzi di produzione». Si tratta ora di cambiare l’ordine della tradizionale «divisa» repubblicana, ponendo la fraternità al centro: «Liberté, Fraternité, Egalité!»[22]. L’Enciclica di Bergoglio sembra voler andare in questa direzione «socialistica», in modo singolarmente eretico in rapporto alla tradizione cattolica mainstream della dottrina sociale della Chiesa. E tal è, ci sembra, ancora oggi la posta in gioco di una democrazia reale che voglia pensarsi legata alle sue radici storiche, senza nulla concedere alla retorica populistica – dei due fronti: di governo e di opposizione – sempre più à la page in tempi di pandemia.

 

 

NOTE

[1] Cfr. Les Constitutions de la France depuis 1789, Présentation par J. Godechot, édition corrigée et mise à jour par H. Faupin, Paris, Flammarion, 2006, p. 435: «Titre Premier. De la souveraineté. […]. La devise de la République est “Liberté, Egalité, Fraternité”».

[2] E. Sieyès, Reconnaissance et exposition raisonné des droits de l’homme et du citoyen, in Orateurs de la Révolution française, I. Les Constituants, Textes établis, présentés et annotés par F. Furet et R. Halévi, Paris, Gallimard, 1989, p. 1012 [corsivi nostri].

[3] I testi editi e commentati sono disponibili oramai nell’utile raccolta già citata: Les Constitutions de la France depuis 1789, pp. 33-35 [Traduzione nostra].

[4] J.A.C de Condorcet, Elogio dell’istruzione pubblica, Introduzione di M. Bascetta, Roma, Manifestolibri, 2002, p. 63, edizione basata sulla traduzione di G. Jacoviello (1911), non priva di difetti. Considerata l’importanza e l’attualità dell’opera è auspicabile la preparazione di una nuova edizione critica.

[5] Ivi, p. 72 [Traduzione nostra].

[6] Sul rapporto tra questo ideale di prassi politica e le idee filosofiche dell’Illuminismo, soprattutto quello «radicale», mi permetto di rinviare al saggio: P. Quintili, Quale Illuminismo? Ragione, diritto d’esistenza e movimenti sociali, in «Filosofia in Movimento», 2016: https://filosofiainmovimento.it/quale-illuminismo-ragione-diritto-desistenza-e-movimenti-sociali/; e in Micromega, «Il rasoio di Occam», 2016: https://www.sinistrainrete.info/filosofia/8756-paolo-quintili-quale-illuminismo.html.

[7] Les Constitutions de la France cit., p. 72 [Traduzione nostra].

[8] Cfr. A. Cloots, Le basi costituzionali della repubblica del genere umano, Prefazione e cura di A. Guerra, Roma, Castelvecchi, 2019; ateo e materialista, fautore di una «nazione mondiale», in nome di una fraternità universale del Genere Umano, Jean-Baptiste du Val-de-Grâce, baron de Cloots fu uno degli esponenti giacobini più coerenti e radicali.

[9] Les Constitutions de la France cit., p. 72 [Traduzione nostra].

[10] Ivi, pp. 76-77 [Traduzione nostra].

[11] Cfr. C. Cerda Guzman, La fraternité: un nouveau droit fondamental? Le Conseil consitutionnel français et la reconnaissance du principe de fraternité. La confusion des sentiments, in rete: https://www.justice-en-ligne.be/-La-fraternite-un-nouveau-droit.

[12] Sul tema capitale della «dignità umana», e del vivere-insieme nella dignità, in relazione alla fraternité e alla liberté, cfr. F. Triki, Éthique de la dignité, Révolution et vivre ensemble, Tunis, Arabesque, 2018; e J. Poulain-H. J. Sandkühler-F. Triki (a cura di), La dignité humaine. Perspectives transculturelles, Peter Lang, Frankfurt am Mein, 2009; e in FIM: F. Triki, Voler vivere nella dignità, 2018: https://filosofiainmovimento.it/voler-vivere-nella-dignita/, da cui è nato il volume collettaneo: A. Cecere-A. Coratti (a cura di), Lumi sul mediterraneo. Politica, diritto e religione tra le due sponde del Mediterraneo, Milano, Jouvence, 2019.

[13] Sull’insieme del dibattito in Francia attorno alle libertà e ai diritti ad essa legati in regime di crisi sanitaria, cfr. Cercle Droit & Liberté, Contribution extérieure à la saisine 2021-824 DC concernant le projet de loi du 25 juillet 2021 relative à la gestion de la crise sanitaire, indirizzo al Conseil constitutionnel del 3 agosto 2021, in : Contribution extérieure devant le Conseil Constitutionnel.docx (cercledroitetliberte.fr).

[14] J. Le Goff, Le droit à la fraternité n’existe pas, in «C.E.R.E.S.» | « Revue Projet », 2012/4, n. 329, pp. 14-21, disponibile in rete : https://www.cairn.info/revue-projet-2012-4-page-14.htm.

[15] Come ha sottolineato M. Ozouf, in Dictionnaire de la Révolution française, a cura di M. Ozouf e F. Furet, Paris, Flammarion, 1988, p. 731 sgg. e ID, Liberté, égalité, fraternité,  in P. Nora (a cura di), Lieux de mémoire, Paris, Gallimard, 1989, vol. III, p. 4353 sgg.

[16] J. Le Goff, Le droit à la fraternité n’existe pas cit., p. 14.

[17] Ibidem. Sulla nozione di fraternité nel diritto costituzionale francese oggi, vedi anche G. Canivet, La fraternité dans le droit constitutionnel français. Conférence en l’honneur de Charles Doherty Gonthier, 20-21 mai 2011, in : La fraternité dans le droit constitutionnel français (conseil-constitutionnel.fr), l’autore individua quattro «attributi del concetto costituzionale di fraternità» :  «l’incrédulité », «la positivité», «la fertilité» e la «subversivité».

[18] Cfr. Diderot, Osservazioni sulla “Lettera sull’uomo” di Hemsterhuis, in Opere filosofiche, romanzi e racconti, a cura di P. Quintili e V. Sperotto, Milano, Bompiani, 2019, p. 905: «Mai nessun autore, materialista o meno, si è proposto di rendere ridicole le nozioni di vizio e di virtù e di attaccare la realtà dei costumi. I materialisti, respingendo l’esistenza di Dio, fondano le idee del giusto e dell’ingiusto sui rapporti eterni dell’uomo con l’uomo. Vedete il Sistema della natura».

[19] Cfr. Dictionnaire de l’Académie française, Paris, 1694 : «Il signifie aussi, Union fraternelle, Amitié fraternelle. Ils vivoient dans une grande fraternité. Il n’ a point de sentiment de fraternité pour ses cadets. Il se dit aussi De la Liaison estroitte que contractent ensemble ceux qui sans estre freres ne laissent pas de se traiter reciproquement de freres. Il y a fraternité entre ces deux hommes, entre ces deux familles, entre ces deux Republiques, entre ces deux Eglises».

[20] Enc., VII, p. 290a : « FRATERNITE d’Armes, (Hist. mod.) Association entre deux chevaliers pour quelque haute entreprise qui devoit avoir un terme fixe, ou même pour toutes celles qu’ils pourroient jamais faire ; ils se juroient d’en partager également les travaux & la gloire, les dangers, & le profit, & de ne se point abandonner tant qu’ils auroient besoin l’un de l’autre. L’estime, la confiance mutuelle de gens qui s’étoient souvent trouvés ensemble aux mêmes expéditions, donnerent la naissance à ces engagemens ; & ceux qui les prenoient devenoient freres, compagnons d’armes. Voyez Frère d’Armes. Ces associations se contractoient quelquefois pour la vie ; mais elles se bornoient le plus souvent à des expéditions passageres, comme une entreprise d’armes, telle que fut celle de Saintré, une guerre, une bataille, un siége, ou quelque autre expédition militaire. L’usage de la fraternité d’armes dont il s’agit ici, est fort ancien».

[21] Cfr. l’interessante saggio di J.-C. Caron, La fraternité face à la question sociale dans la France des années 1830, in F. Brahami et O. Roynette (a cura di), Fraternité. Regards croisés, Besançon, Presses universitaires de Franche-Comté, 2009, p. 135-157: «Ce troisième mot de la devise républicaine proclamée comme telle le 26 février 1848, puis intégrée à la constitution du 4 novembre suivant, a en effet dès les Trois glorieuses une fonction conciliatrice entre les partisans de la liberté et les partisans de l’égalité, deux notions dont Tocqueville, parmi d’autres, avait montré l’incompatibilité absolue. Cela devient en effet un topos du XIXe siècle que d’opposer les idéaux de liberté et d’égalité, topos périodiquement réactivé par les secousses insurrectionnelles et révolutionnaires qui scandent l’époque. Face à l’avènement, redouté ou souhaité, de la démocratie, le discours fraternitaire se veut, dans les deux camps, rassurant. Une société de frères ne peut être une société de classes : les libéraux y puisent donc l’espoir du maintien d’un ordre social fondé sur la distinction sociale. Mais, du côté des républicains et même pour une majorité de ‘socialistes’, jusqu’en 1848 compris, la fraternité permet d’accompagner un projet politique et social dont l’aspect (plus ou moins) révolutionnaire est gommé par la référence à la fraternité : ainsi fera-t-on l’économie d’une nouvelle Terreur, ainsi l’avènement d’une république plus ou moins sociale se fera-t-elle de manière pacifique. Cette instrumentalisation de l’idéal fraternitaire atteint son apogée avec la célébration de la fête de la Fraternité, le 20 avril 1848».

[22] Ivi, p. 146 sgg. Particolare interesse riveste la figura dell’inventore (o quasi) della parola «socialismo», il sansimoniano Pierre Henri Léroux (1797-1871), autore di un Projet d’une constitution démocratique et sociale (1848), amico di George Sand, come osserva Caron: «Leroux demeure fermement attaché à une pensée évolutionniste, réformatrice, conciliatrice, permettant d’éviter le bain de sang. Dans cette optique, plus que jamais la fraternité est présentée comme la médiatrice capable de résoudre l’antagonisme entre la liberté et l’égalité : ‘Je mets la fraternité au centre de la formule, parce qu’elle est le lien entre la liberté de chacun et la liberté de tous ou l’égalité’».

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