Le rotte della fratellanza mediterranea nel pensiero di Papa Francesco. Brevi riflessioni di teoria giuridica

 

di Gianfranco Macrì

 

Premessa

«Esistono momenti che sono dei crocevia della storia, nei quali l’umanità si trova di fronte a un bivio: l’involuzione o il progresso, la barbarie o la civiltà, la catastrofe o la rifondazione»[ref]L. FERRAJOLI, Perché una Costituzione della Terra? Giappichelli, Torino, 2021, p. 9.[/ref].

Sembra questa la fotografia esatta del momento che l’umanità vive nelle more della pandemia, dove la condizione di “attesa”, o di “sospensione”, prevale su tutte le certezze, anche quelle scientifiche (giuridiche incluse), anch’esse in balia di una ricerca di senso, di un “fondamento” capace di ricondurre alla normalità[ref]I. NICOTRA, Pandemia costituzionale, ES, Napoli, 2021.[/ref].

Certamente il Covid-19 ha avuto il “merito” di fungere da collante tra un prima e un dopo, o di mettere in sintonia questioni più o meno complesse che la globalizzazione aveva fino ad ora relegato ai margini dell’Occidente, oppure tenuto a debita distanza dai nostri (di noi occidentali) più stringenti interessi, declinati secondo un approccio di “prevalenza-precedenza” rispetto a quelli degli altri; il tutto fintanto che l’intruso pestilenziale non ha provveduto a democratizzare la sofferenza, rendendola “patrimonio universale”. Da qui, l’amara scoperta che senza istituzioni globali – formalmente esistenti (es. l’Organizzazione Mondiale della Sanità), ma concretamente prive di risorse e mezzi all’altezza delle sfide in atto – l’umanità rischia di ripiombare nell’incertezza e nella disorganizzazione, riconsegnando agli stati non il compito di ri-attivare il motore della cooperazione (artt. 11 Cost., 168 e 222 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione europea) – che ha consentito, per esempio in Europa, di garantire la pace, accrescere lo stato di benessere, migliorare le relazioni sociali e politiche di persone, formazioni sociali e Stati per più di sessant’anni – ma di spingere sull’acceleratore dell’autoritarismo, che trova, nel combinato disposto tra populismo e sovranismo la via più semplice per il superamento (rectius: travolgimento) della «funzione costituzionale»[ref]A. STERPA, Il teorema di Pitagora: come si rapportano Costituzione, populismo e sovranismo? in G. ALLEGRI, A. STERPA, N. VICECONTE (a cura di), Questioni costituzionali al tempo del populismo e del sovranismo, ES, Napoli, 2019, pp. 19 ss. Per un inquadramento delle «multiformi espressioni del populismo», si rinvia ad A. LUCARELLI, Populismi e rappresentanza democratica, ES, Napoli, 2020, pp. 27 ss. [31].[/ref]. Si tratta, allora, di imboccare una strada nuova e migliore che dal locale (nazionale) porta al sovranazionale attraverso una logica ri-costituente, capace di travasare il «costituzionalismo di diritto pubblico, ancorato alla forma dello Stato nazionale», in un costituzionalismo sovranazionale in grado di allargare le tutele verso cui è formalmente ordinato[ref]L. FERRAJOLI, op. cit., pp. 54-56, le sintetizza così: «dai diritti di libertà nelle prime dichiarazioni e nelle costituzioni ottocentesche, al diritto di sciopero e ai diritti sociali nelle costituzioni del secolo scorso, fino ai nuovi diritti alla pace, all’ambiente, all’informazione, all’acqua, all’alimentazione e ai beni comuni, la cui tutela internazionale si rivela oggi assolutamente vitale e fondamentale ma non ancora costituzionalizzata».[/ref].

 

  1. Tra le pieghe della società globale, fortemente interconnessa e mai come ora capace di assecondare in tempo reale dinamiche ostili verso soggettività di varia estrazione, è possibile individuare, nella questione religiosa, uno dei canali privilegiati per capire che tipo di sfera pubblica ci stiamo adoperando a costruire[ref]Non è più il tempo della società civile sottomessa al potere temporale della Chiesa (e viceversa), bensì quello della edificazione di una sfera pubblica all’interno della quale la dimensione religiosa partecipa del progetto politico in fieri, aggiungendo, in funzione sussidiaria, elementi di consapevolezza e di ragionevolezza utili a migliore la condizione umana. Da qui anche la necessità, per le religioni, di trovare e implementare momenti di confronto e di dialogo (v. infra).[/ref]. È chiaramente facile constatare come il tema della religiosità (fattore sociale tra i più rilevanti, tant’è che non sfugge al binocolo delle costituzioni democratiche) non è soltanto questione che riguarda la coscienza delle persone, ma anche argomento che investe la sfera del diritto e degli ordinamenti giuridici (interni ed esterni allo Stato), laddove assume le sembianze dell’abito che l’individuo indossa per marcare la sua appartenenza ad una istituzione, intesa quale modello funzionale a «rendere i cittadini soggetti di una prassi confacente ai loro bisogni»[ref]R. ESPOSITO, Istituzione, il Mulino, Bologna, 2021, p. 81. Non è oggetto della presente analisi quello di indagare e spiegare i modelli di relazione tra lo Stato e le organizzazioni religiose (per restare all’interno del circuito storicamente più noto dei rapporti tra società e fattore religioso), sebbene di indubbia rilevanza nelle sue nuove modalità esplicative. Sul tema si rinvia, tra i contributi più recenti, a P. CONSORTI, Diritto e religione. Basi e prospettive, Laterza, Roma-Bari, 2020, pp. 118 ss.[/ref]. A ciò si aggiunge, per completezza di informazioni, la dimensione geopolitica del fattore religioso[ref]P. NASO, Le religioni nell’età post-secolare, in Coscienza e Libertà, n. 55 del 2018, pp. 78-81.[/ref], all’interno della quale l’appartenenza religiosa – a seconda del punto di osservazione (persone, stati, gruppi) e del contesto politico dove il tema viene preso in carica – diventa componente accessoria tra le più rilevanti del rapporto tra «identità e alterità»[ref]F. REMOTTI, L’ossessione identitaria, Laterza, Roma-Bari, 2010, p. 16.[/ref] in quanto propedeutica alla costruzione di un “noi” che per essere produttivo di senso, esige positivamente un «vincolo reciproco»[ref]G.E. RUSCONI, Come se Dio non ci fosse. I laici, i cattolici e la democrazia, Einaudi, Torino, 2000, p. 56.[/ref] orientato all’interdipendenza, dove alle istanze da custodire (il precipitato del costituzionalismo) si aggiunge tutto quanto merita promozione e tutela (il surplus messo in circolo dai movimenti delle persone) per la costruzione di una società aperta e democratica (cosmopolita)[ref]G. ANELLO, Teologia linguistica e diritto laico, Mimesis, Milano-Udine, 2015, pp.  117 ss., dove svolge riflessioni importanti sul significato giuridico e simbolico della lingua usata in senso “rituale” e sulle sue ripercussioni nella costruzione di una soggettività giuridica interculturale. Per un approfondimento sulle barriere costituite dalle culture e sui modi come ci si relaziona con persone provenienti da diversi contesti all’interno di spazi di socializzazione, si rinvia ad un recente lavoro particolarmente stimolante, per taglio metodologico e suggerimenti “strategici”, E. MEYER, La mappa delle culture. Come le persone pensano, lavorano e comunicano nei vari paesi, ROI Edizioni, Macerata, 2021, passim.[/ref].

In questa sede lo spazio geopolitico di riferimento è il Mediterraneo, nato come spazio comune e oggi sempre più condizionato da quello che un autorevole osservatore ha chiamato “ensemblism indentitario” per identificare un coacervo di sentimenti divisivi e intolleranti verso la «diversità e l’alterità»[ref]F. TRIKI, Dignità e umanità: una possibile convivenza mediterranea, in A. CORATTI, A. CECERE (a cura di), Lumi su Mediterraneo. Politica, diritto e religione tra le due sponde del Mediterraneo, Jouvence, Milano, 2019, p. 23.[/ref]. A distanza di dieci anni dallo scoppio delle “Primavere arabe”[ref]M. EMILIANI, Purgatorio arabo. Il tradimento delle rivoluzioni in Medio Oriente, Laterza, Roma-Bari, 2020, p. 26, il cui giudizio è quanto mai netto, specie quando scrive che: «(…) anche se gli attori che le hanno animate le hanno definite “rivoluzioni”, purtroppo le Primavere arabe di rivoluzionario hanno avuto ben poco. Per ora sono servite a traghettare gli Stati che le hanno viste nascere da sistemi autocratici a sistemi ancora in bilico tra la dittatura e il caos». Meno pessimista M. GIRO che, in un articolo pubblicato su Domani del 7 febbraio 2021, p. 9, evidenzia che: «Il mondo arabo sta cambiando sotto i nostri occhi. Le speranze delle primavere non sono spente ma aspettano la prossima occasione. Malgrado le difficili condizioni economiche e la pandemia si tratta di società resilienti che restano nella tenaglia rovente tra jihadismo e autoritarismo arabo. Sarebbe saggio ascoltarle di più per aiutare nel modo giusto una lenta ma ostinata evoluzione verso la democrazia». Di tempi lunghi circa le «concrete prospettive di piena democratizzazione e pacificazione dell’area dei Pesi nordafricani e mediorientali», parla L. MEZZETTI, Tradizioni giuridiche e fonti del diritto, Giappichelli, Torino, 2020, p. 424.[/ref] – «poco comprese o, nella migliore delle ipotesi, male interpretate»[ref]F. PETRONELLA, You Must Believe in Spring. Le Primavere arabe 10 anni dopo, in Confronti, febbraio 2021, p. 12.[/ref] – «l’equazione irrisolta rappresentata dalla dimensione religiosa»[ref]M. BRIGNONE, I termini mancanti dell’equazione, in Oasis, n. 31, dicembre 2020, p. 9.[/ref] rimane lo spartiacque principale in grado di condizionare, sia il cambiamento all’interno del Mediterraneo sudorientale – attraversato, oppure soltanto lambito, da questo lungo processo di transizione[ref]L. MEZZETTI, La libertà decapitata. Dalle Primavere arabe al Califfato, ES, Napoli, 2016, pp. 26 ss.[/ref] – sia l’approccio occidentale alla politica mediterranea, che ha bisogno di essere ridisegnata in ragione dei nuovi equilibri e dei nuovi interessi messi in moto dopo i rivolgimenti dell’ultimo ventennio da attori come Russia, Cina, Turchia e alcune potenze sunnite del Golfo[ref]L’Unione europea, fatica a costruire una “sua” «autonomia strategica. La parola d’ordine ha numerosi significati. Anzitutto quello di costruire un’autentica politica estera, di sicurezza e di difesa comuni». In questi termini, C. RISI, L’Unione Europea e le Primavere arabe dieci anni dopo, in Apertamente, 21 marzo 2021 (www.associazione-apertamente.org).  [/ref].  Ed è sulla scorta di questa evidenza che Papa Francesco ha sottolineato che: il

 

«Mare nostrum è il luogo fisico e spirituale in cui ha preso forma la nostra civiltà, come risultato dell’incontro di popoli diversi [e che] Proprio in virtù della sua conformazione questo mare obbliga i popoli e le culture che ci si affacciano a una costante prossimità (…). In questo epicentro di profonde linee di rottura e di conflitti economici, religiosi, confessionali e politici siamo chiamati a offrire la nostra testimonianza di unità e di pace»[ref]Il brano è tratto dal messaggio rivolto da Papa Francesco in occasione dell’incontro di riflessione e spiritualità promosso dalla CEI, “Mediterraneo, frontiera di pace”, svoltosi a Bari dal 19 al 23 febbraio 2020. Il discorso integrale è reperibile su: www.vatican.va.[/ref].

 

  1. Nella visione di Papa Francesco, la religione riacquista, all’interno delle relazioni internazionali, diversa centralità rispetto ai suoi predecessori. A suo modo di vedere e interpretare i fatti che agitano le differenti aree di crisi nel mondo, la dimensione complessa del fattore religioso diventa strumento di soft power, dispositivo di mitigazione delle dinamiche transnazionali. Anziché agire come capo della Chiesa cattolica, egli preferisce ricercare partner da includere nella sua strategia relazionale, il cui fine necessario è il dialogo con la società e con le altre religioni[ref]M. VENTURA, Nelle mani di Dio, il Mulino, Bologna, 2021, pp. 150-151, rimarca che: «Appartengono al nucleo più profondo della missione di Francesco il dialogo ecumenico con le altre Chiese e il dialogo interreligioso (mio il corsivo). [E aggiunge] L’incontro a Cuba con il patriarca di Mosca nel 2016, l’incontro a Lesbo con il patriarca di Costantinopoli lo stesso anno e l’incontro ad Abu Dhabi con il grande imam di al-Azhar nel 2018 sono pietre miliari del suo pontificato».[/ref], la messa al bando di ogni forma di fondamentalismo, l’avvento di una «nuova Primavera per la Chiesa cattolica»[ref]L. ROSSI, La geopolitica di Francesco. Missione per l’ecumene cristiano, Francesco D’Amato Editore, Sant’Egidio del Monte Albino (SA), 2019, p. 151.[/ref]. La sua è, dunque, una leadership in piena sintonia col Vangelo, che si rivolge all’uomo del XXI secolo affidandogli un compito riconciliativo con la società e con l’interno creato[ref]C’è un passaggio dell’Enciclica Fratelli tutti in cui il Pontefice scrive: «Se la musica del Vangelo smette di suonare nelle nostre case, nelle nostre piazze, nei luoghi di lavoro, nella politica e nell’economia, avremo spento la melodia che ci provocava a lottare per la dignità di ogni uomo e donna» (277). Analoghe suggestioni in DALAI LAMA, con S. STRIL-REVER, Salviamo il mondo. Manifesto per una rivoluzione verde, Garzanti, Milano, 2019, passim.[/ref]. La dottrina più attenta ha rimarcato questo profilo cosmopolita del Papa argentino che cerca ammorsature tra le emergenze del mondo e suggerisce vie d’uscita non ideologiche bensì attinte dal «lascito della solidarietà euro-mediterranea»[ref]S. BERLINGÒ, Dialogo interculturale e minoranze religiose in Europa al tempo del Covid-19. L’apporto degli ecclesiasticisti, in Stato, Chiese e pluralismo confessionale, Rivista telematica (www.statoechiese.it), n. 7 del 2021, p. 17.[/ref].

Da qui l’approccio sociale di Papa Francesco verso le modalità attraverso le quali includere gli “altri credenti” (per dirla con Benedetto XVI) all’interno di un nuovo spazio, che è anche politico, di “fratellanza”. Questo termine – fratellanza – è di chiara marca gesuitica (oltre che di impronta francescana, s’intende), nel senso che egli vede nello strumento del dialogo lo stimolo migliore al discernimento, alla scoperta del noi attraverso la scoperta dell’altro. La stessa decisione di volgere lo sguardo verso il Sud e l’Oriente – trascurando, secondo alcuni critici fin troppo, l’Europa[ref]La “teologia mediterranea” di Francesco è attentissima a tutto quanto accade in Europa e in Occidente (USA in testa). Lo stato di salute delle diocesi nel Vecchio continente costituisce un capitolo importante dell’agenda del Pontefice; basti pensare alla questione della pedofilia, allo svuotamento dei luoghi di culto, al tema della crisi del sacerdozio, al dibattito nell’episcopato tedesco e, da ultimo, alla nuova politica francese sulla lotta al separatismo religioso. Tutti argomenti che non possono, razionalmente, immaginarsi eludibili o rinviabili. C’è di mezzo l’unità della chiesa cattolica.[/ref] – partecipa di quella visione politica a concentrare l’attenzione della Chiesa nello scenario dove si deciderà molto del futuro dell’umanità[ref] In realtà si potrebbe trattare soltanto di ciò che L. ROSSI, op. cit., pp. 242, 246-247, ha definito la «fine della cattolicità eurocentrica», che non significa “perdere di vista” l’Europa, bensì lavorare per una nuova geopolitica all’interno della quale il vecchio continente diventa complementare rispetto a tutto il resto, e questo può voler dire anche riconsiderare e rimodulare i rapporti di forza all’interno delle gerarchie ecclesiastiche, favorendo il «dinamismo pastorale», specie quello dei «vescovi di sperdute isole o anonimi sobborghi (…) dando maggiore risalto alle conferenze episcopali per far sentire veramente cattolica l’ecumene della chiesa romana ponendo particolare attenzione alle minoranze cristiane». S. BERLINGÒ, L’esercizio episcopale dell’economia/dispensa e Querida Amazonia, in Stato, Chiese e pluralismo confessionale, Rivista telematica (www.statoechiese.it), n. 2 del 2021, p. 6, sottolinea «(…) l’intento [di Francesco] di proporre come paradigma universalizzabile il nuovo più comprensivo modello di sinodalità emergente dalle esperienze ecclesiali panamazzoniche, anche per la ricchezza dell’intercultura in esse insita».[/ref], dove “cercare e trovare Dio in tutte le cose” (sant’Ignazio di Loyola).

 

  1. La fratellanza di Francesco passa anche attraverso un nuovo stile di rapporti con L’Islam. Anche qui il gesuita Bergoglio marca la differenza rispetto ai suoi predecessori, indossando il saio di Francesco d’Assisi – anziché la toga dell’accademico – e incardinando il suo discorso all’interno di una nuova ermeneutica della storia al cui centro c’è la costruzione di una città in cui siamo tutti fratelli (Evangelium gaudium, n. 183), che ripudia la «falsificazione idolatrica di Dio» ed esalta la «sacralità di ogni vita umana»[ref]L. ROSSI, op. cit., pp. 249-250.[/ref].

Proverò, pertanto, a descrivere questo profilo del pontificato di Bergoglio, attraverso tre brevi tappe, ciascuna segnata da altrettanti documenti di notevole rilevanza politica e giuridica, l’ultimo dei quali non può che essere l’enciclica Fratelli tutti (FT) del 2020. Questo approccio si giustifica, dal punto di vista di chi scrive, in ragione del fatto che per avere una visione chiara del “metodo interlocutorio” e multilaterale dell’attuale pontefice, occorre prendere le mosse anche da quanto si sta muovendo all’interno della civiltà islamica mediterranea, nostra dirimpettaia, attraversata da imponenti rivolgimenti sociali, economici, politico-istituzionali, giuridici e teologici, senza di che si rischia di avere una percezione parziale e fuorviante di tutto quanto caratterizza la vita musulmana contemporanea e le sue relazioni con le altre religioni e culture[ref]Da giurista positivo, proverò a restare fedele ad una lettura del messaggio di fratellanza proposto da papa Francesco sintonica con l’approccio del costituzionalismo occidentale, provando a mettere in armonia la fecondità di questo “sforzo” col progetto di Costituzione cosmopolita e di cittadinanza mediterranea avanzata da molti studiosi e uomini politici, anche di cultura islamica, alla cui base sta la proposta di conciliare le proprietà (pure normative) delle tradizioni messe a confronto. Sul tema, come fonte autorevole di ispirazione, H.P. GLENN, Tradizioni giuridiche nel mondo. La sostenibilità delle differenze, il Mulino, 2011, p. 587, laddove scrive: «Sostenere la diversità significa accettare (non semplicemente tollerare) le principali tradizioni giuridiche complesse del mondo (tutte). Significa comprendere che esse sono reciprocamente interdipendenti, cosicché la perdita di una qualunque di esse sarebbe una perdita per tutte le altre, alle quali verrebbe meno una notevole fonte di sostegno o, almeno, di autocritica. Significa guardare a tutte le tradizioni in un certo senso come alla propria, dato che ciascuna di esse dipende dalle altre». Credo che il lavoro di Papa Francesco e di quanti altri lo condividono, vada chiaramente in questa direzione.[/ref].

 

3.1. Senza andare troppo a ritroso nel tempo, anche per ragioni di spazio espositivo, comincerei col citare la Dichiarazione di Marrakesch sui diritti delle minoranze religiose nel mondo islamico stilata il 26 gennaio 2016, a valle di una conferenza internazionale capace di chiamare a raccolta qualcosa come circa trecento importanti sapienti e intellettuali musulmani, sotto gli auspici del Re del Marocco Mohammed VI, ma pure provenienti dall’Europa e dagli Stati Uniti.

Questo Documento si rivolge «agli studiosi musulmani e agli intellettuali di tutto il mondo per sviluppare una giurisprudenza del concetto di cittadinanza, che sia comprensiva dei diversi gruppi». Una giurisprudenza, si legge, che «deve essere (…) consapevole dei cambiamenti globali», dunque vivificata in ragione di ciò che è bene per la comunità[ref]N. FIORITA, L’Islam spiegato ai miei studenti. Undici lezioni sul diritto islamico, Firenze University Press, Firenze, 2010, p. 10.[/ref], avendo, l’intellettuale (Muthaqqaf e Mufakkr) il dovere «di essere attento alle questioni più rilevanti che investono la società»[ref]Y. BEN ACHOUR, La tentazione democratica. Politica, religione e diritto nel mondo arabo, prefazione e cura di O. Giolo, ombre corte, Verona, 2010, p. 36.[/ref]. Di rilievo è la citazione, contenuta nel testo, alla Carta di Medina[ref]Documento a base compromissoria, redatto dallo stesso Profeta Muhammad dopo l’Egira (622) per trovare un accordo formale tra lui stesso, le altre tribù maggioritarie e i clan più significativi, compresi musulmani, ebrei e pagani. Cfr. G. FILORAMO (a cura di), Storia delle religioni. Islam, La biblioteca di Repubblica, Laterza, Roma-Bari, 2005, pp. 89-100.[/ref], fonte di ispirazione delle costituzioni di molti paesi musulmani, ma soprattutto, base di legittimazione del concetto di cittadinanza.  Una «cittadinanza contrattuale»[ref]A. CUCINIELLO, Il lungo percorso dell’incontro e del dialogo, in P. BRANCA – A. CUCINIELLO, Per una fratellanza umana. Cristiani e musulmani uniti nella diversità, Paoline ed., Milano, 2021, p. 47.[/ref] che ricomprende certamente la libertà religiosa quale «via migliore per edificare insieme il futuro [e] per essere costruttori di civiltà»[ref]Discorso del Santo Padre ai partecipanti alla Conferenza Internazionale per la Pace, Viaggio Apostolico del Santo Padre Francesco in Egitto (28-29 aprile 2017), consultabile su: www.vatican.va[/ref].

Quello del diritto fondamentale di libertà religiosa rappresenta un passaggio indispensabile per arrivare a comprendere la portata universale del progetto di Papa Francesco, e che si inserisce nel più ampio discorso della sua regolamentazione e giustiziabilità su scala sovranazionale e internazionale. Se, a livello europeo – dopo secoli di travaglio dovuti al dispotismo delle «fedi ecclesiastiche»[ref]A. FERRARI, Introduzione. Una libertà per due? Oltre l’incommensurabilità, per un diritto di libertà religiosa mediterraneo, in ID. (a cura di), Diritto e religione nell’Islam mediterraneo. Rapporti nazionali sulla salvaguardia della libertà religiosa: un paradigma alternativo? il Mulino, Bologna, 2012, p. 9.[/ref]  e alle guerre – la libertà religiosa ha trovato una sua specifica disciplina grazie al lavoro messo in piedi dalla politica e dal diritto (pattizio e giurisdizionale), nonché alle carte internazionali che tutelano i diritti della persona (per esempio il Patto internazionale relativo ai diritti civili e politici del 1966), nei paesi di cultura islamica l’assenza di uno statuto laico della persona ha incontrato barriere ostative di più o meno ampia natura a seconda dei contesti di riferimento, ma comunque tutte ricomprendibili sotto la comune asserzione del «principio che il bene della comunità si riflette sul singolo»[ref]B. DE POLI, I musulmani nel terzo millennio. Laicità e secolarizzazione nel mondo islamico, Carocci, Roma, 2007, p. 139.[/ref] e, dunque, il retroterra sociale prevale rispetto alla dimensione giuridica statale. Ecco perché, allora, la via giuridica rappresenta quella meglio implementabile con azioni di ampia caratura politica e interculturale; ragion per cui, la Dichiarazione di Marrakesch, «dall’alto dei suoi riferimenti a fonti storiche del diritto islamico, contiene l’esortazione ad una migliore salvaguardia»[ref]A. FUCCILLO, The Marrakesch Declaration between Formal Religious Freedom and Personal Establishment: A Juridical Connection between Islam and Others, in ID. (ed.), The Marrakesch Declaration. A Bridge to Religious Freedom in Muslim Countries? ES, Napoli, 2016, p. 22.[/ref] dei diritti di tutte le persone (e della libertà religiosa come libertà sociale[ref]F. KÖRNER S.I., La libertà religiosa di fronte a nuove sfide. 55 anni dopo la «Dignitatis humanae», in La Civiltà Cattolica, 21 nov./5 dic. 2020, pp. 328-329, dove l’Autore analizza il concetto di libertà religiosa «come libertà personale e sociale [nel senso che, citando le parole di Giovanni Paolo II] con la sua feconda tensione tra libertà e responsabilità, apre all’uomo il vero spazio della libertà» (mio il corsivo).[/ref] oltre che giuridica) senza esclusione di gruppi e territori.

 

3.2. Il passaggio intermedio di questo percorso della fratellanza è costituito da un documento breve ma di grande respiro solidaristico. Si tratta del Documento sulla fratellanza umana per la pace mondiale e la convivenza comune che Papa Francesco ha scritto e firmato insieme al grande Imam di Al-Azhar, Ahmed al-Tayyeb ad Abu Dhabi, il 4 febbraio 2019. Qui siamo di fronte ad un testo “essenziale” dal punto di vista del messaggio, senza fronzoli dottrinari, né riferimenti espliciti ai rispettivi “testi sacri”. È come se «l’autorità della Rivelazione [venisse] “sospesa”, per consentire a ciascuno di provare altrimenti la ragionevolezza della sua fede»[ref]P. BRANCA, Il Documento di Abu Dhabi: una rilettura, op. cit., p. 51.[/ref]. Al fedele, i due leader religiosi chiedono qualcosa di più che un’attestazione di “lealtà ecclesiastica”, si rivolgono a lui chiamandolo a ««esprimere questa fratellanza umana, salvaguardando il creato e tutto l’universo e sostenendo ogni persona, specialmente le più bisognose e povere». Ritorna la sfida solidaristica, secondo quel modello interventista che troviamo per esempio scolpito a chiare lettere nel comma 2 dell’art. 3 della nostra Costituzione, dove cittadini e istituzioni (la Repubblica) hanno il «compito di rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che, limitando di fatto la libertà e l’uguaglianza (…) impediscono il pieno sviluppo della persona umana»; e difatti, i due autori del Documento riescono bene nell’intento di provare a parlare lo stesso linguaggio, consci della comune origine “abramitica” e, dunque, della volontà a riconoscersi come fratelli. Non a caso uno dei concetti che più sta a cuore al Pontefice è proprio quello di “relazione” che non esclude la tensione dialettica ma “costringe” i soggetti del dialogo a ripensarsi secondo una dinamica del confronto generoso verso gli altri (P. Branca). Questo spinge gli autori a scrivere che avere fede nella fratellanza umana significa innanzitutto comprendere le ragioni dell’altro consapevoli che “kulla yawum Huwa fi sha’n” (“Ogni giorno Egli è all’opera”, Corano 55,29).

Il Documento è poi anche un piccolo “manifesto politico”, laddove non ignora l’importanza di come il mondo abbia saputo risollevarsi da tante cadute, migliorare le condizioni di vita di molte persone, garantire sostegno a larga parte del mondo più povero, ma nello stesso tempo, però, non sia stato in grado, per responsabilità istituzionali sia a livello nazionale che internazionale, di correggere tante situazioni scandalose, palesemente in contraddizione con le finalità di umanità, socialità e benessere consacrate nelle Carte dei diritti approvate in sede ONU. Qui, le responsabilità riverberano anche sulle tante forme di fondamentalismo religioso che le grandi organizzazioni religiose hanno il dovere di denunciare per depurare il messaggio di Dio da forme di manipolazione strumentali a fini politici. Il messaggio è chiaro:

 

«Noi, credenti in Dio (…) chiediamo a noi stessi (…) di impegnarsi seriamente per diffondere la cultura della tolleranza (…) di intervenire (…) per fermare lo spargimento di sangue innocente (…) e sottolineiamo [il pericolo dell’] integralismo religioso [dell’] estremismo e [del] fondamentalismo cieco (…)».

 

Il testo si offre anche a quanti vivono la loro condizione di credenti al di fuori dei loro contesti di origine. Il rimando è, soprattutto, a quell’Islam che viaggia lungo le rotte migratorie. Nelle patrie di accoglienza, dove non sempre lo spazio della cittadinanza è talmente inclusivo da garantire, contemporaneamente, diritti sociali e diritti civili e politici – dunque anche la libertà religiosa – la fede può diventare, oltre che “spazio di rifugio”, strumento di esaltazione e di contrapposizione, finendo col creare fratture tra gruppi e contesti politici di accoglienza, ma pure all’interno degli stessi gruppi, dove la “tradizione” religiosa e culturale difesa dagli anziani si contrappone all’impegno delle nuove generazioni in progetti di cittadinanza attiva e interculturale che, spesso nel silenzio generale, stanno dando frutti importanti[ref]I. ACOCELLA, Giovani musulmani figli delle migrazioni: «cittadini di più patrie» in cerca di riconoscimento, in I. ACOCELLA, RENATA PEPICELLI (a cura di), Transnazionalismo cittadinanza pensiero islamico. Forme di attivismo dei giovani musulmani in Italia, il Mulino, Bologna, 2018, p. 59, dove l’Autrice spiega bene cosa significa il lavoro di rivisitazione della tradizione musulmana da parte delle nuove generazioni in contesti non autoctoni: «A tale scopo, i giovani di GMI [che sta per Giovani Musulmani d’Italia] realizzano strategie di azione che valorizzano alcuni segni di riconoscibilità della propria alterità musulmana nella sfera pubblica allo scopo di sfidare l’omogeneità del “noi” costituito. Si pensi, ad esempio, alla scelta di indossare il velo da parte di molte attiviste di GMI. Si tratta, peraltro, di un uso più contestualizzato di tale indumento, lasciando che esso si mischi con tratti della società occidentale, ma – allo stesso tempo – affermi la propria specificità di italiane musulmane; quindi, un uso non diasporico del velo in termini di evocazione di riferimenti identitari che rimandano ai “paesi di origine”, quanto piuttosto connotante proprio la loro doppia appartenenza». L’esempio del velo islamico rappresenta uno di quei casi in cui la dimensione simbolica prevarica rispetto al coacervo degli interessi (e dei diritti) sociali degli appartenenti a comunità musulmane, spesso ignorati dal potere pubblico. Da qui, la materializzazione, come ben messo in evidenza dall’A. citata, di un profilo secondario (il porto del velo) rispetto ad una di diritto sostanziale (i diritti sociali). Questo scardinamento del patto di cittadinanza può rappresentare, nelle ipotesi più estreme, forme di legittimazione di comportamenti illegali, ammantati dal consenso di qualche sedicente studioso di questioni islamiche. Il caso, per esempio, delle fatwe emanate da soggetti autoproclamatisi esperti in materia di diritti islamico o guide spirituali (imam), conferma la necessità di attivare politiche inclusive a partire dalle garanzie sociali fondamentali della cittadinanza. Riprendo alcune importanti considerazioni di S. ALLIEVI, Islam italiano e società nazionale, in A. FERRARI (a cura di), Islam in Europa/Islam in Italia tra diritto e società, il Mulino, Bologna, 2008, pp. 43-75. Il Documento sulla Fratellanza rimarca che: «Il primo e più importante obiettivo delle religioni è quello di credere in Dio [e vare consapevolezza che la causa di tante sciagure nel modo risiede nella] deviazione dagli insegnamenti religiosi, [nell’] uso politico delle religioni e [nelle] interpretazioni di gruppi di uomini di religione che hanno abusato – in alcune fasi della storia – dell’influenza dei sentimento religioso sui cuori degli uomini per portarli a compiere ciò che non ha nulla a che vedere con la verità della religione (…)».[/ref].

Infine, un tratto interessante del Documento, è l’emersione implicita di una idea di laicità costituzionale (e mediterranea), intesa come precipitato di una serie di diritti e libertà considerati fondamentali all’interno di una qualsiasi Costituzione moderna: la libertà personale, la dignità umana, il pluralismo religioso, la giustizia “riconciliativa” (il Cardinale Martini avrebbe detto “salvifica”), il dialogo interculturale e interreligioso, la protezione dei luoghi di culto, la cittadinanza, la cooperazione, la tutela dei diritti fondamentali dei minori, la protezione delle categorie fragili, la libertà religiosa[ref]In occasione del viaggio apostolico di Papa Francesco in Iraq (5-8 marzo 2019), il primo per Bergoglio in un paese a maggioranza sciita, è stata posta massima attenzione sul valore del dialogo interreligioso, sottolineando la gravità della situazione inerente la condizione delle minoranze religiose in Iraq e nell’intera regione. Per un resoconto di tutto il programma della missione in Iraq, si rinvia al sito: www.vatican.va. Per quanto riguarda, invece, il tema scottante della persecuzione dei cristiani e delle minoranze, il rimando è all’ultimo rapporto (2021) sulla Libertà religiosa nel mondo, curato dall’associazione “Aiuto alla Chiesa che Soffre” (ACN – https://acs-italia.org).[/ref], etc. Tutto questo viene consegnato dalla Chiesa cattolica e da Al-Azhar alle istituzioni di ricerca «(…) al fine di contribuire a creare nuove generazioni che portino il bene e la pace» e nella speranza che «questo “catalogo dei sogni” possa non rimanere lettera morta proprio perché attinge alle fonti spirituali di tradizioni millenarie ancora vitali e unisce due delle maggiori confessioni mondiali con miliardi di fedeli sparsi su tutta la superficie del globo»[ref]P. BRANCA, Il Documento di Abu Dhabi: una rilettura, op. cit., p. 75.[/ref].

 

3.3. Tappa finale del nostro itinerario-breve è l’Enciclica di Papa Francesco Fratelli tutti del 3 ottobre 2020. Chi ha una visione della Chiesa arroccata su un’idea di purezza tutta eurocentrica, farà fatica a immaginare quanto a Bergoglio stiano a cuore le sorti dell’ecumene cristiano. Perché si tratta di una strada impegnativa quella che dal soglio di Pietro viene suggerita di intraprendere, fedele a stretto giro col monito di Francesco d’Assisi, secondo cui essere fratelli con tutti significa “attraversare il mondo”, raccogliere a piene mani i suoi lamenti, costruire ponti di speranza, accogliere l’alterità, esprimere la propria identità. Qualcuno immagina tutto ciò come “universalismo vuoto”[ref]Come fa notare il Cardinale M.M. ZUPPI, Fratelli tutti. Presentazione della Lettera Enciclica di Papa Francesco, Ed. San Lorenzo, Reggio Emilia, 2020, p. 28, dove aggiunge che chi immagina ciò non coglie la portata universale del testo, la cui «insistente chiarezza [può servire serve] per farci vivere da cristiani nel mondo».[/ref]; chi scrive, al contrario, ritiene – da laico – che ci sia materiale buono per dare corso a quel costituzionalismo cosmopolita citato in apertura che mette al centro i diritti e le libertà della persona umana e ne affida la custodia a organi di giustizia di pari grandezza. Così la religione diventa “compagna di viaggio” di un nuovo corso della storia, e di un nuovo modo di concepire il diritto quale scienza al servizio della società.

La sfida che il Pontefice lancia al mondo, a partire dalla “sua” Chiesa, è quella di intendere il concetto di universalità in modo performativo. Per fare questo occorre non sentirsi mai “estranei” lungo la strada che si percorre (il rimando è alla parabola del buon samaritano contenuta nell’enciclica), costruendo relazioni di sana cooperazione a vantaggio non solo delle parti direttamente coinvolte, ma anche di quanti sono distanti per diverse ragioni. Quello che possiamo immediatamente raccogliere dall’invito di Bergoglio è la richiesta a costruire insieme la cittadinanza, partendo dalla persona e dalle formazioni sociali, senza ordini “calati dall’alto” in ragione di gerarchie sociali che non siano quelle delle istituzioni civili. Le organizzazioni religiose vanno perciò intese “al servizio del mondo”; ovunque ci sia una persona che ha bisogno d’aiuto queste sono tenute a mobilitarsi, lasciando ai margini del discorso la stretta appartenenza di fede, la disputa teologica e occupandosi solo dell’individuo in quanto tale. Il concetto di cittadinanza (secondo Francesco e l’imam Al-Tayyeb) presume la rinuncia «all’uso discriminatorio del termine minoranze, che porta con sé i semi del sentirsi isolati e dell’inferiorità».

La stesura di una enciclica è sempre un’operazione complessa. È il Papa che parla perchè vuole lasciare un segno che spera possa incoraggiare al cambiamento, qualunque sia l’oggetto del pronunciamento. Ovviamente è pure un lavoro di squadra, come farebbe un qualsiasi leader politico insieme ai suoi collaboratori, perché la materia che si va a comporre presuppone la raccolta di fonti specialistiche e di competenze oggettive. Ma l’indirizzo lo segna sempre e solo lui, il Sommo Pontefice, perché questo rinvia al suo status e al messaggio che intende lanciare alla cristianità cattolica e al resto del mondo. In Fratelli tutti Francesco si muove da sociologo – cerca il rumore dello sfondo – e ne analizza i contorni di natura politica ed economica. A questo aggiunge la «contemplazione delle Scritture (…) come forma di percezione individuale, ma poi contestualizzata, e di percezione critica sociale e orientata politicamente»[ref]F. KÖRNER S.I., La libertà religiosa di fronte a nuove sfide, op. cit., p. 487.[/ref]. Ed è da quest’approccio che Bergoglio prova a dare la sua lettura del progetto di fratellanza, rimarcando il pericolo del «fondamentalismo dei valori» a cui contrappone il «poliedro» delle culture (FT 215), che «integrandosi, arricchendosi e illuminandosi a vicenda» (FT 215) determinano processi virtuosi, inclusivi delle differenze anche complesse e delle «persone che possono essere criticate per i loro errori» (FT 217).

Ma cosa sarebbe la ricerca del consenso senza la convergenza attorno al quel super-valore costituito dalla dignità umana, definita non a caso «inalienabile» (FT 213) al pari dell’art. 1 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea che la qualifica come involabile. Dal mio punto di osservazione, possiamo certamente intendere questa affermazione contenuta nell’enciclica come una disposizione integratrice sul piano culturale e giuridico fattuale, perché arricchisce la semantica ermeneutica delle disposizioni di diritto positivo e del diritto (rectius: dei diritti) a base religiosa su scala globale, producendo una sua/loro tensione evolutiva[ref]Si rinvia a S. FERRARI, Lo spirito dei diritti religiosi. Ebraismo, cristianesimo e islam a confronto, il Mulino, Bologna, 2002, p. 153, dove scrive: «È dunque giocoforza ammettere che qualche forma di mutamento e di dinamicità non sia estranea a questi ordinamenti [giuridici religiosi, n.d.r.]. Tanto il diritto ebraico come il diritto canonico ed il diritto islamico debbono affrontare un problema analogo: quello di una legge fondamentale immutabile, perché di origine divina, che deve però essere completata ed adeguata al mutare delle circostanze ad opera di un’autorità umana».[/ref]. Dal punto di vista, invece, di Papa Francesco, questo riferimento potrebbe significare che la dignità (o la sacralità della persona) sta a cuore alle religioni (e agli apparati istituzionali che li rappresentano nello spazio della politica) e che pertanto, quando c’è di mezzo questo “valore”, il discorso dell’appartenenza di fede diventa secondario, perché sennò le religioni rischiano di degradare a sistemi di puro potere, non sono più una delle fonti a cui potersi accostare per placare la sete di verità.

 

Conclusioni

Per chi studia diritto interculturale e delle religioni il termine fratellanza assume un carattere decisivo all’interno del proprio lavoro di indagine. Perché, a prescindere da come risulti possibile declinarlo dal punto di vista del diritto positivo, esso presuppone la messa in discussione del paradigma suprematista (religioso, culturale, etnico, razziale, economico, etc.) e delle sue varianti applicative in termini di razzismo, xenofobia, separatismo, etc. Da questo deriva che nella sfera pubblica la convergenza sulle “categorie di fondo” non autorizza nessuno ad appropriarsene attivando logiche di egemonia, sia nel campo delle fedi che della politica. Tutti (persone e istituzioni) sono chiamati a dare un contributo alla costruzione di una fraternità universale, al riconoscimento di un frère universel, ma senza eludere quello che potremmo definire il “test di laicità” applicato, in questo caso, alla fratellanza (come riconoscimento della pluralità delle morali e delle culture). Ritengo che l’idea di fratellanza di papa Francesco vada nella direzione di una laicità che non neutralizza il piano della religiosità; anzi, siamo di fronte alla possibilità concreta che una convergenza si venga a determinare (nel rispetto della distinzione degli ordini) sulla valorizzazione degli apporti che la sfera religiosa e quella politica possono dare al fine di edificare una società più giusta e rispettosa dei diritti di tutti.

Come spesso accade quando ci si cimenta nella lettura di qualcosa ritenuta (spesso solo aprioristicamente) “distante” dai propri ambiti di lavoro o dalla propria visione del mondo, ad emergere sono le cose viste e interpretate come assolutamente irriducibili. Lo sforzo, invece, che si richiede all’intellettuale non dogmatico è proprio quello di leggere tra le pieghe del pensiero – essere «aperto al dubbio»[ref]«(…) sempre in cammino», riferendosi al compito del filosofo. Così scrive N. BOBBIO, Elogio della mitezza e altri scritti morali, il Saggiatore, Milano, 2006, p. 146.[/ref] – così da espletare il proprio ruolo «come alimento della vita sociale e politica, come interrogazione fondamentale sul senso della convivenza degli esseri umani, come capacità di rivoltare il senso comune delle cose e di scuotere la routine che ci avvolge»[ref]G. ZAGREBELSKY, Mai più senza maestri, il Mulino, Bologna, 2019, p. 37.[/ref].

 

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