L’educazione sentimentale
Fondamenti teorici e presupposti metodologici
Paolo Ercolani
Li vediamo sorridenti e spensierati, i ragazzi e le ragazze del nostro tempo, pieni di amici e immersi in molteplici attività che li appagano. Riusciamo letteralmente a vederli perché immortalano gli attimi festosi della loro esistenza, le smorfie buffe e i giochi della loro giovane età sui più svariati social network.
Quei social network che possiamo prendere come lo specchio che ci restituisce l’immagine di una generazione mai come in questo tempo piena di possibilità. Anzitutto possibilità di entrare in relazione e fare un’esperienza piena della propria vita sociale. Il guaio è che, stando ai numerosi studi su quella che a vario titolo viene chiamata «generazione app», «I-Gen», o più comunemente «nativi digitali», lo specchio dei social network risulta essere assai distorto. Ci restituisce un’immagine che corrisponde alla realtà «virtuale», ma che è ben distante, se non contrapposta, rispetto alla realtà reale.
Sì, perché nei fatti «questa generazione è sull’orlo della più grave emergenza di salute psicologica giovanile da decenni», come afferma in maniera perentoria e documentata la psicologa americana Jean M. Twenge nel suo libro «Iperconnessi», tradotto in Italia per i tipi di Einaudi.
Se nel virtuale vediamo giovani sorridenti, «smorfiosi» e colmi di irrefrenabile e costante felicità, nel quotidiano dobbiamo prendere atto di una generazione di persone sempre più sole, spaventate e depresse. Si tratta di un paradosso drammatico: la generazione in possesso dei più potenti e incredibili mezzi per entrare in contatto con gli altri, si rivela come quella più incapace di allacciare relazioni profonde e appaganti.
Ragazzi e ragazze con lo sguardo costantemente incollato a degli schermi piatti e ipnotizzanti, «iper-connessi» ma in realtà frammentati e ingabbiati all’interno delle proprie solitudini comunicanti. Intendo precisare che tali considerazioni non si basano su una semplice osservazione, che ognuno di noi può peraltro svolgere anche solo osservando i ragazzi di oggi (spesso seduti a un tavolino per svariati minuti, senza mai parlarsi né alzare lo sguardo dallo schermo del proprio smartphone). Piuttosto sono dati che emergono dagli studi scientifici di celebri e affermati psicologi, pedagogisti e studiosi a vario titolo della dimensione digitale.
Da questi presupposti, certamente non generalizzabili ma neppure da sottovalutare, parte l’idea di provare a innestare nelle Scuole l’«educazione sentimentale». Intendendo questa «materia» inedita di studio in un duplice significato: da una parte fornire a ragazzi e ragazze gli strumenti critici per poter cercare se stessi (o fuggire da sé) non all’interno di uno schermo sempre acceso e di una dimensione tanto virtuale quanto aleatoria; dall’altra suggerire loro delle modalità di relazione con gli altri che siano più rispondenti alla specificità dell’essere umano che non all’aridità asettica e superficiale delle macchine.
Ecco perché l’educazione sentimentale nulla c’entra, né intende entrarci, con l’educazione sessuale. Non si tratta di insegnare ai giovani la meccanica del sesso, bensì di fornire loro quegli strumenti che gli permettano di vivere una relazione quanto più ragionevolmente equilibrata sia con il proprio «sé» sia con le altre individualità con cui entreranno in contatto.
In questo senso l’educazione sentimentale si rivolge a una sfera della persona che precede l’eventuale concretizzazione del rapporto una volta che i due (o più) individui sono entrati in relazione: che sia la realizzazione di un’amicizia, dell’ingresso in un gruppo o in una squadra come anche di un rapporto amoroso, una corretta «alfabetizzazione» emotiva e relazionale è alla base della possibilità di allacciare relazioni sane ed equilibrate. Violenza sessuale o di genere, bullismo, rapporti a vario titolo conflittuali e che talvolta sfociano in esiti drammatici, sono a mio avviso l’esito patologico di una scorretta conoscenza dei meccanismi affettivi e relazionali che regolano il rapporto dell’essere umano con se stesso e, quindi, con gli altri.
Ciò è stato vero in ogni epoca, ma nel tempo in cui i nostri ragazzi e ragazze fanno sempre più esperienza della propria vita (e dei propri rapporti umani) attraverso l’intermediazione onnipresente e distorcente della tecnologia digitale, tale problema assurge al rango di vera e propria emergenza sociale. Non si tratta di fare allarmismo o utilizzare toni apocalittici: bensì di rimboccarsi le maniche e costruire progetti che affrontino il problema e cerchino in misura ragionevole di contenerlo.
In questo senso credo sia oltremodo positivo il fatto che, dopo il Consiglio regionale del Piemonte, anche la città di Pesaro (con il Provveditore prof.ssa Tinazzi, e l’assessore Giuliana Ceccarelli), la Regione Marche (con la Commissione regionali Pari opportunità, presieduta dalla dott.ssa Meri Marziali) e svariati istituti scolastici sparsi per la Penisola abbiano aderito al progetto di «Educazione sentimentale nelle Scuole».
Un progetto che è stato ideato, elaborato e realizzato in collaborazione stretta con l’associazione di ricerca internazionale «Filosofia in movimento». Un Paese che rinuncia all’educazione si auto-condanna a essere popolato da barbari. O, come in questo caso, da solitudini comunicanti sempre meno in grado allacciare relazioni sane e reciprocamente proficue.
L’educazione sentimentale avrà proprio questo compito.
Insegnare ai ragazzi a staccare ogni tanto gli occhi dagli schermi, per aprirli all’umanità in cui si trovano a vivere la vita reale.