Nancy Fraser, Cosa vuol dire socialismo nel XXI secolo?

Traduzione di Alessia Gasparini

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Premessa

Il “socialismo” è tornato. Per decenni questa parola è stata fonte di imbarazzo, facendo riferimento a un deprecabile fallimento, come fosse la reliquia di un’era passata. Oggi non è più così! Politici come Bernie Sanders e Alexandria Ocasio-Cortez si definiscono socialisti con fierezza e guadagnano consensi, mentre organizzazioni come i Democratic Socialists of America accolgono frotte di nuovi membri. Ma che cosa intendono esattamente per “socialismo”? Seppur benvenuto, l’entusiasmo per la parola non si traduce automaticamente in serie riflessioni sul suo senso. Che cosa significa o dovrebbe significare “socialismo” ai giorni nostri?
Qui proporrò alcune idee preliminari orientate alla ricerca di una risposta. Partendo da un concetto più ampio di capitalismo, suggerirò che abbiamo bisogno di una concezione ampliata di socialismo, che superi gli stretti economismi propri della sua classica accezione. Rivelando le contraddizioni dell’economia capitalista e le relazioni dannose con i suoi presupposti “non-economici”, intendo affermare che il socialismo deve fare di più che trasformare la dimensione della produzione.
Oltre che di quest’obiettivo, che sostengo dal profondo del cuore, deve anche occuparsi di trasformare la relazione tra la produzione e il suo retroterra di condizioni di possibilità, cioè la riproduzione sociale, il potere dello Stato, la natura nonumana e le forme di ricchezza che si trovano fuori dei circuiti ufficiali del capitale, ma comunque alla sua portata. In altre parole, come spiegherò, un socialismo per il nostro tempo deve superare non solo lo sfruttamento del capitale sul lavoro salariato, ma anche il suo approfittarsi del lavoro di cura non stipendiato, dei beni pubblici e della ricchezza espropriata a soggetti razzializzati e alla natura non-umana.

[…]

1. Cos’è il capitalismo?
Una prospettiva ampliata

Spesso, il capitalismo è inteso come un sistema economico, i cui componenti sono la proprietà privata e lo scambio di mercato; il lavoro salariato e la produzione di merci; credito e finanza; profitto, interesse e rendita: tutti elementi quantificati in denaro e combinati in modo da istituzionalizzare la crescita economica come un imperativo del sistema.

In questa interpretazione, il capitalismo coincide con la gamma di attività, relazioni e oggetti che sono monetizzati, volti a includere o produrre valore economico.
Chiamiamola visione stretta o ristretta del capitalismo.
Interiorizzata dalla maggioranza di donne e uomini d’affari e dagli economisti mainstream, è anche la versione co mu nemente accettata dalla società in genera le dove non c’è stata una riflessione.

Lo è così tanto da dominare il
pensiero di alcuni dei critici del capitalismo, che,
anche loro, spesso sottoscrivono la sua interpretazione
più stretta.
Quello che chiamerò “marxismo tradizionale”
è uno dei casi in questione.
[…]
Questa visione si concentra unicamente
sul “segreto laboratorio” della produzione, dimenticando
di interrogarsi sulle condizioni di
possibilità di quest’ultima, che devono essere
ricercate altrove, in altri laboratori, di natura
“non economica”, ancora più segreti.

[…]

Elenco qui quattro di queste condizioni non
economiche che rendono possibile un’economia capitalista.
La prima è una quantificabile sacca di lavoro
non remunerato inteso alla “riproduzione sociale” e include il lavoro domestico, mettere al mondo e crescere i figli; la cura degli adulti, inclusi i lavoratori salariati, degli anziani e dei disoccupati,
ovvero tutto ciò che è volto a creare e supportare un essere umano.

[…]

La seconda condizione “non economica” indispensabile per un’economia capitalista è una grande riserva di ricchezza espropriata alle persone sottomesse, in particolare per motivi razziali, ovvero “razzializzate”.
[…]
Una terza condizione “non economica” indispensabile
per un’economia capitalista è una grande quantità di “doni” e/o contributi a basso costo provenienti dalla natura “non-umana”, che costituiscono l’indispensabile sostrato mate riale della produzione capitalista:
[…]

Quarta e ultima condizione “non economica” indispensabile per un’economia capitalista è la grande quantità di beni pubblici forniti dagli Stati o da altri poteri non privati.

[…]
Ognuna di queste quattro condizioni rappresenta un presupposto indispensabile per un’economia capitalista.
[…]
Il capitalismo, in altre parole, non ha a che vedere solo con l’economia, ma fa parte di qualcosa di più ampio.
[…]
Questa nuova, allargata visione della società capitalista
ha un pesante impatto sul progetto di ripensare
il socialismo. Cambia – e in effetti espande – la nostra cognizione di cosa c’è di sbagliato nel capitalismo e di cosa debba essere fatto per trasformarlo.

2. Che cosa non va nel capitalismo?
Una prospettiva ampliata

Nella visione ristretta ci sono tre mali intrinsechi al capitalismo: ingiustizia, irrazionalità e mancanza di libertà.
Analizziamone uno alla volta.
Il fulcro dell’ingiustizia capitalista consiste nello sfruttamento da parte del capitale dei liberi lavoratori della classe operaia, che lavorano per ore gratuitamente, producendo un’enorme ricchezza di cui però a loro non spetta alcuna parte. I benefici vanno dritti alla classe capitalista, che si appropria del loro pluslavoro e del plusvalore che ha generato, reinvestendolo per i propri scopi, cioè accumularne ancora di più. […] Allo stesso modo, dalla prospettiva ristretta, la principale irrazionalità del capitalismo è la sua intrinseca tendenza alla crisi economica.
[…] Infine, in base alla visione ristretta il capitalismo
si rivela fisiologicamente e profondamente antidemocratico.

[…]

Ma, ancora una volta, il quadro non è tanto errato quanto piuttosto incompleto.

[…]

Consideriamo, innanzitutto, che la visione allargata del capitalismo rileva una serie ampliata di ingiustizie sistemiche. Esse non sono esclusivamente all’interno della sua economia,
molte sono radicate piuttosto nella divisione tra l’economia capitalista e le sue condizioni di possibilità non economiche. La divisione tra la produzione economica, dove il lavoro è remunerato con salari in denaro, e la riproduzione sociale, dove invece spesso non è pagato, ma ammantato di sentimentalismo e ricompensato in “amore”, è un punto cruciale.

[…]

Similmente, le società capitaliste istituiscono una divisione strutturale tra i “lavoratori” liberi, che possono scambiare la propria forza lavoro con il costo della sua riproduzione, e gli “altri
dipendenti”, la cui persona e i cui beni possono solo essere carpiti.
[…]

Inoltre le società capitaliste istituiscono una netta divisione tra esseri umani e natura nonumana, che cessano così di appartenere allo stesso universo ontologico. Ridotta a un rubinetto e a un bacino cui attingere, la natura nonumana viene sfruttata per l’estrattivismo bruto e per la strumentalizzazione.

[…]

Infine, il capitalismo istituisce una divisione strutturale tra “l’economico” e “il politico”. Da una parte c’è il potere privato del capitale di organizzare la produzione, usando “solo” la frusta della fame e del bisogno; dall’altra il potere pubblico dello Stato, che monopolizza la violenza legittima e rappresenta la legge.
L’effetto di questa divisione è la brusca riduzione degli ambiti della politica, ovvero l’espulsione dall’agenda pubblica di una serie di questioni di vitale importanza, come spiegheremo.

[…]
La prospettiva allargata sul capitalismo amplia anche la nostra concezione della crisi capitalista. Ci rivela l’esistenza di alcune
innate tendenze autodestabilizzanti che vanno ben al di là di quelle interne alla sua “economia”. Innanzitutto, una propensione strutturale a ingenerare crisi della riproduzione sociale. […]
La visione ampliata rivela anche una tendenza intrinseca alla crisi ecologica. […]

Le tendenze del capitalismo alla crisi ecologica e socio riproduttiva sono inseparabili dalla sua dipendenza costitutiva dalla ricchezza espropriata ai popoli razzializzati […]

Infine, la visione allargata del capitalismo rivela una radicata tendenza alla crisi politica. […] Con lo scopo di eludere le tasse e indebolire le capacità normative dello Stato, tende a svuotare i poteri pubblici da cui dipende.
[…]

Infine, la visione ampliata della società capitalista rivela una panoramica allargata delle sue carenze democratiche. Il problema non è “solo” che la disuguaglianza economica e il potere di classe contrastano la possibilità di avere una pari voce democratica nell’ambito politico; non sta “solo” nel fatto che i capi comandano nella fabbrica.

Altrettanto, se non più importante è la rimozione preventiva delle questioni fondamentali dal campo di applicazione del processo decisionale democratico.
[…]

3. Cos’è il socialismo?
Una prospettiva ampliata

Chiaramente, ripensare il socialismo per il Ventunesimo secolo è di per sé un lavoro estremamente impegnativo, fin troppo per una sola persona o persino un gruppo di persone impegnato nella sua teorizzazione. Se il lavoro verrà completato (e sottolineo “se”), sarà grazie agli sforzi combinati di attivisti e teorici, mentre le intuizioni acquisite attraverso la lotta sociale entreranno in sinergia con il pensiero programmatico e con l’organizzazione politica.
Tuttavia, voglio offrire tre serie di brevi riflessioni che mi sembrano derivare da ciò abbiamo detto finora e hanno a che fare con i confini istituzionali, il plusvalore sociale e il ruolo dei mercati.

[…]

Ho tracciato solo i contorni di un piccolissimo
sottoinsieme di questioni rilevanti, ma spero
che anche questo piccolo inizio possa avere un
valore. Spero soprattutto di essere riuscita a
convincervi che vale la pena perseguire il progetto
socialista nel Ventunesimo secolo, che,
lungi dal restare solo un’abusata definizione, il
“socialismo” può proporre un’autentica alternativa
al sistema che sta attualmente distruggendo
il pianeta e vanificando le nostre possibilità
di vivere liberamente, democraticamente
e bene.