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Giuseppe Goisis, “Speranza”, Edizioni Messaggero, 2020

Speranza: Amazon.it: Goisis, Giuseppe: Libri(Edizioni Messaggero, 2020, pp. 114, € 11)

 

Sono poco più di un centinaio le pagine che compongono l’ultimo libro del filosofo veneziano Giuseppe Goisis, Speranza. Pagine di agile lettura, accessibili e, però, assai sentite e dense di stimoli per la riflessione.

 

Una prima serie di considerazioni merita di essere riservata alla postura assunta dall’autore lungo l’intero suo meditare. Una postura singolare, che offre una rara occasione di arricchimento per il lettore: Goisis predispone come presupposto al suo lavoro sulla speranza l’esperienza di ricerca spirituale, orientata dalle parole che informano il messaggio cristiano. Ma ci si sbaglia se si crede che questo costringa il pensiero al settarismo religioso. Certo, Goisis si impegna in un’intensa esegesi della preghiera del Padre Nostro, e in particolare della quarta petizione, che invoca il pane quotidiano, alla ricerca di chi è il mittente di quella richiesta, della sua natura plurale e della sua inevadibile tensione al futuro. Ma non si tratta di rinvigorire dei granitici e polverosi articoli di fede e, tanto meno, di rimanere incagliati nel dogmatismo ottuso che spesso ha interferito nel dialogo fra religioni e mondo laico. Lo sforzo metodologico profuso in questo libro è proprio l’opposto: chiarendo limpidamente lo sfondo precomprensivo a partire dal quale l’autore prende a meditare, l’impegno è quello – oggi quanto mai urgente – di verbalizzare il proprio sentire, di renderlo accessibile anche a chi non lo condivide immediatamente, di trovare, almeno sul piano cognitivo ma invero anche sul piano umano, un terreno di concordia. Si tratta di una benintesa pratica della laicità: quella di chi è convinto della complessità dell’umano, irriducibile ai soli aspetti quantitativi e razionalistici; quella che preme perché la ricchezza della vicenda umana non sia compressa nell’ambito domestico e privato, nel quale covano inevitabilmente interpretazioni personali foriere di conflittualità, bensì sia motivo di arricchimento reciproco, di progresso. E, questo, non banalmente in un incontro di voci singole che si sommano, prendendo vicendevole coscienza l’una delle altre, ma in una maturazione corale e articolata, entro cui ognuno si riscopre immediatamente in relazione. 

Così declinato, il discorso sulla speranza si qualifica, già nelle sue premesse, come un discorso che trascende l’individuo, che incontra la persona nella sua essenziale relazionalità. E se l’esperienza da cui Goisis prende le mosse è quella del mistero e della trascendenza, essa risulta comprensibile anche da chi rivolge la propria ricerca verso una trascendentalità orizzontale, interumana, che tragga le proprie motivazioni da altre sfere, ma che converga in maniera dialogica e armonica sull’invito ad aprire una zona sovraindividuale di incontro. 

Dal punto di vista formale, dunque, si può affermare che Speranza offre una duplice opportunità. Il lavoro di Goisis si propone al mondo laico come un invito all’ascolto della sensibilità, anche quella più intima, quando essa si sforza di emergere e offrirsi al confronto; ma al contempo è potente l’invito rivolto a chi condivide il cammino di ricerca dell’autore, a non chiudersi in un’appagante conservazione della propria esperienza, degli articoli che la sostengono e dei dogmi che la tutelano, e quindi ad aprirsi alla discreta e modesta offerta, a quel lavoro che rende accessibile e plastico anche il sentire più profondo. Si può ben parlare di uno spirito capitiniano di libera aggiunta, che spinge l’esperienza di fede a donarsi come occasione, come esempio e non come ostacolo, per l’arricchimento di una dimensione pubblica oggi sempre più asfitticamente rinchiusa entro i limiti dell’interesse privato.

 

È proprio su questo aspetto formale che assume sostanza la riflessione di Goisis, rafforzandosi proprio applicando in prima persona quanto va testimoniando. È infatti alla dimensione pubblica e politica che si rivolge Goisis, incardinando il proprio concetto di speranza su una dinamica che non può che essere quella della collettività. Con l’intento di evadere i limiti ristretti di chi escogita scenari futuri non condivisi e, anzi, a spese di altri, l’autore definisce la speranza come un concetto intrinsecamente plurale, che non può che esorbitare rispetto alla dimensione individuale in cui la speranza non solo si trasforma in illusione, desiderio, inquietudine, ansia, vano ottimismo, ma viene meno anche alla propria tensione più intima.

Goisis sosta presso l’essere umano sostenendone l’intrinseca natura paradossale e rivelandone il lato promettente. Si ricordi quanto affermava Platone in merito alla postura eretta dell’uomo, animale bipede capace di osservare nella sua interezza il panorama che gli sta di fronte, e di non rimanere perciò intrappolato nel dato astratto e disperante, inserendolo anzi nello sfondo complesso e ricco su cui si staglia. Lo stesso rapporto che l’umano intesse con le estasi temporali comunica questa capacità, che àncora nel passato dove può trovare significato un’identità e, al contempo, slancia verso il futuro, verso un orizzonte di realizzazione, di trasformazione e, al limite, di trasgressione di tale identità. Trovando nel presente l’unica dimora possibile e, insieme, un’istantaneità senza dimensione che non sia quella del passaggio, l’uomo riscopre la propria eccentricità e la propria dissimmetria, il proprio strutturale sporgere oltre il già dato. Quando il dato precostituito si confonde con la prescrizione, quando l’essere diviene mero e irriflesso dover essere, quando ciò che è già è oggetto di conservazione, la speranza invece si spegne, e l’orizzonte di possibilità si richiude. 

È di tale trascendimento del reale che la speranza assume l’urgenza. È l’esigenza di ridare possibilità al presente nel futuro, ma riabilitando e redimendo perfino il passato. Un trascendimento del reale che, dunque, non è volgare slancio vitalistico o attesa ingenua, essendo piuttosto l’urgenza di aderire al reale per meglio trasformarlo, in maniera responsabile e cosciente. Impresa che non può essere ristretta al solo foro interno dell’individuo. Compressa nella sola dimensione del sogno privato, infatti, la speranza perde contatto con la realtà e, gonfiandosi di aspettative, si ribalta in un incubo da realizzare a detrimento della collettività. Quanti progetti politici luminosi e promettenti si sono persi nella conservazione di principi incrollabili e incompatibili con il benessere dell’uomo; in quante occasioni, in altri termini, la speranza ha perso il proprio slancio, la propria tensione, trasformandosi in violenta conservazione. Questo rischio può essere evitato solo grazie alla declinazione relazionale della speranza, entro cui sola essa permane nella propria tensione progressiva e non si impasta in una nociva contraddizione performativa.

È così che il metodo assunto da Goisis rivela la propria coerenza con il contenuto che vuol comunicare; un dialogo laico e aperto si rende, cioè, latore di un invito a uscire dalla privatezza del proprio interesse, per cooperare nella costruzione di un futuro possibile. Perché di questo parla la speranza anche nelle sue definizioni più paradossali. Si pensi a quanto, facendo eco allo spes contra spem di matrice paolina, affermava Walter Benjamin: «Solo per chi è senza speranza ci è data la speranza». La speranza è la capacità, appresa nell’arco dell’intera vita, di sostare presso l’assenza di possibilità, vicino a coloro ai quali la storia ha strappato l’apertura più consona all’uomo. E, sostando in questi spazi e in prossimità di questi uomini, non solo osservarli, non solo indignarsi, ma farsi carico, per essi e per noi stessi, della loro disperazione. Nell’assenza di ogni speranza, in un contesto storico che sempre più spesso impone di rassegnarsi all’assenza di alternative, essere motivi di speranza.

 

L’impegno di Goisis è quello di ridefinire il concetto della speranza come liberazione e autotrascendimento; come partecipazione al futuro; come predisposizione all’azione. Premessa perché la speranza si realizzi in tal maniera, è la sua sottrazione alla sfera emotiva o sentimentale da cui, comunque, essa prende avvio, e la sua radicazione ontologica. Di speranza, perciò, si potrà parlare se, con un serrato rapporto con la realtà, si verrà a sorprendere una singolare corrispondenza tra la tensione trascendentale dell’uomo e l’urgenza del possibile che preme nell’attualità del mondo. Se si riscopre, cioè, anche negli angoli più reconditi e polverosi della realtà un varco da cui la storia possa tornare a sgorgare, ricaricandosi di possibilità e promesse.