Elio Toaff (1915 – 2015)
È arrivato sino alla soglia dei cento anni il rabbino Elio Toaff, metà dei quali (1951-2001) vissuti da rabbino capo di Roma. Un dato che, pur nella cultura rabbinica, così legata alla continuità della tradizione e così propensa al riconoscimento simbolico della longevità personale nella vita dei maestri, è destinato a trovare pochi eguali. Elio Toaff si è formato all’ombra di quell’Ebraismo livornese che, nei secoli, ha saputo coniugare il rigore metodologico, un prudente riconoscimento della cultura giuridica liberale e la ricchezza, non solo aneddotica, del cabalismo, delle sue origini e dei suoi significati. Una formazione del genere, anche al di fuori dei confini della comunità ebraica, era a dir poco inusuale per chi si fosse preparato agli studi negli anni Trenta e Quaranta del XX secolo. In più, Toaff scelse di combattere in prima persona, nella Resistenza, contro il nazifascismo. In quella lotta, che molto deve in Italia a comunità pur minoritarie che furono determinanti nell’esito della sollevazione (valdesi ed azionisti in Piemonte; al Centro, i primi nuclei comunisti organizzati; al Sud non pochi socialisti che collaborarono con gli Alleati), fu tra quanti provarono a sconfiggere i miasmi di due decenni di totalitarismo. Guardando al bene della collettività nel suo complesso, e non solo al grave genocidio del popolo ebraico, disperso per l’Europa, e, in Italia, marginalizzato già con la legislazione unilaterale sulle comunità israelitiche e, neanche un decennio a seguire, massacrato dalle leggi razziali. Toaff conservò, nella sua lunghissima attività da uomo di cultura, delle istituzioni religiose e anche del dialogo civile, la propensione a ricercare la pace a partire da ordinamenti equi. Con viva partecipazione, salutò il tardivo superamento da parte della Repubblica italiana della regolamentazione statuale sulle comunità israelitiche e fu nel movimento d’opinione, interno alla cultura ebraica, che guardò con diretta attenzione e proprio impegno personale al conseguimento dell’intesa, recepita nella legge n. 101 del 1989. Non solo: sostenne con argomentazioni di rara profondità l’imperativo del disarmo internazionale, incontrò in sinagoga nel 1986 Giovanni Paolo II, dando voce al rinnovato impegno per il dialogo interreligioso. Un incontro la cui valenza simbolica è tutta nella tenuissima distanza geografica tra la sede di Pietro e la sinagoga ebraica, a Roma. Soltanto ai grandi uomini è dato di riuscire a fare piccoli passi. Senza assumere pose da personaggio pubblico, segnalò i rischi di un rinnovato antisemitismo, in Europa e in Oriente, ed ebbe la forza di lasciare il ruolo ricoperto, quand’era ancora nel pieno delle sue facoltà e circondato dalla massima stima e fiducia di tutta la comunità. Quando venne proposto per la carica di senatore a vita (inizialmente da Marco Pannella e fino ai primi anni Duemila da un numero crescente di sostenitori), finì per difendere il principio della distinzione degli ordini e quello della separazione dei poteri: la sua funzione non era quella della rappresentanza politica parlamentare, ma schierandosi al di fuori di essa non riteneva di dover imporre ad altri le proprie gerarchie. Eppure non meno di altri nominati al seggio avrebbe meritato lo scranno. In tempi ancora recentissimi, quando il figlio Ariel pubblicò un controverso volume sui rituali tradizionali della Pasqua ebraica, e veniva interpellato tanto come guida spirituale quanto e soprattutto in veste di uomo di cultura e persona di grandi competenze storiografiche, riuscì a non farsi prendere né dalle conflittuali interpretazioni maturate dagli studiosi ebraici (spesso inclini a vedere in posizioni di dissenso interno l’agio di nuovi attacchi alla comunità nel suo complesso), né dal paternalismo che molti sarebbero stati pronti a rinfacciargli. Scelse la via del paziente ammonimento: la libertà di parola non può essere negata, solo lo studio può però davvero fortificarla e le istigazioni alla violenza sono comunque e sempre da bandire.
Talvolta si è rimproverato al Toaff degli ultimi anni di aver rinunciato ad esprimere posizioni ferme sulla situazione medio-orientale e, in particolar modo, di non aver criticato i governi israeliani succedutisi, mentre si realizzava il timore presagito da tempo dai più fini cultori del diritto internazionale: la dissoluzione della continuità territoriale della regione palestinese. Su tali vicende, è opportuno e sperabile che resti buon arbitro l’istanza del confronto e della pace che tante volte Toaff perorò in vita. Essa non per tutti, del resto, coincide con l’assunzione di una precisa posizione politica e civile, ma quando è animata dalla buona fede il seme del dialogo può dirsi già gettato e sperabilmente pronto a portar pianta, e da lì il frutto.
Shalom Elio Toaff.
Antonino Mantineo (professore ordinario Diritto Ecclesiastico e Canonico; Università Magna Graecia, Catanzaro) Felice Scalia (teologo gesuita) Giuseppe Silvestre (professore Istituto Teologico “San Pio X”, Catanzaro) Giuseppe Placanica (docente Scuola di Specializzazione Professioni Legali; Università Magna Graecia, Catanzaro) Domenico Bilotti Luigi Guzzo Stefano Montesano Maria Teresa Niutta
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