IL PRINCIPIO DI PRECAUZIONE E L’EMERGENZA COVID-19

di Andrea Ciacci

Abstract:

Il contributo affronta la tematica del principio di precauzione, vera e propria bussola dei governi nazionali nel fronteggiare la pandemia da Covid-19. L’analisi prende le mosse dalle prime apparizioni del principio per giungere alle sue più recenti formulazioni, interrogandosi infine relativamente alla coerenza dell’operato del Governo italiano con il corretto utilizzo del principio de quo.

The research addresses the issue of the precautionary principle, which has been the main tool many National governments have been using to face the Covid-19 pandemics. The analysis also questions the actions taken by the Italian government, subjecting them to the magnifying glass of the principle itself.

SOMMARIO: 1. Premessa. – 2. Genesi ed applicazioni del principio di precauzione. – 3. Considerazioni conclusive.

1. Premessa

La pandemia [ref]Così classificata dall’Organizzazione Mondiale della Sanità. Si rimanda al WHO Director-General’s opening remarks at the media briefing on COVID-19 dell’11 Marzo 2020.[/ref] della patologia respiratoria denominata COVID-19 [ref]Abbreviazione dell’inglese COronaVIrus Disease-2019.[/ref], che sin dai primi mesi del 2020 sta interessando l’intera popolazione mondiale, ha richiesto l’adozione di misure straordinarie da parte degli Stati, volte – nell’attesa dello sviluppo di un vaccino – al contenimento del contagio da coronavirus SARS-CoV-2 [ref]Denominazione adottata dall’International Committee on Taxonomy of Viruses (ICTV) e successivamente utilizzata anche dall’European Centre for Disease Prevention and Control (ECDC).[/ref]: si tratta, principalmente, di restrizioni a diritti fondamentali quali l’autodeterminazione e la libera circolazione degli individui, nonché di limitazioni allo svolgimento di attività economiche.

In assenza di presidi terapeutici convalidati e certi, il governo italiano [ref]Attraverso decreti legge (in particolare, i numeri 6 e 19 del 2020), decreti ministeriali e decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri adottati in ossequio alla legge 23 agosto 1988, n. 400 e nell’ambito delle materie che l’articolo 117 della Costituzione riserva alla potestà legislativa e regolamentare esclusiva dello Stato, nonché esercitando il potere di ordinanza in materia di protezione civile che l’articolo 5 del Codice della protezione civile (Decreto Legislativo n. 1 del 2 gennaio 2018) attribuisce al Presidente del Consiglio dei Ministri; per quanto di competenza del Ministro della Salute, per il tramite delle ordinanze di cui all’articolo 32, primo comma, della legge 23 dicembre 1978 n. 833.[/ref] e gli enti locali [ref]Le Regioni si sono avvalse del potere di ordinanza loro conferito, anche nelle materie di igiene e sanità pubblica, dall’articolo 32 della legge 23 dicembre 1978 n. 833. I Comuni hanno adottato misure eccezionali attraverso lo strumento delle ordinanze contingibili ed urgenti di cui all’articolo 50, comma 5, del decreto legislativo n. 267 del 2000, predisposto dal testo unico degli enti locali (anche) per i casi di emergenza sanitaria o di igiene pubblica, qualora rivestano esclusivamente carattere locale.[/ref] hanno optato per un approccio all’emergenza [ref] In data 31 gennaio 2020, il Consiglio dei Ministri ha dichiarato lo stato di emergenza fino al 30 luglio 2020. Ciò si è reso necessario “in conseguenza del rischio sanitario connesso all’insorgenza di patologie derivanti da agenti virali trasmissibili”.[/ref] di tipo precauzionale, principalmente inibendo agli individui (a prescindere dal loro stato di salute) la possibilità di allontanarsi dai propri luoghi di dimora (se non per casi eccezionali, tassativamente previsti nei decreti adottati) [ref] Il c.d. “lockdown”; detto termine, nei paesi anglosassoni, indica quel particolare protocollo d’emergenza teso al confinamento degli individui in una determinata area, per ragioni di sicurezza ed ordine pubblico.[/ref], vietando gli assembramenti, precludendo l’ingresso e l’uscita da determinati territori, prescrivendo l’utilizzo di idonei presidi sanitari.

È noto come, a partire dal Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri del 9 marzo 2020, le misure in un primo momento operanti limitatamente in circoscritte zone della penisola [ref]Per mezzo del DPCM datato 8 marzo 2020, il quale, all’articolo 1, individua le località interessate nella regione Lombardia e nelle province di Modena, Parma, Piacenza, Reggio nell’Emilia, Rimini, Pesaro e Urbino, Alessandria, Asti, Novara, Verbano-Cusio-Ossola, Vercelli, Padova, Treviso, Venezia.[/ref] siano state, successivamente, estese a tutto il territorio nazionale, interessando anche comuni e regioni che fino ad allora non avevano registrato casi di positività al COVID-19.

La vigorosa politica cautelativa adottata dal governo, centrale e locale, è conseguenza della mancanza di esaustiva letteratura scientifica in merito al SARS-CoV-2; l’opportunità di intervenire, “sospendendo” talune libertà costituzionalmente garantite per salvaguardare il bene primario della salute pubblica nonché la tenuta del sistema sanitario nazionale, è suggerita dal principio di precauzione.

2. Genesi ed applicazioni del principio di precauzione

Il principio di precauzione costituisce uno dei più importanti approdi della riflessione giuridica del XX secolo.

La sua genesi è legata a doppio filo col progresso nel campo tecnologico e scientifico, il quale ha reso possibile lo svolgimento di attività il cui raggio d’azione si estende ben oltre il luogo ove le stesse siano poste in essere [ref]Per mezzo del DPCM datato 8 marzo 2020, il quale, all’articolo 1, individua le località interessate nella regione Lombardia e nelle province di Modena, Parma, Piacenza, Reggio nell’Emilia, Rimini, Pesaro e Urbino, Alessandria, Asti, Novara, Verbano-Cusio-Ossola, Vercelli, Padova, Treviso, Venezia.[/ref]. Tale condizione di “onnipotenza tecnologica” non è stata, tuttavia, affiancata da una parallela, esaustiva cognizione in merito ai suoi effetti collaterali. È in questo scenario che si afferma il principio di precauzione, non senza qualche opinione critica [ref]A tal riguardo, si segnala il pensiero del costituzionalista statunitense Cass R. Sunstein. Ne Il diritto della paura (trad. it. di U. Izzo, il Mulino, Bologna 2010), Sunstein sostiene che il principio di precauzione è “incoerente, perché le misure regolative da adottare genererebbero, a loro volta, nuovi rischi, con effetti paralizzanti: da un lato proibendo l’adozione di misure regolative, dall’altro consigliando di mantenere fermo lo status quo. Sunstein propone, pertanto, di limitare l’ambito di applicazione del principio di precauzione alle situazioni di esposizione ad un rischio potenzialmente catastrofico, con conseguenze non stimabili ed effetti dannosi irreversibili (il cd. principio anticatastrofe).[/ref].

Hans Jonas è considerato uno dei padri del principio di cui si discorre. Il filosofo tedesco, nel postulare una nuova etica fondata sulla responsabilità verso le generazioni future, riteneva fosse necessario, “nell’era della civiltà tecnica divenuta, modo negativo, onnipotente”e delle conseguenti incertezze sulle “previsioni del futuro”, dare maggiore considerazione alla “profezia di sventura”, piuttosto che ad una più rassicurante “profezia di salvezza” [ref]Cfr. H. Jonas, Das Prinzip Verantwortung, 1979, ed. it. a cura di P.P. Portinaro, Il principio responsabilità. Un’etica per la civiltà tecnologica, Einaudi, Torino 1990.[/ref]. Da tali premesse, Jonas ne derivava l’esigenza di scelte umane lungimiranti e tese ad anticipare il malum immaginato, non soltanto quello esperito.

La règle de droit [ref]Cfr. Charles Lében, Le principe de précaution. Aspects de droit International et communautaire, Edition Pantheon-Assas, Parigi 2002, p. 95 ss.[/ref] dell’agire precauzionale valorizza il dialogo tra diritto e scienza, trovando il proprio ambito di applicazione, dunque, nelle situazioni connotate da un fattore di incertezza scientifica [ref]La Commissione Europea, nella Comunicazione sul ricorso al principio di precauzione del 2000, osserva – al punto 5.1.3 – che “l’incertezza scientifica deriva di solito da cinque caratteristiche del metodo scientifico: le variabili prescelte, le misurazioni effettuate, i campioni individuati, i modelli utilizzati e le relazioni causali impiegate. L’incertezza scientifica può derivare inoltre da controversie sui dati esistenti o dalla mancanza di dati. L’incertezza può riguardare elementi qualitativi o quantitativi dell’analisi.”.[/ref] relativamente alle conseguenze eziologiche di una data condotta.

Questo aspetto consente di discernere il principio de quo da quello similare di prevenzione, il quale opera in situazioni in cui sussistono evidenze scientifiche ed il rischio di eventi dannosi non è meramente temuto, ma di sicura configurazione. Questa maggiore disponibilità di conoscenze consente, contrariamente a quanto avviene nelle angustie delle acquisizioni scientifiche in cui opera la precauzione, l’adozione di provvedimenti mirati, specifici e proporzionati all’evento infausto da evitare.

Il principio di precauzione giustifica un’eccezionale anticipazione della soglia di intervento dello Stato e della Pubblica Amministrazione per la tutela di determinati beni di importanza primaria (quali l’ambiente e salute umana), sacrificando altri interessi pur meritevoli di tutela – si pensi ai diritti di proprietà o di iniziativa economica privata – nonostante l’assenza di evidenze circa l’effettiva sussistenza di rischi [ref]Con l’ordinanza n. 93 del 18 luglio 2019, il Sindaco di Scanzano Jonico ha disposto, “in ossequio all’art. 32 della Costituzione ed al principio di precauzione sancito dal diritto comunitario e dall’art. 3-ter del D. Lgs. n. 152/2006”, il divieto di sperimentazione e/o installazione del 5G su tutto il territorio del Comune, posto che “le radiofrequenze del 5g sono del tutto inesplorate, mancando qualsiasi studio preliminare sulla valutazione del rischio sanitario e per l’ecosistema derivabile da una massiccia, multipla e cumulativa installazione di milioni di nuove antenne”.[/ref].

La necessità, per il legislatore o l’amministrazione, di intervenire (o di non agire [ref]R. Titomanlio osserva come, analizzando la normativa internazionale, comunitaria e nazionale, nonché la prassi giurisprudenziale, tale principio non goda di contorni ben definiti, potendo esser invocato tanto quale criterio di intervento dei poteri pubblici, quanto come criterio di legittimazione dell’astensione degli stessi. Cfr. R. Titomanlio, Il principio di precauzione fra ordinamento europeo e ordinamento italiano, Giappichelli, Torino 2018, p. 13.[/ref]) scaturisce, inoltre, dalla constatazione che l’eventuale danno prodotto sarebbe di ardua, se non impossibile, riparazione una volta verificatosi.

Il principio di precauzione registra la propria affermazione nell’ambito della tutela ambientale, trovando oggi applicazione tendenzialmente in ogni settore. Nella prassi, in particolare, un notevole utilizzo del principio si rinviene nella tutela della salute umana e dei consumatori.

Quanto al diritto positivo, le prime formulazioni possono rinvenirsi nella legislazione tedesca degli anni Settanta, allorquando la Legge sull’impiego pacifico dell’energia nucleare, all’articolo 7, subordina la concessione di un’autorizzazione alla produzione di energia atomica all’adozione di tutte le precauzioni necessarie contro i danni derivabili dalla costruzione e dal funzionamento dell’impianto.

In seguito, e parallelamente al crescente interesse verso la causa ecologista che si registra nella seconda metà del ‘900 [ref]Per i movimenti ambientalisti contemporanei è fondamentale la figura del naturalista statunitense Aldo Leopold, che, con la teoria dell’ etica della Terra, evidenzia come la salvaguardia dell’intero ambiente in cui viviamo sia lo scopo ultimo della specie umana. Cfr. A. Leopold, A Sand County Almanac and Sketches Here and There, Oxford University Press, Oxford 1949 (trad. it. di Andrea Roveda, Pensare come una montagna, Piano B edizioni, Prato 2019).[/ref], numerose convenzioni internazionali contempleranno il principio in esame.

L’approccio precauzionale, dopo un primo riconoscimento nella Carta mondiale della natura adottata dall’Assemblea generale dell’ONU nel 1982, è ripreso dal principio n. 15 della Dichiarazione di Rio sull’ambiente e lo sviluppo del 1992. Quest’ultimo stabilisce che gli Stati, ove “sussistano minacce di danni gravi o irreversibili” per l’ambiente, non potranno addurre “la mancanza di una completa certezza scientifica (…) come motivo per rimandare iniziative costose in grado di prevenire il degrado ambientale”.

Nell’ordinamento europeo entra in scena col Trattato sull’Unione Europea firmato nel 1992 a Maastricht, annoverato tra i principi fondamentali in materia ambientale della politica comunitaria (art.174 TCE, oggi 191 TFUE [ref]Per quanto qui di interesse, si riporta il comma secondo, prima parte, dell’articolo 191 TFUE (ex articolo 174 del TCE), che recita:

“La politica dell’Unione in materia ambientale mira a un elevato livello di tutela, tenendo conto della diversità delle situazioni nelle varie regioni dell’Unione. Essa è fondata sui principi della precauzione e dell’azione preventiva, sul principio della correzione, in via prioritaria alla fonte, dei danni causati all’ambiente, nonché sul principio chi inquina paga.”.[/ref]). L’articolo 191 del Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea [ref]Il Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea (TFUE) è il risultato di diverse modifiche apportate al testo del Trattato istitutivo della Comunità economica europea (TCEE) firmato a Roma nel 1957. L’attuale denominazione è stata introdotta dal Trattato di Lisbona, del 2007.[/ref] prevede che la politica dell’Unione in materia ambientale sia basata, tra gli altri, sui principi della precauzione e dell’azione preventiva.

Formulato originariamente per agire all’interno dei confini della sola politica ambientale, il principio ha nel tempo assunto connotati di principio generale, grazie soprattutto all’azione della giurisprudenza europea. Da più parti, tuttavia, si è evidenziata l’estrema vaghezza della sua formulazione, constatato come né l’art. 174 TCE né il successivo art. 191 TFUE contengano indicazioni di carattere sostanziale.

Pertanto, la Commissione, su incarico del Consiglio europeo, ha predisposto la Comunicazione sul ricorso al principio di precauzione [ref]COM(2000) 1 final. 2 febbraio 2000. Tale comunicazione è ritenuta “vaga e confusa” da Sunstein, che nutre notevole perplessità circa la possibilità di combinare l’analisi costi-benefici col principio di precauzione, soprattutto perché non si specifica alcunché su come operare laddove i costi della regolamentazione siano superiori ai benefici attesi: cfr. C. R. Sunstein, op. cit., p. 166.[/ref] relativa al significato nonché al margine di operatività da attribuire al principio, cui riconosce portata generale. Nella sezione introduttiva si legge come la scelta di assumere una decisione fondata sul principio di precauzione sia da preferire in presenza di due condizioni: quando le informazioni scientifiche sono “insufficienti, non conclusive o incerte”, e vi siano indicazioni in merito a possibili effetti nocivi sull’ambiente e sulla salute degli esseri umani, degli animali e delle piante “incompatibili con il livello di protezione prestabilito dalla Comunità”.

La Commissione, rilevato come tale principio si scontri, da una parte, con le libertà economiche e, dall’altra, con le istanze di tutela ambientale e della salute umana, ammette la possibilità per le amministrazioni europee di adottare misure precauzionali, purché proporzionate, non discriminatorie, trasparenti e coerenti [ref]Come recita COM(2000) 1 final. 2 febbraio 2000, ai punti 6.3.1, 6.3.2 e 6.3.3[/ref], all’esito di una procedura strutturata di adozione delle decisioni condotta sulla base di informazioni particolareggiate e obiettive di carattere scientifico. Il ricorso al principio di precauzione sarà dunque legittimato ove, al termine di una strategia strutturata di analisi dei rischi, comprensiva di valutazione, gestione e comunicazione del rischio, residui incertezza scientifica relativamente all’entità e alla gestione degli stessi.

La Corte di giustizia si è occupata in numerose occasioni del principio in esame [ref]Si ricorda, in particolare, la recente sentenza del 5 settembre 2019 della quinta sezione della Corte di giustizia (causa C-443/18), con la quale la Corte ha riconosciuto l’Italia inadempiente degli obblighi precauzionali sanciti dall’art. 7, par. 2 c) e 7, della decisione di esecuzione (UE) 2015/789 della Commissione, come modificata dalla decisione di esecuzione (UE) 2016/764 della Commissione, in tema di Xylella fastidiosa. La decisione di esecuzione 2015/789 aveva imposto all’Italia la rimozione degli ulivi che si fossero trovati in un raggio di 100 metri dalle piante già infette dal batterio Xylella, “indipendentemente dal loro stato di salute”.[/ref]. L’approccio precauzionale, secondo copiosa giurisprudenza comunitaria, giustifica l’adozione di misure di protezione quando sussistano incertezze in merito all’esistenza o alla portata di rischi per la salute delle persone, non dovendosi attendere la dimostrazione dell’effettiva sussistenza, nonché della gravità, di tali pericoli [ref]Cfr. sentenza 9 giugno 2016, cause riunite C-78/16 e C-79/16.[/ref].

È sufficiente, dunque, che “persista la probabilità di un danno reale per la salute pubblica nell’ipotesi in cui il rischio si realizzasse” [ref]Così la sentenza 17 dicembre 2015, Neptune Distribution, C-157/14.[/ref]. La Corte sottolinea come il principio di proporzionalità, nella scelta delle misure precauzionali da applicare nel caso concreto, debba fungere da criterio-guida teso ad evitare che si oltrepassino “i limiti di ciò che è appropriato e necessario per il conseguimento degli obiettivi” [ref] Cfr. sentenza 17 ottobre 2013, Schaible, C-101/12.[/ref]. Pertanto, ove fosse possibile optare tra più misure, il rispetto del principio di proporzionalità impone che la preferenza ricada su quella meno gravosa per il destinatario. Allo stesso tempo, nell’ipotesi in cui l’incertezza ricada sull’ an della produzione di conseguenze nocive, non potranno esser adottate misure che dispongano un divieto assoluto dell’attività sub iudice.

Nell’ordinamento giuridico italiano non vi è una norma generale che contempli questo principio, quanto, piuttosto, si rinvengono semplici riferimenti alla precauzione in normative di settore (ex multis, si pensi al codice dell’ambiente [ref]D. Lgs. 3 aprile 2006, n. 152, che, all’art. 301 prevede come, “in applicazione del principio di precauzione di cui all’articolo 174, paragrafo 2, del Trattato CE”, laddove sussistano pericoli, anche solo potenziali, per la salute umana e per l’ambiente, debba esser garantito un elevato livello di protezione. Si consente, perciò, al Ministro dell’ambiente, in applicazione del principio di precauzione, di adottare “in qualsiasi momento” misure di prevenzione, purché proporzionali rispetto al livello di protezione da raggiungere, non discriminatorie e coerenti con misure analoghe già adottate.[/ref], al codice del consumo [ref]D. Lgs. 6 settembre 2005, n. 206, che, ai commi 4 e 5 dell’art. 107, stabilisce che le amministrazioni competenti possano tener conto del principio di precauzione, ma le misure adottate devono essere proporzionate alla gravità del rischio.[/ref] nonché alla legge quadro sulla protezione dalle esposizioni a campi elettrici, magnetici ed elettromagnetici [ref]Legge 22 febbraio 2001, n. 36. L’articolo 1, al primo comma, pone tra gli scopi della legge quello di dettare i principi fondamentali diretti, tra l’altro, a “promuovere la ricerca scientifica per la valutazione degli effetti a lungo termine e attivare misure di cautela da adottare in applicazione del principio di precauzione di cui all’articolo 174, paragrafo 2, del trattato istitutivo dell’Unione Europea”[/ref]).

Per via del richiamo ai principi dell’ordinamento comunitario, contenuto nell’articolo 1 della legge 7 agosto 1990 n. 241, per come modificato dalla legge 15/2005, quello di precauzione costituisce, inoltre, uno dei principi che guidano l’azione amministrativa.

Il Consiglio di Stato ha contribuito a definirne i contorni e ha precisato che il principio di derivazione comunitaria della precauzione impone, qualora sussistano incertezze o un ragionevole dubbio riguardo all’esistenza o alla portata di rischi per la salute delle persone, l’adozione di misure di protezione “senza dover attendere che siano pienamente dimostrate l’effettiva esistenza e la gravità di tali rischi” [ref]Consiglio di Stato, sezione quarta, sentenza 8 febbraio 2018, n. 826.[/ref]. Notevole importanza, a tal proposito, riveste la sentenza n. 6250 del 2013 con la quale è stato stilato quello che, in dottrina [ref] G. Monaco, Dal Consiglio di Stato quasi un “decalogo” sull’applicazione del principio di precauzione. Nota a Cons. Stato, sez. V, 27 dicembre 2013, n. 6250, in Urbanistica e appalti , 2014, 5, 551 ss. [/ref], è stato definito un “decalogo” per la corretta applicazione del principio in esame da parte delle pubbliche amministrazioni. Le misure precauzionali da adottare, si osserva, “presuppongono che la valutazione dei rischi di cui dispongono le autorità riveli indizi specifici i quali, senza escludere l’incertezza scientifica, permettano ragionevolmente di concludere, sulla base dei dati disponibili che risultano maggiormente affidabili e dei risultati più recenti della ricerca internazionale, che l’attuazione di tali misure è necessaria al fine di evitare pregiudizi all’ambiente o alla salute”. La valutazione dei rischi propedeutica all’adozione di tali misure, specifica il Consiglio di Stato, dovrà esser il più completa possibile; non potrà basarsi su rischi meramente ipotetici e, al contempo, non sarà necessario raggiungere quell’evidenza scientifica che, d’altronde, difetta e rende necessaria tale anticipazione di tutela. Infine, i giudici amministrativi – allineandosi alla giurisprudenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea – ritengono indispensabile che la pubblica amministrazione, nello scegliere le misure da applicare, sia guidata dal principio di proporzionalità, affinché gli interessi coinvolti dalla sua azione sopportino il minor sacrificio possibile.

Anche la Corte Costituzionale ha avuto modo di occuparsi del principio di precauzione, sebbene in via mediata, pronunciandosi in tema di salute, tutela dell’ambiente ed iniziativa economica privata. Dallo studio della recente giurisprudenza della Consulta si evince come tale principio abbia assunto le vesti di strumento di bilanciamento fra contrapposti interessi di rilievo costituzionale. Paradigmatica in tal senso è la sentenza n. 116 del 2006, in tema di organismi modificati geneticamente. In tale circostanza, il giudice delle leggi ha utilizzato il principio di precauzione per sostenere la necessità di limitare – non mortificando totalmente – l’iniziativa economica dell’imprenditore agricolo per ragioni di utilità sociale, ovvero di tutela della salute umana e dell’ambiente. Precauzione, dunque, che richiama un giudizio di ragionevolezza e proporzionalità sulle scelte del legislatore. Richiamando un proprio precedente [ref]Corte Costituzionale, sentenza n. 282 del 2002.[/ref], la Corte ha ritenuto tuttavia necessario che l’imposizione di limiti all’esercizio della libertà di iniziativa economica, sulla base dei principi di prevenzione e precauzione nell’interesse dell’ambiente e della salute umana, per esser costituzionalmente ammissibile, debba esser basata su “indirizzi fondati sulla verifica dello stato delle conoscenze scientifiche e delle evidenze sperimentali acquisite, tramite istituzioni e organismi, di norma nazionali o sovranazionali, a ciò deputati, dato l’essenziale rilievo che, a questi fini, rivestono gli organi tecnico scientifici”.

3. Considerazioni conclusive

Il principio di precauzione trova, dunque, piena cittadinanza nel nostro ordinamento giuridico e, nel contesto emergenziale in essere, viene in rilievo in almeno due momenti.

Costituisce, anzitutto, l’humus dei provvedimenti [ref]Prevalentemente di natura amministrativa, pertanto suscettibili di vaglio giurisdizionale laddove non si tratti dei cd. atti politici, per i quali l’articolo 7 del decreto legislativo n. 104 del 2 luglio 2010 dispone l’insindacabilità.[/ref] di contrasto al diffondersi del SARS-CoV-2 adottati da Stato ed enti locali sin dai primi mesi del 2020, a causa di una letteratura scientifica in fieri che non consente tuttora di operare sotto l’egida esclusiva della prevenzione in senso stretto e, di conseguenza, adottare presidi meno generici.

Allo stesso tempo, il principio si pone quale strumento di cui avvalersi nel bilanciamento di opposti interessi di rango costituzionale.

A tal riguardo, la preminente tutela della salute, riconosciuta dall’articolo 32 della Carta costituzionale come fondamentale diritto dell’individuo ed interesse della collettività, giustifica norme dal carattere eccezionale volte ad impedire o restringere il godimento di altri diritti e libertà costituzionalmente garantiti, nella misura e per il tempo in cui l’effettivo esercizio degli stessi possa compromettere il fine di contenimento del contagio, e quindi anche al di là delle espresse previsioni costituzionali.

Tuttavia, deficit di proporzionalità e ragionevolezza, principi che la giurisprudenza, comunitaria e nazionale, considera immanenti al principio di precauzione, si son palesati per taluni specifici aspetti.

Anzitutto, con riferimento all’imposizione di divieti allo svolgimento anche di quelle attività esercitate senza alcun pericolo per la propagazione del virus come, ad esempio, la circolazione in ampi spazi di soggetti sani, muniti di dispositivi anti-contagio e nel rispetto delle indicazioni in merito al distanziamento sociale ed al divieto di assembramento. Secondariamente, con riguardo alla mancata predisposizione di un termine finale ad hoc per ogni specifica, gravosa, compressione delle libertà costituzionali contenuta nei decreti. In proposito, non si può sottacere come la fissazione del termine andasse definita non in via generale, ma con particolare attenzione alle singole limitazioni, e che anche là dove ciò sia stato successivamente fatto le decisioni assunte non son apparse congruamente motivate, ma, più che altro, dettate da una prudenza forse eccessiva ed a volte ingiustificata.

È in prospettiva, con l’auspicabile progresso del sapere scientifico e la normalizzazione della situazione sanitaria del Paese, che il principio di proporzione assumerà un ruolo ancor più decisivo.

I poteri pubblici saranno, infatti, tenuti ad adeguare – costantemente – le straordinarie misure ancora in parte vigenti al mutato contesto, attenuandone il rigore e differenziandole, se del caso, su base territoriale. Un tale modus operandi si rende necessario affinché le legittime esigenze precauzionali non comportino costi sociali superiori ai benefici perseguiti.

Dottorando di ricerca in Teoria del diritto e Ordine giuridico ed economico europeo presso l’Università degli Studi “Magna Graecia” di Catanzaro.

1 commento

Lascia un Commento

Vuoi partecipare alla discussione?
Sentitevi liberi di contribuire!

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.