La politica fuori dal corpo del sovrano
Nell’intervento “La politica al tempo dei robot. Ovvero si dà ancora un principio speranza?”, Bruno Montanari traccia un quadro impietoso delle trasformazioni intervenute nella postmodernità, con l’esplosione della comunicazione digitale, che oggi si traduce anche in una delle frontiere più avanzate dell’economia.
L’accento di Montanari era sulla cosiddetta “novazione antropologica”, generalmente elusa dalle riflessioni nell’ambito sulla fenomenologia del lavoro. In generale, sintetizzando in maniera forzosa, egli denunciava uno scadimento del pensiero entro “l’immediatezza dell’attrazione e della reazione emotivo-operazionale”. In questo quadro, viene meno non solo la dimensione collettiva su cui avevano poggiato le grandi soggettività “politiche” moderne, ma anche il “futuro” come orizzonte progettuale consegnatoci dal “passato”. Resta il “puro e secco immediato”, scandito dalla temporalità delle tecnologie.
Ora, certamente le questioni poste da Montanari presentano un’assoluta urgenza, e meritano di essere approfondite. Vorrei qui, però, portare soltanto alcuni elementi di riflessione, al fine di allargare l’orizzonte della discussione.
Innanzitutto credo sia necessario cogliere l’eterogeneità che caratterizza le forme di relazione e di produzione nel mondo digitale. Se spazi sempre più ampi sono occupati da comunità “create” dai privati, veicolando i canali di relazione in direzione dell’immediatezza, della neutralità e dell’impersonalità, è anche vero che sempre più frequenti sono le esperienze in cui sono i soggetti a rivestire un ruolo “creativo” e propulsivo.
Le esperienze di innovazione sociale che abitano il mondo vario e frastagliato dell’economia digitale nascono spesso dalla risposta di soggetti in carne e ossa a bisogni sociali eccedenti, nell’ambito di una crisi strutturale dei modelli di protezione sociale novecenteschi. Pur sviluppando forme di solidarietà e di cooperazione inedite, tali esperienze prendono forma entro piattaforme di proprietà di grosse corporation orientate alla massimizzazione del profitto. In questo quadro, la necessità di sopravvivere non può che spingere i soggetti in questione verso la concorrenza e l’autosfruttamento.
In questo quadro, c’è forse da pensare a come la politica possa dare spazio alla capacità trasformativa dei soggetti, sfuggendo a quel modello piramidale, ereditato dal sovranismo moderno, che concepiva il motore della politica nella testa del sovrano, capace di trasformare la moltitudine in popolo.
La liberazione, allora, non può che chiamare in causa i soggetti in carne e ossa, al di là di qualsiasi visione a priori della società. Qui è necessario non rinunciare al metodo dialettico, che ci insegna ad assumere la costitutiva apertura dialettica dell’uomo al mondo e agli altri, che lo espone alla storicità dell’orizzonte di senso in cui nasce e si forma. In questo quadro, anche il potere ha carattere relazionale, ed è possibile opporglisi solo decidendosi contro di esso, guadagnando spazi di decisione, senza rifugiarsi nella nostalgia per “natura umana” immune alla storia o per una qualche essenza al di fuori del potere stesso. Ma è un affare che investe la capacità di auto-determinazione dei soggetti, che è un rapporto in divenire, mai chiuso una volta per tutte.
È questo, forse, l’orizzonte per un nuovo umanesimo, che ci sfida a pensare la possibilità di una politica plurale, dal basso, al di là del corpo del Leviatano.
Giacomo Pisani
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