Le narrazioni della modernità Europea: un periodo eccezionale o un contesto storico?
di Mustapha Ben Temessek
(Università di Tunisi)
Al giorno d’oggi le controverse narrazioni della modernità si traducono in due approcci: il primo sostiene una modernità decontestualizzata o che addirittura trascende la storia. Il secondo (che noi supportiamo) tenta di ri-ancorare la modernità nel proprio contesto Europeo in modo da inserire queste dubbie aspirazioni universalizzanti in una prospettiva adeguata. L’ipotesi che ne deriva è che nell’era della globalizzazione e del crescente multiculturalismo sarebbe meglio per la modernità Occidentale (continentale ed anglosassone) regolare le basi e, soprattutto, abbandonare il proprio eurocentrismo, al fine di riconoscere i contributi delle altre culture nei processi di nascita e compimento della modernità Occidentale.
La prima narrazione. La modernità Europea: un’epoca eccezionale/trans-storica
Per gli elogiatori della modernità Europea, il collasso del mondo degli antichi ha consentito l’avanzare di un’epoca eccezionale e perfino trans-storica. Il nuovo mondo non è più appannaggio di un Dio trascendentale, bensì è il luogo in cui si esercita ovunque il libero arbitrio “dell’uomo bianco”. Così, “la trascendenza della divinità si trasferisce semplicemente all’uomo”. Questa svolta è stata certamente il punto di arrivo di un lungo e arduo processo di maturazione scientifica e filosofica che il continente Europeo ha sperimentato fin dal Rinascimento italiano. Tuttavia, ciò ha portato con sé una certa aura di “mistero” intorno a questo concetto senza precedenti di “genio” Europeo, che ha condotto poi rapidamente all’ideologia dell’“Eurocentrismo” alimentata da una serie di dogmi di origine razziale (Nazismo, Fascismo, ecc.), sciovinista (lo Stato-nazione europeo) e linguistica (anglofonia – francofonia), spianando la strada alle imprese coloniali della fine del diciannovesimo secolo. E’ a partire da questo momento storico che il mondo moderno si è polarizzato in due entità in conflitto: l’Occidente illuminato/razionalizzato contro l’Oriente (statico e legato al mito). Questo ragionamento binario ha spinto nel 1978
Edward Said, professore di letteratura comparata presso la Columbia University di New York, a scrivere Orientalismo, libro che ha ottenuto un impatto planetario, provato dalla sua traduzione in 37 lingue. In Orientalismo, Said analizza il sistema di rappresentazione attraverso cui l’Occidente ha interpretato – e addirittura creato – l’Oriente. Il libro risulta più che mai attuale, poiché traccia la storia dei pregiudizi popolari anti-arabi ed anti-islamici, e rivela più in generale come l’Occidente, durante tutta la storia, ha compreso “l’altro”.
La seconda storia: le origini Giudeo-Cristiane della modernità
Per poter salvare la modernità dalle sue pretese e arroganza, è necessario rileggere e riscoprire le sue radici, risalenti agli antenati Greci e alla teologia giudeo-cristiana, e metterle in relazione al Romanticismo del Diciottesimo secolo e al razionalismo delle Lumières. Secondo Ch. Taylor, il malessere della modernità è dovuto alla presunta incompatibilità di queste tre fonti: teismo, razionalismo e romanticismo. La disposizione del filosofo canadese è quella di meditare profondamente sui vari fattori che avrebbero separato la modernità da queste lontane origini della moralità: Dio, la Natura e la Storia, intesi come paradigmi dell’Iper-Bene. Essi erano, in vista dei loro valori, i punti di riferimento dell’autenticità continentale e anglosassone. Questi marcatori di identità sono talmente radicati nella cultura Europea ed Americana che nessuno potrebbe mai pensare di liberarsene. Per Taylor, queste “cornici di riferimento” non si sono dissipate, ma sono state semplicemente dimenticate da ognuno. In realtà, questi parametri sono eterni. Essi si elevano in virtù della loro onnipresenza sopra ogni temporalità convenzionale. In altre parole, non sono effimeri fatti storici, sono piuttosto “istoriali”, nel senso heideggeriano del termine. Proprio perché qualitativamente fuori dall’ordinario, le fonti dell’identità umana rifuggono il contingente e gli accidenti in quanto fungono da unico baluardo della “fragilità della condizione umana”. Affinché si possa riabilitare il potere di questi universali rimossi nel profondo del nostro inconscio e nell’immaginazione della nostra comunità è necessario acquisire un potere collettivo ed individuale che superi il fugace, effimero ed eterno flusso del tempo. Infine, si tratta di porre rimedio alla vulnerabilità strutturale dell’essere umano.
La terza storia: il fallimento della modernità
I detrattori della modernità, ovvero i decostruttivisti, a partire da Nietzsche e i suoi discepoli francesi, come Derrida, Deleuze e Foucault, criticano profondamente e talvolta ferocemente le pericolose derive della modernità strumentale che è sfociata nel “disincanto del mondo”, per dirla con Max Weber, e nella perdita di tutte le eroiche dimensioni della vita. I moderni sono solamente legati a piaceri volgari, o a uno “squallido comfort”. L’individuo moderno regredisce a un’esistenza votata alla solitudine del proprio cuore. La secolarizzazione e il disincanto del mondo, la separazione dal mondo fenomenico, dominio dell’azione tecnica, e dal mondo dell’essere, che entra nelle nostre vite solo attraverso il dovere morale e l’esperienza estetica, ci rinchiude nella gabbia d’acciaio tratteggiata da Max Weber? La narrazione del fallimento della modernità rappresenta già il segno di un inevitabile superamento verso una Postmodernità in grado di relativizzare sia l’egemonia della ragione strumentale sia, soprattutto, la supremazia della civiltà continentale di natura occidentale e anglosassone. Ciò potrebbe fornire una nuova occasione per riconoscere il contributo delle modernità non-occidentali riguardo la realizzazione dell’essere umano e dell’umanità.
Traduzione in italiano a cura di Fabiola Pavia
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