Logoanalisi e Biblioterapia
1. La Filosofia o è pratica oppure non è
La filosofia nasce pratica. Chiariamoci subito su questo. È vero tutto quello che vi pare, è vero che Gerd Achenbach ha avuto per primo l’idea di aprire uno studio di Consulenza filosofica, è vero che Lou Marinoff sull’idea che Platone sia meglio del Prozac ha venduto milioni di copie, è vero che Ran Lahav per citare il più conosciuto, si sta dando da fare da tempo per cercare strade originali all’interno del counseling. Ed è vero, come spesso provocatoriamente sottolineo, che la Consulenza filosofica nasce in realtà in Italia. Non con Umberto Galimberti, ma con Edoardo De Filippo che ne L’Oro di Napoli interpreta negli anni cinquanta un consulente filosofico ante litteram, don Ersilio Miccio, da cui si reca tutto il quartiere per consigli di ogni genere.
Dobbiamo subito sottolineare però che la Filosofia non è astratta e teorica. Non lo è mai stata e continua a non esserlo. Aristotele nella Metafisica ci dice che la filosofia nasce dallo ‘zauma’, termine spesso tradotto in senso debole con ‘meraviglia’, ma che Emanuele Severino invita a tradurre piuttosto con ‘paura’. La Filosofia da subito è chiamata a dare risposte, universali e di ragione, a una esigenza naturale dell’uomo, che è quella del senso. Tutto quell’ambito disciplinare che oggi chiamiamo Filosofia teoretica, ma anche l’Ontologia, la Filosofia della Religione non è altro che questo: come la saggezza dell’umanità ha risposto a quei problemi, da Platone a Heidegger. Non solo. La Filosofia politica è una filosofia pratica, il suo scopo è quello di fornire modelli di interpretazione, di critica del reale. Nelle sue forme più forti e complesse come è noto questo reale non lo si doveva solo pensare o capire, ma addirittura trasformare. Ancora, la filosofia morale. Anche qui la Filosofia è ben lontana dall’essere una disciplina difficile e algida, avvolta nelle torri d’avorio del sapere. Ultimo esempio: la Logica. Ora, la Logica ha probabilmente fallito il suo compito più titanico, quello di descrivere la realtà, il modo di pensarla, come i dati si organizzano nella nostra memoria, come vengono trattati dalla nostra coscienza. Ma il suo contributo, da Aristotele, alla Logica Formale, a Godel, è tutt’altro che estrinseco dalla quotidianità, perché si è evoluta nei linguaggi di programmazione. Oggi le App dei nostri iPhone e iPad vengono programmate in C++; ma la parentela è ancora più stretta nei linguaggi di programmazione per così dire più didattici, come il Basic o il Pascal. C’è addirittura un linguaggio di programmazione che si chiama ProLog (dal francese ‘Programmation en Logique’), che tenta di formulare il problema (e quindi la sua soluzione) in forma logica, e non sotto la forma tradizionale di un algoritmo. La piantiamo qui, anche se potremmo continuare con la Filosofia della Scienza, l’epistemologia, e così quasi all’infinito.
La Filosofia non è quella disciplina “con la quale o senza la quale tutto rimane tale e quale”. In 2500 anni di storia è riuscita a dare contributi concreti. Quali sono i suoi limiti oggi? Probabilmente la specializzazione, la Filosofia tramonta nel momento in cui perde di vista il tutto. “Con il Dio che muore, scomparendo dall’orizzonte ultimo della pensabilità, la verità s’inabissa nell’immanenza e si frantuma nel puro scenario della temporalità e dalla finitezza, privando così la filosofia del suo compito originario: la ricerca del fondamento primigenio e del senso ultimo di tutte le cose” (Giannatiempo Quinzio A., 1999, p. I). Questo impoverimento del pensare può però predisporre l’uomo all’attesa e alla ricerca. Magra consolazione.
C’è un’altra questione invece, che è la Torre d’Avorio. L’Università, l’Accademia. Che ha il grande merito di non aver mai banalizzato la Filosofia, di averla preservata da “contaminazioni”. E l’altrettanto grande merito di averci formati. Ma spesso si è pensato, e lo si pensa ancora, che la Filosofia la si possa fare solo lì, o nei Licei. Il Filosofo è come un contabile, e lo diceva già Hegel, che mette ordine al pensiero altrui. È un ragioniere dello Spirito. Le Pratiche filosofiche vanno contro questa idea. Il Filosofo si confronta con la società, e non con l’Accademia. La Consulenza filosofica va a portare ai suoi clienti, agli “ospiti” per dirla con Achenbach, 2500 anni di sapienzialità, con i suoi temi, i suoi sgambetti, le sue discese vertiginose verso l’abisso e la follia, le sue risalite verso quelle vette che gli altri non riusciranno nemmeno a seguire con lo sguardo.
2. La Filosofia può curare?
Fatte queste (doverose) premesse possiamo rispondere alla domanda: la filosofia può curare? La filosofia non interviene in ambiti patologici, per cui se per cura si intende: diagnosi e terapia, la risposta è sicuramente no. Ma la filosofia può intervenire con la sua autorevolezza per percorsi di chiarificazione e sostegno nel disagio diffuso e quotidiano, cioè nei tanti problemi che un uomo può incontrare nella sua vita. Perché la Filosofia è sempre stato questo: un raffinato ragionare intorno ai problemi, a partire dal principale che è quello esistenziale.
Si tratta di confrontarci su come la Filosofia possa intervenire in una Consulenza filosofica. La bibliografia è molto lacunosa e tocca darci da fare, sia nell’elaborazione di metodi, per esempio. Quello che dobbiamo fare secondo me è evitare che la Consulenza filosofica sia figlia minore come professione d’aiuto delle psicoterapie. La Filosofia deve scendere in campo senza crisi di identità né (ingiustificabili) complessi di inferiorità. Ci sono cose che mi piacciono poco, e che secondo me poco hanno a che fare con l’aggettivo filosofico che qualcuno pone accanto al sostantivo counseling.
Cosa mi piace? C’è uno strumento dell’epoché – il Consulente nei processi di ricondizionamento autonomo non interviene con giudizi – che a me sembra molto convincente. Ed è la Logoanalisi Coscienziale, uno strumento dell’Antropologia esistenziale, il cui papà non è don Ersilio Miccio, ma è un altro napoletano, uno psicologo, laureato anche in Filosofia, Ferdinando Brancaleone. Ce ne fossero. Con Gianfranco Buffardi, che è uno psichiatra, hanno preso spunto dal modello esistenziale della logoterapia di Viktor Frankl e dal pensiero antropologico di Jaspers e quindi creato una scuola Antropologica esistenziale che è quella dell’Isue, l’Istituto di Scienze Umane ed Esistenziali. Aiutare un uomo a ritornare alla propria esistenza, significa aiutarlo a percepire il campo vasto delle possibilità che gli si offrono da realizzare e che costituiscono in effetti una sfida. Dal momento che ogni esistenza è sempre specifica, unica e irripetibile anche la Consulenza non è qualcosa di generale, di valido per tutti e per ognuno, di permanente in ogni tempo, non inquadra in una patologia, o in disturbo del DSM, il Manuale Diagnostico degli psicologi, perché si modella all’unicità e all’individualità di ciascuno. L’uomo di Frankl è unione ed interazione di tre parti: quella somatica, le cui patologie sono di pertinenza della psichiatria, quella psicologica e quella noetica. Brancaleone è riuscito a ritagliare uno spazio tutto filosofico. Innanzitutto lo sfondo filosofico è l’esistenzialismo, la traduzione filosofica di quanto abbiamo accennato è la progettualità dell’esserci-nel-mondo, con un pantheon di filosofi che va almeno da Kierkegaard ad Heidegger passando per Nietzsche, ma che include anche Sartre, Unamuno, Camus. Ma anche la Logoanalisi ha una genesi tutta filosofica, essendo il lessico mutuato dalla Grammatica Generativo -Trasformazionale di Noam Chomsky. E la Logoanalisi Coscienziale è una metodica comunicativa volta a rendere sempre maggiormente chiara ed esplicita la “struttura profonda” di una comunicazione, sottesa ad una struttura superficiale attraverso cui ha luogo la comunicazione tra il consulente e il cliente.
Apriamo una parentesi sul rapporto con le psicoterapie. La Consulenza filosofica, è chiaro da quanto abbiamo detto, non si pone in contrapposizione né teorica (è altro il campo di intervento), né pratico. Va detto che quella del DSM è una situazione davvero paradossale: nel 1952 indicava complessivamente 112 turbe, nel 1968 il DSM II ne elencava 163. Nel 1980 il DSM III riportava 224 turbe e l’ultima edizione ne elenca 374. Negli anni Ottanta si riteneva che un cittadino americano su dieci fosse ammalato. Negli anni Novanta lo era uno su due. Non si può non condividere l’opinione di Marinoff e cioè che tra un po’, psicologi e psichiatri a parte, saremo tutti malati. Oppure funziona alla rovescia, e cioè che la malattia sta in chi vede malattie. Psicoterapeuti e psichiatri hanno interesse a patologizzare l’esistente per questioni di bottega e di mercato e per questo, in assenza di mercato, possono tendere a crearselo ad hoc. Un po’ per calcolo un po’ anche in buona fede perché come ha giustamente fatto notare Abraham Masslow se l’unico arnese nella tua cassetta è un martello, molte cose cominceranno ad apparire simili ai chiodi. La Consulenza filosofica parte da questo bisogno: che nella nostra società c’è bisogno di dialogo e non solo di diagnosi. E che la Filosofia può offrire sia un percorso di Bildung, di formazione, di crescita critica, di consapevolezza che non è né sterile citazionismo, né salotto. Altrimenti finiremo tutti per credere che la massima forma di manifestazione del nostro pensiero sia quella di mettere Mi Piace su uno stato altrui su Facebook.
3. La Biblioterapia a sostegno della Logoanalisi esistenziale
Può la Logoanalisi, da sola, sostanziare un intero ciclo di consulenze? Probabilmente no. Ed ecco il motivo per cui studio da qualche tempo la possibilità di affiancare la Logoanalisi con la Biblioterapia, cioè l’utilizzo nei processi di chiarificazione di alcuni testi (di alcuni brani in realtà) tratti dalla letteratura filosofica. Non è questa la sede per una articolata analisi dei testi in relazione ai problemi portati. Basta solo accennare a quanto utili possono essere riflessioni condotte attorno al De Anima di Aristotele o al Fedone di Platone in problemi di ambito esistenziale. O in ambito morale alcune pagine di Kant, o di Hegel, o di Nietzsche in problemi generati tra l’identità tra colpa e pena. Ma molta letteratura stoica è funzionale al tipo di lavoro che dovremmo fare. Molto interessante il lavoro che sta proponendo da tempo Ferdinando Testa, sull’utilizzo dei Miti. O il lavoro di Giancarlo Marinelli su Dostojevksij, o di Arcangela Miceli su Cartesio e Pascal. C’è un saggio che non si può non citare ed è quello di Pierre Hadot, tutto dedicato all’utilità pratica della filosofia antica: Epicuro, Seneca, Epitteto, Marco Aurelio. Insomma, secondo me siamo chiamati a fare filosofia così. Il filosofo non è soltanto chi è dotato di un’anima bella che il volgo non avrà mai, ma deve mettere in gioco il proprio sapere. Parafrasando Nietzsche oggi sono i poveri che fraintendono la loro povertà. Non hanno perso tutto. Hanno gettato tutto. La Consulenza filosofica possiamo leggerla alla voce del verbo trovare.
4. L’Idraulico e la consulenza filosofica
Ci sono quelle giornate un po’ così, in cui un po’ ti gira e un po’ no. Magari ti arriva un assegno della casa editrice, pochi spiccioli, e ti sembra che spunti il sole. A me capita di essere meteopatico alla rovescia. Poi arrivi a casa, vai per lavarti le mani, e una vitina scema del telefonino che tieni nella tasca della camicia ti cade dentro il lavandino. In queste giornate un po’ così ti senti un cartone animato, mentre, maldestro, tenti di recuperarla prima che ti cada giù nello scarico. Lei ti prende in giro, e per prenderti in giro non trova meglio da fare che girare, girare, girare. E poi ploff, quel buco se lo infila svelta. E ti sembra persino che prima di andarsene ti faccia marameo. In queste giornate un po’ così ti viene l’intuizione del genio. Sviti il sifone e recuperi la preziosissima vite dal raccordo sotto lo scarico. Sulla carta l’idea non è male. La teoria ha un suo aspetto nobile che poi la pratica smentisce. Infatti svitare il dado non è tra le operazioni più agevoli per chi scrive libri e fa il filosofo. Intanto non riesci a fare un giro completo con la pinza, perché ci sono le piastrelle. E se ti scivola, nel mezzo giro di cui ti devi accontentare, tra la pinza e la piastrella ci resta il tuo dito. Un colpo secco. Tac. E fa un po’ male. Appena hai finito ti resta in mano la guarnizione e tre anelli, che metti via non immaginando che non sarai più in grado di ricomporli insieme nell’esatta sequenza. Tu pensi solo alla vite. È la vite che fissa l’antenna al telefonino, mica una vite qualsiasi. Ti pare sia facile trovarla? Inclini il tubo e viene giù? Ma beato te! Te la devi guadagnare, mentre sei lì in ginocchio, sudaticcio, a rovistare con le dita tra fango, capelli, grasso, sapone. Quando la trovi sei pure contento. Non sai che il peggio deve ancora arrivare. Perché smontare è stato facile. Montare mica tanto. Oltretutto il tubo era pure un po’ arrugginito e se ne è spezzata una parte. Gli anelli e la guarnizione sono l’enigma del giorno, il rompicapo che non ti aspetti. Manco il cubo di Rubik. Morale della giornata un po’ così: hai fatto l’eroe per una vite, roba che a momenti la Nintendo ti scrittura per la versione sfigata di Super Mario, e per risparmiare 10 centesimi hai combinato una catastrofe da 200 euro. Di viti te ne compravi 2000. Non ti resta che chiamare l’idraulico, quello vero. Dei dieci minuti che se ne sta nel tuo bagno, due lavora, gli altri otto ti prende per il culo. Per due minuti ti chiede, per l’appunto, 200 euro. Più Iva. Sei fortunato che almeno per il culo ti ci ha preso gratis. Per pagarlo l’assegno del giorno manco ti basta. Devi pure aggiungerci dei contanti.
È in questi giorni un po’ così che pensi: nella vita dovevo fare l’idraulico. Infatti adesso non so, quando mio figlio prende un bel voto a scuola, se devo premiarlo o punirlo. Prendi ottimo a storia? E io ti tolgo la paghetta settimanale. La professoressa mi dice che sei bravissimo ad Epica? Ti riempio di botte, così impari. Sei impreparato a spagnolo? Ti porto un fine settimana a Disneyland.
Pier Aldo Rovatti ha un’idea diversa. Lui è di quelli che si spende per un esercizio pratico ed una concretezza della filosofia e della cultura umanistica in genere. La Consulenza filosofica, appunto, che per lui ha due compiti fondamentali: uno, istituzionale, che è quello di affiancarsi alle terapie del disagio diffuso, anzi di sostituirle con un rapporto non medicalizzato e dunque non terapeutico della filosofia, facendo pesare il suo prestigio anche nella casa di Psiche; l’altro quello di dotare i giovani laureati di una possibilità lavorativa ed economica in più. Almeno per guardare dritto in faccia un idraulico, con dignità, senza abbassare lo sguardo. «L’ibridazione nelle Università dissimula una lotta di modelli culturali, assai più di quanto contribuisca a una sintesi sensata. Il modello tecnico (apparentato a quello aziendale) vi gioca la sua partita, con pretese di leadership, nei confronti di quello umanistico, il quale non sembra oggi capace di un rilancio o di una positiva metamorfosi delle sue motivazioni di fondo». Il rischio è quello di una banalizzazione della filosofia stessa. Ma è un rischio che darà all’uomo di cultura in genere la piena padronanza del suo lavandino.
*Rielaborazione degli interventi tenuti all’Istituto Italiano per gli Studi Filosofi per il convegno «Esistere per essere. L’antropologia clinica esistenziale: sviluppo futuri nelle professioni d’aiuto»» a cura dell’Isue il 19 aprile del 2013 e al Palazzo Pretorio di Certaldo in occasione del convegno «La filosofia può curare?» organizzato dall’Associazione Nazionale Pratiche Filosofiche.
Bibliografia
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La filosofia come pratica di una professione di “aiuto esistenziale”,ho sempre pensato che lo fosse.