Luciano Floridi, “Pensare l’infosfera. La filosofia come design concettuale” (Raffaello Cortina, 2020)
di Carlo Crosato
(Università di Venezia)
L’interrogazione intorno a cosa sia la filosofia ricorre frequente in molti pensatori: ci si interroga su cosa significhi praticarla, sulla natura troppo accademica di alcune questioni, sull’opposto eccessivo annacquamento divulgativo, sulla funzione degli intellettuali, a volte chiacchieroni altre volte muti, spesso rinserrati nella loro Torre d’avorio. L’innovazione delle riflessioni di Luciano Floridi intorno alla “quarta rivoluzione” e all’“infosfera”, però, attribuiscono alla sua interrogazione sulla natura della filosofia grande potenziale provocatorio e rara unicità.
Il libro Pensare l’infosfera. La filosofia come design concettuale è la traduzione di parte di un’opera più voluminosa, pubblicata in inglese nel 2019 e pensata come il terzo volume di una tetralogia sui fondamenti della filosofia dell’informazione. La sua pubblicazione in Italia segue la traduzione, sempre a cura di Raffaello Cortina, del volume La quarta rivoluzione, in cui si propone lo studio dell’impatto delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione sul nostro mondo.
Copernico ha tolto la Terra dal centro dell’universo; Darwin ha rivelato le umili origini dell’homo sapiens privandolo della sua posizione privilegiata nel mondo dei viventi; Freud e, più di recente, le neuroscienze hanno messo in crisi la presunta sovranità del soggetto sulla propria vita interiore. Oggi le tecnologie dell’informazione e della comunicazione hanno investito in poco tempo ogni dimensione della nostra vita, dalla quotidianità alle istituzioni, su scala microscopica o su scala macroscopica, colmando ogni possibile anfratto in maniera così efficiente che ormai ci siamo abituati a considerarle come i normali strumenti di interazione con il mondo e con gli altri; ma proprio questa abitudine e la funzionalità con mediano il nostro mondo relazionale ci rende tali tecnologie difficilmente apprezzabili nella loro essenza di vere e proprie forze ambientali, antropologiche, sociali e interpretative. Esse rappresentano un fattore di mutamento nelle prerogative dell’uomo sulle realtà naturali e artificiali che lo circondano, impossibile da slegare dagli effetti inerenti il rapporto dell’uomo con se stesso, con la comprensione che ha di sé e della propria storia. Uno snodo rivoluzionario, che conforma la relazioni umane su un registro non più – o non solo – politico o economico, ma anche e prima di tutto informazionale e comunicativo; e questo orizzonte necessita di una filosofia all’altezza per poter essere compreso e abitato, se non si vuole piombare in una inversione di ruolo fra servo e padrone in senso hegeliano.
«Non siamo enti isolati e unici, quanto piuttosto degli organismi, il cui sostrato è informazionale (inforgs), reciprocamente connessi e parte di un ambiente costituito da informazioni (infosfera), che condividiamo con agenti naturali o artificiali simili a noi sotto più profili». La quarta rivoluzione sulla cui soglia ci troviamo contribuisce a sua volta a togliere all’uomo la presunta centralità che un ingenuo umanismo gli vorrebbe spacciare; ma questa perdita di unicità e di centralità è, insieme, un impoverimento e un arricchimento, costringendoci a adottare una prospettiva consapevole, attiva, sollecita nella relazione con l’altro. Ci troviamo in un momento di fondamentale mutamento storico, afferma Floridi, e la filosofia deve sincronizzarsi con gli eventi e forgiare gli strumenti semantici adeguati per descriverli con consapevolezza. Pensare l’infosfera, prendendo molto sul serio questi elementi trasformativi, ambisce a ridestare l’attività filosofica, i suoi strumenti e i suoi obiettivi, gettando le basi per un rinnovamento intellettuale dell’etica, dell’estetica, dell’epistemologia.
La filosofia, paragonata a un computer piantato, secondo l’autore va riavviata e rimessa al lavoro su simili questioni, se si vuole che essa conservi un senso e un ruolo. E un senso e un ruolo irriducibili la filosofia ce li ha da sempre, con la sua capacità di relazionarsi con l’attuale in maniera problematica, o, come dice Floridi, ponendo domande aperte, impossibili da affrontare in chiave empirica o logico-matematica. La filosofia si è sempre proposta e dovrà continuare a proporsi come una postura problematica: anche a seguito di osservazioni o calcoli, anche dopo che ogni formulazione sarà stata ben strutturata, e dopo che ogni tema e concetto saranno stati chiariti, gli interlocutori che praticano la filosofia dovranno accettare la possibilità di ritrovarsi in una condizione di perdurante disaccordo. Non un ottuso muro contro muro, bensì un disaccordo informato, razionale e onesto, ma potenzialmente non ricucibile, se non in quel dato minimale consistente nella necessità di continuare a sostare in quell’apertura discorde. E tuttavia, perché il domandare filosofico non si riduca a un barocchismo fra filosofi, pur concentrandosi su questioni fondamentali esso non potrà pretendere di abbracciare il reale in senso assoluto: il debito che, secondo Floridi, la filosofia contemporanea e del futuro dovrà riconoscere a Alan Turing deriva soprattutto dall’aver compreso l’urgenza di attribuire legittimità al disaccordo – altrimenti derivante dall’incomprensione reciproca e fonte di confusione – attraverso l’identificazione e il chiarimento di livelli di astrazione, capaci di offrire il corretto punto di vista a partire dal quale affrontare la domanda e attendersi risposte ragionevoli e produttive.
L’idea di Floridi è che, assunti questi presupposti tutt’altro che semplicemente metodologici, la filosofia possa ripensarsi come un’impresa costruttiva, coordinata al presente in cui viene praticata grazie all’inquadramento delle proprie domande entro livelli astrattivi concordati. Non si tratta semplicemente di un appello ai filosofi a una maggiore responsabilità nei confronti della loro contemporaneità; passando attraverso lo stesso contesto informazionale e tecnologico che è chiamata a indagare, la filosofia riscopre se stessa come una pratica relazionale e come studio della relazione, in cui metodo formale e oggetto indagato coincidono in un curioso isomorfismo.
La rivoluzione dell’infosfera è un’occasione: essa contribuisce al decentramento dell’uomo e dell’ego, collocandoci costantemente in una periferia da cui poter meglio osservare la galassia relazionale che ci coinvolge; ma il digitale è, secondo Floridi, anche un’occasione per superare alcune narrazioni politiche legate a ideologie o vecchie strutture sovranitarie, per individuare strumenti economici ed ecologici adeguati; il digitale aiuta l’analogico non rimpiazzandolo, ma permettendo di ottimizzare le risorse; perfino in campo etico, l’allargamento degli strumenti dovuto al digitale permette di concentrare l’attenzione sul destinatario, adeguando a esso l’azione, la cura, la parola. D’altra parte, la rivoluzione dell’infosfera implica anche una sfida, consistente nell’abbandono di ogni velleità metafisica assolutistica, nell’assunzione delle più promettenti novità metodologiche e tecniche proposte dal digitale, e nella definizione di soluzioni efficaci nella complessità che solo l’apertura tipica della filosofia sa affrontare.
“Costruttivismo” e “design concettuale” sono le parole che Floridi usa per descrivere questo rapporto, al contempo di avvicinamento e di gestione, tra la filosofia a venire e le tecnologie informazionali e comunicative. Per agganciare questa novità, Floridi propone di tornare al punto in cui, con Platone e la sua separazione del sapere e della tecnica, il pensiero occidentale ha preso a interpretare la propria conoscenza del mondo privilegiando il punto di vista dell’utente, di chi usa l’oggetto, di chi lo scopre e ne disvela la verità intrinseca, relegando in secondo piano la conoscenza di chi quell’oggetto, quella verità, quel concetto ha forgiato. Invertendo la tendenza, Floridi pone l’accento sul valore irriducibile del sapere come costruzione, e non come mera fruizione mimetica: la conoscenza, lungi dall’essere adeguamento del soggetto all’oggetto, va ripensata come vera e propria tecnica della formulazione di domande e della ricerca di risposte efficaci. Qui sta la pretesa, secondo Floridi assente in gran parte della filosofia da Platone in poi, di vivere attivamente la filosofia, come una vera ingegneria concettuale, che monta e smonta i problemi, sempre con l’urgenza di collocarsi dentro un contesto reale.
Ciò che sembra legittimo chiedersi è se una filosofia come quella suggerita da Floridi, così presa dalla propria operatività, dall’efficacia e dall’utilità delle risposte che è chiamata a dare, sia in grado di dar conto di se stessa e del contesto in cui opera. L’isomorfismo tra l’ambiente informativo e la prassi filosofica che Floridi consiglia è senza dubbio il motivo per cui si può ben sperare che la filosofia dell’informazione saprà aderire all’impresa digitale e consigliare il migliore uso degli strumenti in vista dei fini da raggiungere; ma tale isomorfismo rischia di trasformarsi nell’incapacità di mantenere aperte domande non immediatamente rilevanti, e di trascendere in maniera davvero filosofica il “tutto pieno” che la quarta rivoluzione edifica attorno a noi. Il rischio è quello di trasformare la filosofia in consulenza tecnico-ingegneristica, in predisposizione di mezzi in vista di fini la cui elezione e i cui significati rimangono difficili da problematizzare. Insomma, se il metodo filosofico, più che trascendere, è in funzione di una saggia transizione avviata già altrove, se l’armamentario che la filosofia utilizza è mutuato dall’oggetto che essa è chiamata a pensare, se lo stesso lessico – design, capitale semantico coerente, efficienza, prestazione – è affratellato alle dinamiche contemporanee, il pericolo che la filosofia divenga conferma di un esistente appena ritoccato rimane un problema che la filosofia di Floridi dovrà dimostrare di saper affrontare.
In un passaggio del suo libro, sostenendo la sua prospettiva del costruttore, Floridi parafrasa Austin, sostenendo che “facciamo cose con le informazioni”; e proprio perché sappiamo come fare possiamo ambire a sapere che. A proposito, tornano alla mente i lavori di Michel Foucault sulla parrhesia, la prassi cinica del parlare francamente, come attività di vera critica filosofica e rottura con il presente: Foucault presenta la parrhesia come un’attitudine speculare all’atto discorsivo di matrice austiniana, essendo quest’ultimo conservazione delle funzioni che a ciascuno vengono imposte nelle varie situazioni, laddove il cinico sa tagliare il presente in maniera obliqua trascendendo le condizioni fattuali e materiali, e sa perturbare tali condizioni irrompendovi con un atto di incoerenza, mostrando così la contingenza degli armamentari semantici in uso e la fragilità delle condizioni pragmatiche in funzione. Fra le molte trattazioni su che cosa sia la filosofia di cui si è detto all’inizio, si può scegliere di rileggere quella di Deleuze e Guattari, in cui, proprio in relazione a Foucault, viene proposta la distinzione tra presente e attuale: «L’attuale non è ciò che noi siamo, ma piuttosto ciò che diventiamo, ciò che stiamo divenendo, ossia l’Altro, il nostro divenir-altro. Il presente, al contrario, è ciò che siamo e proprio per questo, ciò che già non siamo più». La filosofia di Floridi, così avvertita di quanto le avviene attorno, sa calarsi nel presente e ancorarsi nel reale, immedesimarsi con essi e, appunto in termini immanenti, riordinarne gli elementi. Saprà essa rivelarsi anche “attuale”, e perciò intempestiva non solo rispetto alla vecchia filosofia ma anche alle nuove dinamiche tecniche? La filosofia non serve perché non è serva: saprà la filosofia dell’informazione contraddire il presente e aprire spazi di possibilità e critica, o si rivelerà uno strumento troppo immanente alle dinamiche presenti per poterle riconsiderare dalla giusta distanza?
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[…] dalla filosofia dell’informazione di Luciano Floridi, che si occupa del tema da diversi anni (infosfera, onlife, hyperstoria, capitale semantico, design concettuale e etica “del verde e del blu”), […]
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