Perchè se tradiamo l’abolizionismo penale cade la democrazia laica
La norma penale ha sempre avuto una duplice proiezione nella rappresentazione collettiva. Da un lato, essa è lo strumento del controllo, che attraverso la sanzione mira a reprimere il reo e nondimeno a suscitare la riprovazione dei consociati anche in funzione preventiva. D’altra parte, la norma penale è sempre stata, persino nello Stato liberale che dichiarava di porla in condizioni di progressiva residualità, pure un’ottima leva per ottenere il consenso e la legittimazione sociale. Cosa viene punito in una società non solo è spesso direttamente indicativo delle paure (ancor prima che dei “valori”) di quella certa società, ma è anche determinante per comprendere chi e come governa. Questi processi sono stati finanche estensivamente analizzati da Michel Foucault, almeno da “La société punitive” fino a “Sécurité, territoire, population”.
Di là dalle premesse teoriche, la società italiana vive una vera e propria reviviscenza della dimensione populista della norma penale. Il crimine più abietto, sia o meno riconducibile a una fattispecie già codificata, richiama, nell’opinione dei cittadini-elettori, oggi soprattutto utenti della comunicazione sui social network, oltre che da tempo consumatori, l’esistenza di una disposizione specifica a reprimerlo. In alcuni casi questo processo può implicare un’evoluzione tecnica del diritto penale sostanziale, perché ci si rende conto che una migliore descrizione delle condotte punibili è sempre giovevole, anche a fini di garanzia degli indagati e degli imputati, oltre che delle vittime stesse.
In altre circostanze, però, la norma penale colma il vuoto di effettività dell’azione applicativa della legge, che solitamente spetta agli organi dell’esecutivo. È esattamente contro un uso politicista del diritto penale e contro una sua declinazione giudiziaria tutta basata sull’esecuzione frettolosa del presunto reo che ebbero origine gli studi teorici di Luigi Ferrajoli sul garantismo penale.
Nell’ordinamento italiano questi timori erano sorti, più recentemente, nell’ambito del diritto migratorio e del contrasto al traffico delle sostanze stupefacenti. Nel primo caso, ci si è illusi e ci si illude che l’inasprimento della sanzione penale o la sua germinazione possano fungere da deterrente non già al fenomeno migratorio in quanto tale, semmai ai suoi specifici e in larga misura inevitabili aspetti deleteri. Tutti, invece, legati alle difficoltà, oggettive e non retoricamente anche “soggettive”, di integrazione del migrante nel contesto sociale.
Peggio si era fatto in materia di sostanze stupefacenti, pretendendo che l’abolizione della distinzione “tabellare” tra droghe pesanti e droghe leggere convincesse tutti della pari gravità del loro consumo. Impresa fallita: le sostanze stupefacenti sono aumentate di numero, tipo e platea di consumatori e anche quelle (non più) ritenute leggere oggi hanno processi di lavorazione meno genuini e più pericolosi per gli assuntori.
La corsa alla norma penale, coi suoi esiti all’apparenza trionfalistici e più spesso tronfi, non si è fermata qui.
L’espansione della legittima difesa, l’omicidio stradale, il femminicidio, lo stalking, le “nuove” violenze domestiche, la pedopornografia, l’arruolamento con finalità di terrorismo anche internazionale … rappresentano tutti esempi, di diversa fondatezza giuridica, della medesima richiesta di norma penale a causa di alterata percezione dell’allarme sociale. Proviamo a darne conto.
La legittima difesa viene sempre più spesso invocata in occasione di minacce all’integrità psicofisica che partono, però, dalla commissione di reati contro il patrimonio. Si tratta spesso dell’assalto di un rapinatore armato in un esercizio commerciale o della rapina in villa compiuta con efferata violenza fisica contro i proprietari dell’immobile sorpresi nel sonno. È davvero così utile l’espansione della legittima difesa che si invoca da più parti, in senso persino più ampio di quanto già non abbiano ammesso prima le riforme legislative effettivamente compiutesi e poi i testi di modifica volta per volta all’esame delle Camere? La richiesta di sicurezza e incolumità è probabilmente fondata perché attacchi alle proprietà altrui vengono compiuti facendo leva su progressivamente truci forme di violenza contro i proprietari legittimi. Eppure, questa stessa richiesta corrisponde anche a un periodo storico in cui quella tipologia di reati è oggettivamente in calo. Il problema, perciò, è che quella richiesta di sicurezza sociale ha avuto molto, molto, spazio nella discussione pubblica, non solo per la sua fondatezza, ma anche perché è divenuta moneta sonante nelle campagne elettorali, soprattutto locali, motivo di discredito verso l’avversario (qualunque esso fosse), facilmente additato come lassista nei confronti dell’ordine pubblico.
E che dire dell’omicidio stradale? Le stragi che si compiono per un uso imprudente del mezzo automobilistico saranno sempre e comunque troppe, anche poggiandoci sulla considerazione empirica che molte d’esse potrebbero essere evitate con una mera osservanza di limitazioni già esistenti (sulla droga, sugli alcolici, sulla velocità, sui distrattori di telefonia mobile alla guida). È qui che la nuova richiesta di norma penale sublima la propria idiozia: ci si propone di rispondere al dolore dei familiari delle vittime e al decadimento del senso di responsabilità generalmente osservabile, ma non si tiene conto della più efficace risolvibilità del problema con sistemi assai più pratici e meno coercitivi.
Un discorso simile potrebbe riguardare anche il femminicidio o un’applicazione inadeguata delle recentemente novellate discipline sulle molestie e sulla violenza familiare. Non v’è dubbio che anche stavolta si sia in presenza di accadimenti che turbano le coscienze. Il fatto che la richiesta di norma penale pretenda di sanare questo turbamento è, purtroppo, contemporaneamente indice della sua stessa superficialità. La coscienza sociale, infatti, dedica ad accadimenti del genere amplissimo ma troppo estemporaneo risalto quando divengono oggetto di informazione – sia detto segnatamente: spesso pruriginosa e scandalistica, oltre che malamente condotta dal punto di vista tecnico-giudiziario. Eppure la coscienza sociale accetta senza alcun timore molti dei presupposti materiali e culturali che facilitano l’insorgenza di quelle violenze: sperequazioni lavorative, nuclei familiari con debole attenzione ai minori, esibizione essenzialmente possessiva del corpo femminile.
Sembrano già diversi i casi degli abusi sessuali commessi contro i minori o delle nuove modalità d’azione del terrorismo internazionale. In queste circostanze la norma penale intercetta realmente una modificazione sostanziale dei presupposti che originano la fattispecie, vuoi perché cambiano i ritrovati tecnici che facilitano la commissione delle condotte lesive, vuoi perché alcune di queste condotte davvero sono entrate solo di recente nella realizzazione dell’attività criminosa. La richiesta di norma penale, in casi del genere, implica una maggiore riprovazione sociale, che altrimenti non avrebbe sollecitato la conseguente richiesta di una maggiore consapevolezza da parte del legislatore. Quest’ultimo, però, non dovrebbe neanche in buona fede assecondare richieste siffatte, se poi esse non sortiscono gli effetti per cui erano state formulate. E cioè: se l’ipertrofia legislativa non determina un maggiore senso di sicurezza ma si atteggia in modo ambiguo. O come un serpente che si morde la coda (maggiore panico richiama più norme, l’aumento delle norme determina un aumento del panico, maggiore panico richiama più norme e così via), o come il fattore che mena il cane per l’aia (intervenire senza migliorare incisivamente norme già esistenti).
La sensazione di sicurezza che viene dalla dichiarazione di presenza di un potere forte o dall’ostensione delle spoglie del reo potrebbe, forse, andar bene per la società dei gladiatori. La democrazia esigente, al contrario, nasce solo dal processo di eliminazione delle costrizioni che essa fa corrispondere a un miglioramento delle condizioni di vita. È una forma della politica che radicalizza fino in fondo il motto di Von Jhering, affinché la storia della pena continui a essere la stessa storia della sua abolizione, a parità e aumento dell’incolumità pubblica e privata.
Concordo e aggiungo- La pena da stabilire deve essere proporzionale alla coscienza media della popolazione. Un paramentro difficile da stabilire ma, solo per comprendere, se le pene attuali fossero state applicate in un periodo come il medio evo o anteriore, esse sarebbero state risibili e non in grado di contenere la ubris nel popolo. Poichè plerique gentium vive una coscienza al di sotto dello spirito della legge ovvero della comprensione della sua motivazione, la coazione per costoro rimane l’unico deterrente per non commettere il crimine. Il capo-stregone tagliava la testa e così faceva anche lo “Stupor mundi” Federico II.Biagio il salsicciaio siamo nel 1430, fu legato a quattro cavalli sparso di pece cui è stato dato fuoco unitamente al via dei cavalli con conseguente smembramento. Pare che anche re Francieschiello avesse l’abitudine di impalare teste sull’uscio delle case. Cio che voglio dire sono due cose 1) che ogni epoca ha i suoi metodi 2) che i metodi si sono ingentiliti ovvero che nell’ingentilimento della pena c’è oggettivo un percorso di civiltà. La tendenza è quella di una maggiore educazione e di una minore severità. Nei momenti di regressione come il nostro si crea un disquilibrio originato da governati che per idiozia, malafede e disonestà ascoltano le grida del popolo e invertono il cammino della storia. Sulla legittima difesa dirò solo questo: se il delinquente è in fase aggressiva è legittima difesa, se sta fuggendo è omicidio. Chi lo stabilisce? il giudice PUNTO quando agli omicidi stradali, la non intenzionalità dell’attore mi sembra palese, la sua condanna penale in termini tanto severi non è rendere giustizia ma dar luogo alla vendetta per soddisfare i popolo, roba da medioevo.