di Nicolò Aniello, studente del Liceo L. da Vinci di Terracina
Al termine dell’anno scolastico non posso far a meno,
passando in rassegna attività svolte, adesioni a progetti vari, partecipazioni
a conferenze, di soffermarmi sull’importanza che può rivestire il dibattito
nella formazione culturale di una qualsiasi persona. Credo sia stato proprio
questo lo scopo che il progetto di “Filosofia in movimento” abbia voluto
prefiggersi: discutere apertamente, senza paura di sbilanciarsi, di questioni
anche scottanti, che normalmente rimarrebbero taciute in una realtà ancora
intrisa di formalismo. Gli incontri a cui ho avuto modo di partecipare sono
stati tutti molti interessanti. Il primo dibattito è sorto a partire dalle posizioni
di Cinzia Sciuto, che ha parlato di multiculturalismo e di come questo
rappresenti una minaccia per l’identità di cui il singolo individuo è
portatore, e di come l’identificazione in una determinato gruppo culturale o
religioso possa rappresentare allo stesso modo un pericolo per l’identità
personale. Condivido la posizione di Cinzia Sciuto nella misura in cui si parla
di Stati teocratici, in cui si realizza una coincidenza di potere politico e
religioso, con la conseguente strumentalizzazione di quest’ultimo (Instrumentum Regni), e in cui
l’osservanza di una determinata religione diventa vera e propria costrizione. E’
questo il caso di diversi stati islamici, o ad esempio della Francia dall’epoca
medievale fino alle guerre di religione, in cui l’unità religiosa è considerata
necessaria a fini politici e garantita dalla repressione di ogni dissenso. In
queste situazioni si va incontro ad un annullamento della personalità degli
individui che costituiscono una minoranza sociale, religiosa o politica.
Facendo invece riferimento a situazioni a noi più vicine,
come può essere quella di un qualsiasi Stato non confessionale ma laico a
maggioranza cattolica, in cui le uniche “costrizioni” o meglio regole da
osservare in ambito religioso coincidono con le norme etiche che costituiscono
quello che banalmente dovrebbe essere il “buon senso comune”, non vedo
l’identificazione nel gruppo religioso come un pericolo per l’identità del
singolo. Anzi, premessa la necessità di uno Stato laico garante dei diritti di
ogni cittadino indipendentemente dalle sue prospettive ideologiche, al
contrario credo che la religione costituisca parte integrante della cultura
dell’individuo, e quindi piccola parte di quella grande coscienza che rende
l’uomo “umano”.
La discussione filosofica che ho trovato più stimolante è
quella promossa dal professore Bruno Montanari, le cui parole, che definirei
magnetiche, hanno mantenuto viva la mia attenzione nel corso di una conferenza
riguardo tematiche tutt’altro che banali. Ritengo importanti le cognizioni di
carattere economico-politico che il professore ci ha fornito, precisando e
approfondendo dove necessario determinati concetti. Molto interessante inoltre
è stata la spiegazione di carattere antropologico, riguardante la trasformazione
della mente umana ad opera delle attuali tecnologie, che risvegliano il nostro
lato ferino e impulsivo ottenebrando la nostra facoltà raziocinante, rendendoci
sempre più avvezzi ad una comunicazione immediata fatta di immagini e reazioni
e sempre meno abituati ad un pensiero ragionato su determinate realtà.
Discorso, questo, funzionale a dipingere una politica ridotta a mera
propaganda, che gioca proprio sulla reazione, sull’immagine e sull’impulso. Il
professore poi in contrapposizione alla politica degli ultimi decenni ha
spiegato come nel passato ogni grande evento politico della storia sia stato
invece determinato dalla razionalità e dal pensiero delle élites intellettuali.
E’ stato questo l’unico punto espresso dal professore che non ho potuto
condividere pienamente. Ritengo infatti che molti eventi storici trascendano
completamente la facoltà raziocinante, frutto dell’azione di individui che di
intellettuale avevano ben poco. Un facile esempio è la Rivoluzione francese,
che Vincenzo Cuoco definì “attiva”, proprio in quanto scaturita dal basso, di
contro alla Rivoluzione napoletana dello stesso periodo, definita invece “passiva”
in quanto promossa dall’élite aristocratiche borghesi di intellettuali, aperte
a influenze culturali europee.
Terminerei ribadendo l’importanza che a mio avviso ricopre
questo tipo di attività, che promuove la libera diffusione di opinioni e di
idee che ritengo preziosa, anche per evitare che l’educazione scolastica sia
ridotta all’assimilazione di concetti impartiti dall’esterno e che non
permetterebbe agli studenti di entrare nel vivo di un determinato argomento.