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Amore, sì. Ma che tipo di amore? Le molte forme di amore che influenzano la nostra vita.

di Susi Ferrarello

traduzione di Leonardo Geri

“Oh tu Eros, scioglitore di membra!” – come direbbe Esiodo nella sua Teogonia (120-2).

Una dichiarazione di amore, specie se reciproca, ha il potere di farti sentire le gambe sciogliersi mentre una scarica di endorfine inonda il tuo corpo di pura felicità.

E tuttavia, può accadere che questo amore si mischi con degli scomodi sentimenti e cattivi atteggiamenti, come possono essere:

il non rispettare gli spazi controllando il telefono, dire delle piccole bugie innocenti, dare occasionali giudizi sminuenti qua e là, fare occasionale gaslighting, etc. La lista potrebbe andare avanti all’infinito.

Il punto è: perché una persona innamorata dovrebbe comportarsi in un modo così poco amorevole? L’amore dovrebbe essere sempre buono per definizione e tuttavia non è così. Anche se qualcuno è profondamente innamorato, potrebbe agire in maniera tale da farci del male. I giudizi sminuenti possono esser fatti per aiutarci – ci dicono, le bugie innocenti sono solo un’omissione, oppure il telefono è stato controllato perché… beh, non so come salvare questo.

Sembra che il modo in cui chiunque esprima l’amore sia complesso tanto quanto la personalità di ognuno, e questa complessità fa nascere diverse forme di amore. Ci vuole fortuna e impegno per scoprire cosa ti piace e cosa non puoi affatto digerire; cosa è doloroso e cosa ti mette di buon umore.

Spesso, chiedo ai miei clienti – che tipo di combinazione di amore vuoi ricevere nella tua vita, e sai quando dire no?

 

Quante forme di amore?

Mentre in inglese c’è una parola principale per esprimere varie combinazioni di sentimenti, nella Grecia antica si contavano almeno 10 diverse divinità dell’amore a cui pregare quando la vita sentimentale di qualcuno stava andando in frantumi.

Questa varietà sta lì per aiutarci a riflettere su che tipo di amore vogliamo attrarre su di noi.

Ecco la lista:

Il dio del sesso (Eros), il dio della passione (Photos), il dio dell’intenso desiderio erotico (Imero), il dio dell’amore reciproco (Anteros), il dio del matrimonio (Hymenaios), il dio delle parole dolci sussurrate alle orecchie (Hedylogos) – il mio preferito! Il dio dell’affetto e dei rapporti sessuali (Philotes), la personificazione della seduzione e della persuasione (Peito), Afrodite la dea della bellezza e della lussuria.

Utilizziamo quest’ultima per vedere quanto folle può diventare un amore generato dalla lussuria e della bellezza. Nella Teogonia, Esiodo ci narra che Afrodite nacque gravida di Eros, Photos e Imero (176ff). Così, un amore il cui componente principale sia la bellezza e la lussuria porta con sé la triade di lussuria, passione e intenso desiderio erotico.

Senza neanche dirlo, queste componenti divine non sono gli ingredienti per la dieta più bilanciata in termini di amore. Infatti, erano soliti commettere cose orribili alle persone.

Afrodite, apparentemente, fu una pessima, pessima suocera. Era talmente gelosa di suo figlio, Eros (o Cupido in latino), che lanciò una maledizione sulla sua amante, Psyche. Anche se solo umana, Psyche era considerata essere più bella di una dea, inclusa sua suocera. Così, Afrodite la separò da suo figlio. Mancandole disperatamente, Eros la ricercò nell’oltretomba e la riportò all’eterna vita con lui, rendendola la dea dell’anima. Da allora, essere innamorati significa trovare la tua stessa anima anche se è nascosta nei posti più spaventosi a cui tu possa immaginare.

Un’altra storia vede la stupenda Afrodite rincorrere un uomo piuttosto ascetico, Ippolito. Quando Ippolito non ricambiò il suo amore, la cosa per lei più razionale fu far sì che Fedra, sua suocera, si innamorasse di lui. Successivamente, Afrodite lascerà Fedra morire per via della sua passione inappagata.

Ragionevolmente, Fedra, vittima di questo amore, parla di eros come qualcosa che addolora, ferisce, ed eventualmente uccide (vv. 392-393.395; v. 349; vv. 419-420). Ippolito fu, dopotutto, solo una persona molto prudente. Non voleva avere nulla a che vedere con l’amore. Non voleva divenire un adulto e avere una vita sessuale. Voleva solo prendersi cura della sua vita spirituale e tuttavia nella furia che circondò la vita di Fedra egli fu accusato di averla violentata e di averla indotta a suicidarsi.

In un’altra storia infelice, questa dea della bellezza e della lussuria, Afrodite, si innamora di un umano, Anchise. Il povero mortale sapeva che nessun uomo poteva sopravvivere alla bellezza di una dea, ma sapeva anche che nessun umano poteva resistere a quella bellezza. Così, dopo aver dormito con lei, egli sopravvisse ma perse per sempre la sua abilità di camminare. Se si vuole vedere il bicchiere mezzo pieno, Enea, il semidio eroe di Troia e futuro fondatore di Roma, fu la prole generata da quella costosa unione.

 

Pensa a che tipo di amore vorresti attirare nella tua vita.

 

Perché sto scrivendo tutto ciò? Ritorniamo alla mia domanda precedente: che tipo di combinazione di amore vuoi ospitare nella tua vita, e sai quando dire basta?

Quando sento che i clienti sono abbattuti dalle loro esperienze in amore, li invito a riflettere su che tipo di amore vogliono attirare nelle loro vite. Talvolta comprendo che non hanno nemmeno mai pensato alla possibilità di varie forme di amore. Pensano al tipo di persona che vogliono attrarre ma non a che tipo di forma di amore essi desiderino per loro stessi.

Vogliono passione? Bellezza? Lussuria? Questo amore è fatto di discorsi persuasivi e parole lussuriose sussurrate come Hedylogos? Oppure è fatto di solidi propositi e fatti confortanti come Anteros? È la splendida Afrodite il componente principale di una vita sentimentale?

Nel libro Fedone, Socrate osserva che il desiderio (Imero) crea una gabbia in cui il prigioniero è “il principale esecutore del suo incatenamento”. Talvolta l’Amore, quello animato da un forte desiderio, può essere sentito come una gabbia che abbiamo costruito per noi stessi. Altre volte, se aggiungiamo un po’ di Armonia (la dea dell’armonia) a Imero (desiderio ardente), possiamo ottenere esattamente ciò di cui abbiamo bisogno.

Così, invito i miei clienti a pensare a tutti questi dei e dee come a un pantheon di ingredienti che possono esser usati coscientemente nelle loro vite. Potrebbe accadere che troppo Imero (desiderio lussuoso) sia distruttivo per una buona vita ma se correttamente mischiato con Hedylogos (il dio delle dolci parole sussurrate alle orecchie) e Anteros (il dio dell’amore reciproco) potrebbe farti felice.

J. Kristeva, Simone de Beauvoir. La rivoluzione del femminile, Donzelli 2018.

Julia Kristeva

Simone de Beauvoir La rivoluzione del femminile. 

Donzelli, Roma 2018, pp. 140, € 16,15.

 

 

 

 

Continua a produrre pensiero la scrittrice francese di origine bulgara, Julia Kristeva. Un pensiero solido, autorevole, anticonvenzionale. Laddove il dibattito sul femminismo, nel diritto e nella cultura, sembra oggi sradicato dalla carne delle sue lotte reali nella storia del continente, ecco la Kristeva regalare una riflessione di brevi pennellate e saggi veloci, confluiti in Italia, per i tipi di Donzelli (Roma, 2018), in “Simone de Beauvoir. La rivoluzione del femminile”. Il rischio metodologico della cultura accademica – e di quella militante – in materia di femminismo è esattamente quello di confinarne genesi e sviluppo nella riflessione nord-americana e anglosassone, come se i codici di quel femminismo critico fossero gli unici oggi servibili nel ricomprendere e abbattere il patriarcato. Nulla di più falso, ci porta a dire l’agile volume della Kristeva: il femminismo ha una storia politica e di lotta piena, vera, reale, battagliera, non eterea o alchemica o algida; le sue radici non sono appannaggio dei Paesi del liberalismo anglofono. Il mondo è ricco di riflessione declinata al femminile, di pari o talvolta maggiore qualità e intensità: intestare alla sola critica liberal la radice del femminismo è errore metodologico, giuridico e politologico, non solo ideologico.

La Kristeva racconta il volto attuale e palpitante del femminismo: quello che si affanna a togliere retaggi superati nella cultura black, quello che in Cina e in Russia difende la causa delle donne dovendo cimentarsi in una lotta contropotere sia sui diritti civili che su quelli politici e sociali, quello che nell’Islam è diviso tra sconfessare la fede e l’esigenza di ricondurla al Corano e di liberarla da clericalismi patriarcali. Julia Kristeva sceglie il solo canale possibile: tornare con argomenti nuovi a Simone de Beauvoir (1908-1986), alla sua opera tutta, e alla sua biografia. La narratrice e filosofa francese, del resto, è testimone di decenni dell’impegno nel sociale che, con malamente deprecata e in realtà felice frenesia, mescolavano il teatro e il saggio, il romanzo e l’accademia, l’esibita testimonianza di vita e la riflessione collettiva e antigerarchica. È probabile che questa versatilità tematica e questa indiscutibile varietà di contenuti e di stili rendano difficile l’approdo a una sistemica filosofica organica e fortemente unitaria. La Kristeva, però, non si scoraggia e il suo iter ermeneutico, abbeverandosi a una visione fortemente antiautoritaria della psicologia, cerca costantemente di riannodare i fili, di cucire i punti, di squadernare tutte le possibili, intrinseche, connessioni. Il risultato deve essere considerato molto positivamente, perché garantisce a un volumetto antologico pur molto breve di non disperdere mai una traccia comune, un anelito ricostruttivo apprezzabile, anche sotto il profilo esegetico.

 

Certo, il ruolo privilegiato, nella trattazione, se lo aggiudicano facilmente, per il ciclo dei romanzi “I mandarini”, per l’autobiografia “Le memorie d’una ragazza perbene” e “La cerimonia degli addii”, per la saggistica culta “Il secondo sesso”: tale è stata la fortuna delle opere ricordate che prescinderne sarebbe stato impossibile per qualunque serio lavoro monografico sull’Autrice parigina. L’utilità dell’indagine comparatistica sul classico è in fondo pure quella di non tradire mai una tassonomia minima dell’approccio all’autore, ritornando alle fonti senza pretese di eccessiva semplificazione, anzi arricchendo quei profili che troppe volte si danno per acquisiti. Eppure, la Kristeva, anche a percorrere i binari già tracciati, smobilita l’aneddotica con cui la fine della storia e la sua retorica avevano cercato di seppellire l’esistenzialismo, declassandolo a progenitore piagnone del Maggio francese. Il rapporto con Sartre, ad esempio, è ricondotto alla sua franchezza, senza la coltre posticcia del pettegolezzo: ci sono i tradimenti reciproci, certo, c’è la reciproca influenza-ingerenza nella percezione pubblica del personaggio, ma c’è pure e finalmente l’inesausta entropia di una ricerca comune che segna almeno tre decenni della cultura francese (e occidentale tutta). Sarebbe interessante concepire un lavoro monografico su Sartre che abbia le medesime caratteristiche dell’agevole raccolta che la Kristeva dedica alla riscoperta della sua compagna: un’accessibile opera di rivitalizzazione di nodi tematici. Dopo gli anni della grande fortuna editoriale e del grande consenso esegetico, la discussione collettiva di impegno ha forse riposto con eccessiva fugacità il contributo sartriano, deponendone lo strumentario e bollandolo con la sufficienza che ormai si riserva a quegli anni di intenso vissuto generazionale e di spesso dissacrante posa intellettuale. Spogliato dagli orpelli delle letture convenzionali, anche Sartre avrebbe molto da (tornare a) dire, persino sulle relazioni uomo-donna, che sostanzialmente non possono dirsi costituire capo autonomo della sua proposta politico-interpretativa.

Simone de Beauvoir è per la Kristeva, d’altra parte, l’eroina di un pensiero genuinamente anticonvenzionale: non cade nelle sirene del comunismo totalitarista; anzi, mette a verbale l’inadeguatezza dei tanti parrucconi che vogliono fare del marxismo-leninismo modello di intervento socioculturale sic et simpliciter. Non cede nemmeno alle semplificazioni del coniugio liberal-borghese, la cui libertà non sfugge invero al retaggio del conformismo sociale: il matrimonio dell’opera e della dottrina di Rousseau è tutto fuorché scevro, ad avviso della Kristeva, dall’invadenza di una visione politica e politicamente onnicomprensiva dell’agire sociale. Questi due passaggi avrebbero verosimilmente meritato ulteriore approfondimento; in fondo, la carica contropotere e contro-egemonica del modello socialista aveva seguito perché si poneva come unica alternativa storicamente vittoriosa alla razionalizzazione della legalità capitalistica. E, con pari sincerità, va pur ammesso come il modello rousseauiano non intendesse dotarsi di profili autoritari persino nelle relazioni intersoggettive: in ciò, se mai scivolava, probabilmente finiva perché ancora non era stata depotenziata analiticamente la carica di restrittività che in varie forme poteva rimanere impressa persino nelle istituzioni giuridiche post-illuministiche. Le necessarie spigolature qui proposte non tolgono ovviamente meriti all’opera in commento…

Conviene soprattutto agli uomini rileggere la Kristeva e Simone de Beauvoir: l’insistenza a descriverne il sesso nella sua infantile parvenza di “altro dito”, forse inconsapevole rimando freudiano alla seduzione ordinatrice di quel dito, smantella con pari efficacia ogni illusione sulla pretesa razionalistica del patriarcato. Quest’ultimo non è gestione e ragione della cosa pubblica, contrapposta alla presunta umoralità femminile. È indice alzato, è pretesa attribuzione e avocazione di competenze, che ha strappato lo stemma della deliberazione alla donna. Il femminismo, come tutti i movimenti libertari che hanno saputo tracciare una visione complessiva delle relazioni sociali, ha concorso, insieme agli altri, a reindirizzare quello stemma: dalle mani dell’assolutismo e del convenzionalismo (mani, in fondo, speculari) a quelle della jacquerie, della sua costruzione politica di rivolta.

                                                                                                                                                                                                               Domenico Bilotti