Credere da laici: sacro e laicità nell’opera di Simone Weil
di Giulia Ceci
Finché la laicità rimane subordinata alla sovranità dello Stato è ancora incompiuta, troppo debole nel rivolgersi a cattolici, protestanti, ebrei, musulmani, «come se si trattasse di piccole frazioni territoriali del paese, come se si dicesse: «Marsigliesi, lionesi, parigini, siamo tutti francesi»
A dispetto dell’antica origine etimologica, la laicità è un concetto decisamente giovane dal punto di vista storico-filosofico, nonché ancora problematico nella sua espressione attuale. Si potrebbe dire, anzi, che quanto più il mondo contemporaneo si secolarizza e perde i suoi confini nel corrente mutamento della globalizzazione, tanto più il concetto di laicità diventa concreto.
Come mostrato da Paolo Quintili in Politica e diritti tra Europa e Maghreb. Alle origini della nozione di “laicità”[1], la laicità nasce in seno all’illuminismo, attraverso un processo di portata epocale che riesce a ricostruire le fondamenta dell’istituzione sociale sui diritti dell’uomo, passando dalla verticalità dell’autorità di ispirazione divina all’orizzontalità del vivere insieme. Tale processo culmina in quella versione della laicità che oggi si conosce come la sua primaria accezione, ossia la separazione dello Stato dalla Chiesa. Così sancisce il Décret sur la libertè des cultes, il 21 febbraio 1795[2].
Tuttavia, sebbene la laicizzazione dello Stato sia parte integrante della laicità, evidentemente quest’ultima non si esaurisce nell’estromissione della religione dalle leggi dell’apparato statale. Oggi più che mai, il concetto di laicità rilancia una domanda essenziale: citando ancora Quintili, «(…) quale spazio lasciare al senso del sacro ‒ come coscienza e sensibilità privata e individuale del divino ‒ fuori di ogni discorso o di posizione ecclesiastica istituzionale?[3]
Proprio sul senso del sacro come esperienza inalienabile dell’esistenza umana e irriducibile a qualsiasi posizione istituzionale, verte la riflessione di Simone Weil in merito allo spirito laico introdotto dai Lumi. La scarsa considerazione dell’opera illuminista da parte dell’autrice francese ha indotto più di qualcuno alla facile accusa di anti-laicismo. In realtà, come per molti altri temi, anche in questo caso il pensiero weiliano risulta piuttosto controverso. Occorre chiarire subito che il punto in discussione non è la laicità in sé, ma il suo successivo adattamento, coincidente con una svalutazione di quel sentimento religioso che pure precede la religione, cioè il bisogno pre-religioso di credere, una sensibilità al mistero del sacro che trascende la fede quanto a fedeltà a una determinata dottrina. Infatti: «La religione è stata proclamata cosa privata. Secondo le attuali abitudini mentali ciò non vuol dire che risiede nel segreto dell’anima, in quel luogo profondamente nascosto dove non penetra nemmeno la coscienza di ognuno di noi. Vuol dire che è oggetto di scelta, di opinione, di gusto, quasi di fantasia, qualcosa come la scelta di un partito politico o persino come quella di una cravatta»[4]. Ciò di cui Simone Weil non si accontenta ‒ e che, anzi, prevede ‒ è una svendita della laicità a quel relativismo un po’naïf delle collettività odierne. In altre parole, seguendo Quintili che adotta il linguaggio del semiologo e filosofo Tzvetan Todorov[5], la terza sfera della libertà di coscienza, privata e personale, deve sfuggire al dogmatismo religioso senza cadere, per questo, in una traduzione superficiale e relativistica della laicità.
In tal senso, l’alternativa della
visione weiliana si riferisce a una “civiltà
mistica”, dove il termine mistico non deve trarre in inganno; esso designa
una forma di spiritualità impossibile da affiliare, radicalmente estranea alla
realtà naturale in tutte le sue declinazioni politiche e religiose. D’altra
parte, solo in quest’ottica l’autrice francese riesce a concepire a pieno una
civiltà europea. Non basta una somma di Stati sovrani: è necessario un dialogo
interreligioso. La grande svolta dei Lumi,
dunque, non ha centrato l’obbiettivo, laddove il suo scopo principale sarebbe
stato esclusivamente quello di assicurare l’unità dello Stato nazionale.
Secondo Simone Weil, essa rappresenta un’altra tappa di quel folle “rovesciamento dei mezzi nei fini” in cui
può essere inquadrata la storia occidentale, ossia un relativo ‒ lo Stato-Nazione
‒ viene fatto assurgere ad assoluto
cui si deve la stessa osservanza che si dovrebbe a un obbligo incondizionale. Finché la laicità rimane subordinata alla
sovranità dello Stato è ancora incompiuta, troppo debole nel rivolgersi a cattolici,
protestanti, ebrei, musulmani, «come se si trattasse di piccole frazioni
territoriali del paese, come se si dicesse: «Marsigliesi, lionesi, parigini,
siamo tutti francesi»»[6].
[1] Nel volume Lumi sul Mediterraneo, a cura di Antonio Coratti e Antonio Cecere, pp. 97-117, Editoriale Jouvence, Milano 2019.
[2] Ivi, p. 110.
[3] Ivi, pag. 115.
[4] S. Weil, La prima radice, pag. 118, trad. it. di F. Fortini, SE Edizioni, Milano 1990.
[5] T. Todorov, Lo spirito dell’illuminismo, trad. it. di G. Lana, Garzanti, Milano 2007.
[6] S. Weil, op.cit., pag. 119.