Sul virus, sugli eroi e sull’eticità
“Sventurata la terra che ha bisogno di eroi” è una celebre frase di un’opera teatrale
[1] di Brecht. Allude al fatto che in una terra, patria, nazione, luogo debbano esserci le condizioni tali affinché le tutele e i servizi siano garantiti senza dover richiedere l’aiuto a un “altro” a un deus ex machina che risolve la situazione. Aver bisogno di un eroe è quindi una sventura perché quel sistema non funziona; invocare l’eroe solitario è anche una deresponsabilizzazione collettiva. In merito alla pandemia in corso si sente sempre più spesso parlare di “eroi” (sempre declinati al maschile perché pare esista una questione genere anche lì) riferendosi ai sanitari che stanno facendo quel che possono con i mezzi che hanno, definizione più tipica della natura umana in generale che dell’eroe. Restando nella narrazione eroica, nel cinema dei supereroi “fare quel che si può con i mezzi che si hanno” è quel che accade costantemente al Commissario Gordon nel Batman di Nolan[2] che ci mostra, quindi, due modi paralleli di gestione. Tuttavia, qui non siamo in un fumetto e nemmeno nella trasposizione cinematografica di un fumetto. Viviamo nella nostra realtà e siamo inseriti all’interno della nazione più colpita da una pandemia mondiale. Parliamo di “eroi”. Sfortunatamente, perché ne abbiamo bisogno; ne abbiamo bisogno perché il nostro Welfare State è stato smantellato, si è regionalizzato, a volte si è anche privatizzato un bene pubblico che riguarda tutti: la salute. Bisognerebbe ripartire da lì invece che deresponsabilizzaci chiamando “eroi” persone che hanno scelto il loro mestiere e che si ritrovano a svolgerlo facendo quel che possono con i pochi mezzi che hanno a causa di un Welfare State in distruzione.
Essere responsabili è un bellissimo esempio di “libertà per” che è l’elevazione della libertà. Fromm[3] distingueva la “libertà da” che aveva una connotazione negativa e passiva dalla “libertà di” con connotazione positiva e propositiva; essere, ad esempio, “liberi dal fascismo” è diverso che “essere liberi di creare qualcosa”. La “libertà per” sottende la responsabilità per qualcun altro, è aver a cuore qualcun altro, è il senso collettivo, è libertà collettiva.
Comprendiamo davvero questa responsabilità collettiva nel nostro paese, oggi, in piena pandemia?
La società dei consumi aveva fino a ora esaltato il nostro individualismo più sfrenato, un “qui e ora” che nulla ha a che vedere con l’autenticità di heideggeriana[4] memoria ma che si traduce in un “consuma e vivi qui e ora” senza alcuna lungimiranza; ogni nostro progetto si riduce al brevissimo periodo, non c’è una programmazione a lunga scadenza e questo sta facendo purtroppo da decenni la nostra classe politica, tutta, senza eccezioni.
Nella scelta fra Antigone e Creonte, ad esempio, saremmo, oggi, in grado di comprendere le ragioni di Antigone? Oppure staremmo senza pensarci mezza volta con Creonte perché così deve essere, salvo lamentarsene continuamente sino a eleggere un nuovo Creonte e ricominciare la pantomima?
Nella celebre tragedia di Sofocle che prende il nome della protagonista, Antigone, è presentato il dilemma morale di due ragioni entrambe valide eppure inconciliabili.
La storia di Creonte e Antigone è emblematica. Dopo che Eteocle e Polinice, figli di Edipo, si sono uccisi a vicenda nel combattere per il trono di Tebe, Antigone, sorella dei due, fa sapere alla sorella Ismene che il nuovo re della città, Creonte, vorrebbe dare degna sepoltura soltanto al corpo di Eteocle, lasciando invece insepolto quello di Polinice. Sfidando l’ordine del re Antigone cercherà di dare comunque sepoltura a Polinice e chiede alla sorella Ismene di aiutarla; invece, la sorella, spaventata, si tirerà indietro e Antigone dovrà compiere il suo destino in solitudine per far ciò che ritiene giusto.
Creonte rappresenta la legge degli uomini, la legalità. Antigone è l’incarnazione di principi etici universali che trascendono le leggi degli uomini riallacciandoci a quel senso di giustizia universale che naturalmente possediamo. Al di là di qualsiasi legge degli uomini e delle nazioni, non è universalmente etico[5] lasciar morire una persona che chiede di sopravvivere.
Il celebre Eichmann descritto da Arendt obbediva alle leggi della sua nazione[6]; una nazione in cui si ebbe, all’epoca, una stravagante riscrittura della massima kantiana[7] con “agisci in modo che se il Führer ti vedesse approverebbe”. Creonte chiedeva questo all’epoca in quel particolare contesto? All’epoca sareste stati dei Creonte o degli Antigone?
La cosa ancora più sconvolgente dell’epoca in quel contesto nazionale fu l’andare ben oltre il semplice “obbedivo alle leggi” poiché ci si aderiva non solo “legalmente” ma anche “moralmente” re-interpretando la celebre distinzione kantiana fra azione legale (mera obbedienza alla norma) e azione morale (interiorizzazione della norma). Stravolgendo la bellissima etica di Kant in questo modo, ovvero mettendo il Führer come principio morale, lo Stato totalitario realizzò il suo progetto.
Al di là di tutto, Antigone ci ricorda che c’è un’eticità che va oltre le norme e le piene adesioni a esse e che si riallaccia a principi universalmente comuni agli esseri viventi; è molto simile al “giudizio” superbamente descritto da Kant in “La Critica del Giudizio” e magistralmente decodificata da Scaravelli I[8]. nelle sue indimenticabili “Osservazioni”.
Al momento restare a casa in pandemia è una richiesta creontiana per tutelare tutti. Non è semplice per nessuno e ci si può appellare a vari principi universali di antigoniana memoria; tuttavia è una richiesta in vista di un fine; è un’attesa, un pazientare per una futura salvezza/salute collettiva. A tal fine questa volta vogliamo essere Creonte o Antigone?
In questo caso la creontiana richiesta si allaccia a quella “libertà per” che sottende la responsabilità per qualcun altro: per i nostri figli, nipoti, genitori, nonni, parenti, amici e alla fine del cerchio, perché si arriva sempre lì e riguarda tutti, noi stessi.
L’Antigone in noi non ci farà più accettare determinate misure adesso necessarie quando tutto sarà passato; il Creonte in noi ce le fa accettare adesso in vista di una progettualità futura.
Cerchiamo di comprendere il nostro contesto al di là delle nostre “bolle social” in cui vediamo quel che vogliamo/cerchiamo, ricordandoci però che nei social è tutto amplificato/urlato e per questo le posizioni si polarizzano rendendo molto difficile una riflessione degna di questo nome.
Basti considerare il ruolo degli “influencer” che polarizzano tutto in fan (essere fan equivale a rinunciare alla nostra criticità di esseri pensanti) e oppositori.
L’Antigone che è in noi ha il dovere di dire quando uno/a stimato/a influencer non è stato/a preciso/a senza esser fatti passare per “invidiosi” oppositori perché un influencer deve avere la responsabilità dei suoi fan e deve fare molta più attenzione al vocabolario e al frasario utilizzato rispetto a un semplice utente.
Alla stessa maniera, chiunque sia investito istituzionalmente, o per tipologia di lavoro, di “libertà per” e prima che tutto si sviluppasse si accorge che una popolazione intera di una regione è in preda a una psicosi collettiva assaltando in massa i supermercati, e favorendo così la propagazione del virus, vien da sé che si cerchi di tranquillizzare in tutti i modi, e questo non sempre si traduce in incomprensione della situazione (magari sì, ma non nei termini che sono poi stati interpretati[9]); potrebbe significare cercare di dosare le variabili in gioco perché, pur avendo col senno di poi ragione a esserci, una psicosi, in quanto irrazionale, è sempre potenzialmente dannosa.
Per questo occorre, soprattutto in questo particolare periodo, che ognuno di noi non rinunci alla sua autonomia di essere pensante e che si sforzi di esercitare ogni giorno la sua particolare “libertà per” perché non dobbiamo essere costretti ad aver bisogno di eroi. Dobbiamo, kantianamente, cercare di uscire ogni giorno dallo stato di minorità in cui ci troviamo anche grazie alle nostre “bolle social” ricordandoci, però, che i social, come la tecnologia, come la TV, sono solo un mezzo e i mezzi non sono mai un problema in sé; il problema, se così vogliamo chiamarlo (può essere anche opportunità), risiede sempre nel come i mezzi sono percepiti e utilizzati da una o più menti umane dietro i singoli mezzi stessi.
Kant definiva l’Illuminismo come un’uscita di minorità[10] da egli descritta come l’incapacità di servirsi del proprio intelletto senza l’intervento di qualcun altro; il motto è celebre: “sapere aude”.
Siamo pertanto tutti chiamati a contribuire, come “Citizen Science[11]” all’Open Science[12]
e all’Open Access[13] alle pubblicazioni scientifiche, cosa che è stata, forse, pienamente compresa proprio in virtù di una pandemia.
Per questo chiudere l’accesso alla ricerca e ai dati della stessa al giorno d’oggi è folle; ed è folle anche solo pensare che se un paper scientifico possa essere letto da un “non addetto ai lavori” quest’ultimo/a sia in grado di fare molti danni con la sua non comprensione data praticamente per certa. Se tutto è aperto a tutti, le possibili incomprensioni durano un attimo e non troppo tempo, come accade invece adesso facendo nascere e sopravvivere bufale/fake news. Se tutto è aperto a tutti si possono effettuare collaborazioni fino a ora impensate in vari campi della ricerca, del sapere e della conoscenza, favorendo esponenzialmente uno sviluppo quantitativo e qualitativo della ricerca, del sapere e della conoscenza andando ben oltre la mera multidisciplinarietà: si tenderebbe a una “unità del sapere” (bella espressione del Prof. Traversa G.). Per queste ragioni, voler tradurre a tutti i costi quelli che sono dei/delle movimenti/raccomandazioni mondiali ed europei nello slogan “uno vale uno” è molto in malafede e anacronistico perché non è quello che si sostiene con questi movimenti/raccomandazioni a carattere planetario. In questo particolare caso sarebbe proprio quanto vorrebbe Antigone/raccomandazioni europee e mondiali; e le leggi creontiane dei maggiori editori scientifici sull’accesso alla ricerca, in pandemia, si stanno adeguando[14].
Il nostro esercizio di autonomia e “libertà per” che siamo chiamati a svolgere in tempi di “eroi” e di virus/pandemia è proprio il dilemma etico del dosaggio Antigone/Creonte senza sfociare in tragedia.
Se fossimo i Borg[15] della nota serie televisiva Star Trek sarebbe tutto più semplice perché avremmo una coscienza collettiva, saremmo tanti Creonte (non è però detto che saremmo etici); possediamo tuttavia anche l’antigoniana tutela dell’individualità e dei suoi bisogni, purtroppo a volte trasformati e degenerati dalla società dei consumi in individualismo sfrenato, miope e con nulla progettualità in quanto immersi in un “qui e ora” totalmente travisato rispetto a quello dell’autenticità etica di Heidegger poiché perso in quello che in Heidegger era il suo opposto, ovvero la vita inautentica del “si dice”, come spesso accade nei social (che ricordiamo ancora, sono solo mezzi).
Siamo tuttavia, eticamente, tra queste due forze, entrambe valide, qualora non degenerate.
Sta a noi cercare sempre di comprendere quando occorre dare più forza al nostro Creonte oppure alla nostra Antigone; è il più grande esercizio di libertà/responsabilità che siamo chiamati a svolgere in uno Stato di diritto, soprattutto durante una pandemia, l’esercizio al tempo stesso individuale e collettivo di “libertà per”.
[1] Brecht B., Vita di Galileo, opera del 1938/39. Einaudi, Roma 1971.
[2] Cfr. Il Cavaliere oscuro di Cristopher Nolan.
[3] Fromm E., Fuga dalla libertà, Mondadori Milano, 1994.
[4] Approfondimenti in Heidegger M., Essere e Tempo, Longanesi, Milano 1971.
[5] Si vuol precisare che si parla di eticità, non di religione o di morale religiosa.
[6] Arendt H., La banalità del male. Eichmann a Gerusalemme, tr. di Bernardini P., Feltrinelli, Milano 2003, p. 120.
[7] “Agisci soltanto secondo quella massima che, al tempo stesso, puoi volere che divenga una legge universale” in Kant I., Fondazione della metafisica dei costumi, in Scritti morali, tr. di Chiodi P., UTET, Torino 1995, p. 79 .
[8] Approfondimenti in Scaravelli I., Osservazioni sulla Critica del giudizio, Scuola Normale Superiore, Pisa 1954.
[9] Alcune particolari responsabilità stanno venendo alla luce; non è questa la sede.
[10] Kant I., Risposta alla domanda: che cos’è l’Illuminismo? ETS, Pisa 2014.
[11]Abbiamo molti modi per definirla. Si è scelta la definizione esaustiva di Crucitti P. in Scienze e Ricerche: “La locuzione inglese Citizen Science (CS) o “scienza dei cittadini” o “scienza partecipata” definisce il coinvolgimento e la partecipazione attiva e consapevole di persone di età, formazione ed estrazione sociale diverse, in attività di ricerca scientifica; studenti, semplici appassionati, persone collocate a riposo e scienziati dilettanti, non inseriti in strutture accademiche e.g. università ed enti equiparati. La CS può essere pertanto definita come “partecipazione attiva del pubblico alla ricerca scientifica”. Si tratta di una collaborazione volontaria finalizzata alla raccolta e analisi di dati, sviluppo di conoscenze e ampliamento degli orizzonti applicativi delle scienze così come sono stati concepiti fino a circa un decennio fa. L’aspetto più rivoluzionario della Citizen Science è tuttavia il cambiamento di paradigma, che porta la ricerca scientifica a fattore di inclusione e di partecipazione, in ultima analisi di “democratizzazione” delle conoscenze a vantaggio della popolazione”.
[12] “‘Open Science’ stands for the transition to a new, more open and participatory way of conducting, publishing and evaluating scholarly research. Central to this concept is the goal of increasing cooperation and transparency in all research stages. This is achieved, among other ways, by sharing research data, publications, tools and results as early and open as possible. Open Science leads to more robust scientific results, to more efficient research and (faster) access to scientific results for everyone. This results in turn in greater societal and economic impact” (La Open Science sta per la transizione verso un nuovo modo più aperto e partecipativo di condurre, pubblicare e valutare la ricerca scientifica. Al centro di questo concetto vi è l’obiettivo di aumentare la cooperazione e la trasparenza in tutte le fasi della ricerca. Ciò si ottiene, tra l’altro, condividendo il più presto possibile e nel modo più aperto possibile sia i dati della ricerca, sia le pubblicazioni, che gli strumenti e i risultati. La Open Science porta a risultati scientifici più solidi, a una ricerca più efficiente e a un più rapido accesso ai risultati scientifici per tutti. Questo si traduce a sua volta in un maggiore impatto sociale ed economico). Definizione da Accelerate Open Science. Grazie a Masuzzo P., la definizione è stata inserita su Qeios in versione sintetica: https://doi.org/10.32388/838962
[13] “Open Access significa accesso aperto e senza restrizioni ai risultati della ricerca, ovvero al contenuto degli articoli pubblicati sulle riviste scientifiche. I principi su cui si basa sono essenzialmente tre: primo, la conoscenza è un bene comune. Secondo, la comunicazione scientifica è una grande conversazione, quindi più è aperta più è ricca. Terzo, e più importante, i risultati delle ricerche finanziati con i fondi pubblici devono essere pubblicamente disponibili. Sulla base di questo principio, oltre 700 enti di ricerca in tutto il mondo – fra cui il MIT di Boston, l’Università di Harvard, il CERN di Ginevra – hanno adottato politiche che obbligano a diffondere i risultati in Open Access; le politiche si leggono in ROARMAP (https://roarmap.eprints.org/)”. In Giglia E., Open Access e Open Science: per una scienza più efficace. JBB-Journal of Biomedical Practitioners- 1 (2017), 1 – 7:28.
[14] Molteplici le iniziative in tal senso a cui gli editori scientifici hanno aderito. Dall’Appello Wellcome per la condivisione dei dati emergenza Coronavirus (firmato da numerosi enti ed editori scientifici) all’ APPELLO PER IL DIRITTO DI ACCESSO ALLA CONOSCENZA SCIENTIFICA IN STATO DI EMERGENZA. Di articoli ce ne sarebbero a iosa; tra tutti:
- Larivière V., Shu F., Sugimoto C., The Coronavirus (COVID-19) outbreak highlights serious deficiencies in scholarly communication;
- Giglia E., Open Science è una necessità, non una noia burocratica.
- Burgelman J. C., Viewpoint: COVID-19, open science, and a ‘red alert’ health indicator.
[15] Su chi siano i Borg si rimanda alla pagina italiana su Wikipedia: https://it.wikipedia.org/wiki/Borg_(Star_Trek)
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