Aldo Meccariello, “Bocca. Ouverture enigmaticamente ovvia” (Fefé editore, 2019)

di Rosaria Catanoso

 

Noi siamo un corpo, non lo abbiamo soltanto. Questo è un dato incontrovertibile anche per la filosofia, che da tempo ha cercato di emanciparsi da quello che è stato ritenuto quasi un assioma inconfutabile: il corpo come “prigione dell’anima”[1]. Essere un corpo significa che non abbiamo solo degli organi, ma noi siamo i nostri organi. Quindi non abbiamo due mani, ma siamo con due mani; non abbiamo due occhi; ma siamo con due occhi; non abbiamo due piedi ma siamo con due piedi. Non a caso nel Vangelo leggiamo «Se la tua mano ti è motivo di scandalo, tagliala: è meglio per te entrare nella vita con una mano sola, anziché con le due mani andare nella Geènna, nel fuoco inestinguibile. E se il tuo piede ti è motivo di scandalo, taglialo: è meglio per te entrare nella vita con un piede solo, anziché con i due piedi essere gettato nella Geènna. E se il tuo occhio ti è motivo di scandalo, gettalo via: è meglio per te entrare nel regno di Dio con un occhio solo, anziché con due occhi essere gettato nella Geènna»[2]. Seguendo il medesimo sillogismo noi siamo la nostra bocca. Dalla bocca escono parole. Con la bocca si mangia, ci si bacia, ciò significa che noi siamo quelle espressioni, quei baci e siamo anche le smorfie che la nostra bocca manifesta. Ed alla scoperta di questo organo è dedicato l’interessante saggio di Aldo Meccariello Bocca. Ouverture enigmaticamente ovvia[3]. La bocca è l’organo apparentemente più familiare, noi siamo soggetti parlanti sin dalla nascita, e prima ancora durante la gestazione la voce della madre è la prima forma melodiosa di contatto tra l’interno dell’utero e il mondo esterno. La voce è ovunque e la bocca ne è la sua dimora[4]. Ecco perché scandagliarne le sue caratteristiche è qualcosa che ci riguarda, ci incuriosisce, allo scopo di cogliere quell’unione tra dimensione intellettiva e corporea, tra razionalità e sensibilità. Infatti come ben esprime Meccariello: «corpo e mondo si intrecciano in virtù della cavità primaria che imprime una svolta performativa al nostro corpo e ne sviluppa anche una serie di percezioni relative[5]. La bocca intercetta sensazioni gustative, caloriche, dimostrando la sua complessità; del resto è proprio l’organo che rimanda alla nostra zoe, alla nostra animalità, a quanto di più istintivo e primordiale ci caratterizza. Con la bocca si parla, si bacia, si mangia, si respira. La bocca condensa in sé il mondo legato ai sapori del gusto e ai senso delle relazioni. La bocca è l’organo performativo per eccellenza. La bocca consente a ciascuno d’uscire dal suo nascondimento, sovra-esponendoci al mondo. Infatti: «l’adattabilità della bocca alle differenti disposizioni dell’animo rivela i caratteri del trasformismo umano. Ad esempio, portare la mano al volto o coprire la bocca è il tentativo di nascondere ciò che stiamo dicendo. Bugie e verità, rabbia o invidia e gioia sono leggibili o intuibili al di là di quel che si dice con le parole»[6]. La nostra bocca non sta mai ferma, involontariamente esterna i nostri stati d’animo, sorride, comunica, seduce.

Meccariello esplora la potenza creatrice della bocca, sostenuto e sorretto non solo dalla filosofia, ma dalla letteratura, dalla psicoanalisi, dalla poesia, dal cinema, dall’arte. Consapevole che il puro pensiero non possa sufficientemente colmare quella costellazione semantica rappresentata dall’organo che rappresenta l’ingresso verso la sfera erotica ed i suoi piaceri[7]. Pensiamo alle immagini pubblicitarie, alle labbra rosse carnose che invitano le donne all’acquisto di un rossetto. Pensiamo alla tipica sigaretta Malboro che negli anni Trenta ha proposto un filtro rosso al fine di coprire eventuali macchie di rossetto. Un tentativo inefficace da un punto di vista di marketing, ma simbolico quanto perché accostava il gesto del fumo alla seducente femminilità delle labbra. Pensiamo agli innumerevoli versi che non solo la poesia, o la letteratura, ma anche la canzone ha dedicato alla bocca. Dai baci di Catullo, a I ragazzi che si amano di Prevert, non è errato – in un miscuglio eterodosso – giungere a Il bacio sulla bocca di Ivano Fossati, ed a Bocca di Rosa di Fabrizio De André. Queste fonti, diverse da quelle con le quali Meccariello traccia il suo itinerario, indicano come un percorso di tal tipo sia non solo interessante, ma nostro, vicino al sentire comune, ed alla vita di ciascuno. Una via a noi familiare. La via consente un filosofare prossimo alle altre forme dello spirito, con lo scopo di rendere uno quel pensare che prende carne e corpo attraverso la bocca. Quindi, questo circolo tra forme artistiche diverse condensa in pieno il sentiero intrapreso dall’autore allo scopo di svelare come: «per uno scrittore il bacio è il territorio perfetto dell’espressività. Per un poeta è il dono più misterioso che proviene dalla bocca che solo i versi possono rendere»[8]. Da Dante a Proust, l’autore è consapevole che attraverso la bocca si apre un mondo di esplorazioni, di desiderio, quello stesso analizzato da Freud in forma psicanalitica, nella diade madre-bambino, nella fase orale. La suzione, quale istinto primordiale, è viatico di conoscenza e di scoperta per il bambino[9].

Meccariello, infatti, scrive che «nella sua miscela di espressioni e di gestualità, la bocca diventava un variegato caleidoscopio che innescava strutture semantiche e precipue organizzazioni simboliche»[10]. Ecco che immagini e scene cinematografiche sono le fonti con le quali tratteggiare un percorso nuovo ed a tratti inusitato. Quindi il sorriso beffardo di Robert De Niro sul finale struggente di C’era una volta in America (1984) di Sergio Leone, fa da contraltare all’enigmatico sorriso della Gioconda di Leonardo. Il passaggio così è tra il senso velato e manifesto nelle varie sfaccettature per le quali la bocca non è solo un segno, ma diventa cogente portato di significati. Quindi Meccariello ricorre alla celebre bocca della verità, monumento romano cosparso di leggende, storie, tradizioni, miti. Eppure su tutte, vero è che «la bocca è, infatti, la maschera che sa simulare e dissimulare, ha un suo linguaggio segreto»[11]. Verità e falsità si manifestano prima ancora che nelle parole, negli organi sensibili[12]; le riproduzioni labiali della bocca sono gesti performativi simulatori e dissimulatori. La bocca manifesta, per lo più, lo stato interno dell’anima; è il tratto più espressivo del volto; manifestando fisiognomicamente molteplici significati[13].

Interessante è il tratto conclusivo del saggio che egregiamente conduce ai significati socio- politici, di cui la bocca è intrisa. Mangiare, divorare, inghiottire sono tutti gesti che hanno anche un forte senso di dominio. E qui Canetti[14], senz’altro, diventa una guida insostituibile per sondare il mondo del potere, della distruzione, quella stessa che paradossalmente ognuno compie nell’atto di disintegrare il cibo per mantenere integro se stesso. Ma riflettiamoci un attimo in più su questo passo, andiamo all’attualità, quella cogente, che ci sta anche distruggendo. Abbiamo fagocitato ogni specie vivente, non solo per quel bisogno di nutrimento, ma il gusto del potere, della potenza. Quella stessa ora, si sta rivoltando contro: «questo suo senso duplice sigilla la trama dell’umano e del suo rovescio»[15]. Afferrati, divorati. I più impensati viventi sono divenuti cibo per i potenti, e da tale fagocitazione siamo giunti alla frantumazione di un intero perfetto equilibrio, di un meraviglioso ecosistema. L’immagine del dottor Hannibal Lecter, non è molto lontana dall’uomo famelico che divora corna di elefanti, serpenti, topi, cani, pipistrelli. Tra l’umano e il bestiale il passo è stato breve, solo che a conti fatti adesso ed essere inseriti in quel ciclo distruttivo siamo noi. Ed ora dalla bocca viene prelevata la saliva da analizzare, alla scoperta di quel virus che sta appestando il pianeta. Certo, questa è un’altra storia. Una storia drammatica e tragica della quale non siamo solo vittime, ma anche fautori. Il dominio totale del mondo ha ormai i tratti della morte, della nostra. E con bocca inorridita e tremante assistiamo al lento passaggi dei feretri.

 

 

 

 

[1] Nel Cratilo Platone propone, come aveva già fatto nel Fedone, il rapporto corpo –anima riprendendo la relazione tra le due parole “sóma” corpo e”séma” tomba, da è derivata la tradizione del corpo come “prigione dell’anima”:«dicono alcuni che il corpo è séma (segno, tomba) dell’anima, quasi che ella vi sia sepolta durante la vita presente; e ancora per il fatto che con esso l’anima semaínei (significa) ciò che semaíne(intende esprimere), anche per questo è stato detto giustamente séma (segno)». Platone, Opere, vol. I, Laterza, Bari, 1967, pp. 213-214.

[2] Mc 9,38-43.45.47-48.

[3] A. Meccariello, Bocca. Ouverture enigmaticamente ovvia, Fefè Editore, Roma, 2019.

[4] Ivi p. 49:«aprire bocca, mettere freni alla bocca senza lasciarsi trasportare dalla forza delle parole, sono espressioni ormai di uso comune, quasi come se la bocca, fosse quel “certo luogo” in cui si intima il silenzio; e ciò può essere spiegato solo ammettendo che la parola, prima che enunciato concettuale o proposizione coerente si presenta come la mimica esistenziale in cui si realizza la presenza stessa del pensiero nel mondo sensibile».

[5] Ivi p. 58.

[6] Ivi p. 12.

[7] Ivi p. 10: «le labbra dischiudono come un libro aperto intenzioni e desideri, gioia e attesa di un piacere di là da venire».

[8] Ivi p. 19.

[9] Ivi p. 30: «il bambino non viene solo nutrito, ma sperimenta le prime esperienze di piacere; è solo in una fase successiva, che la bocca non viene più utilizzata solo per la gratificazione alimentare, ma diviene un organo di conoscenza della realtà, quindi il piacere non è più legato al bisogno di essere nutrito, ma viene provocato dalla suzione di oggetti diversi dal seno, in particolare, da parti del proprio corpo, come il pollice».

[10] Ivi p. 8.

[11] Ivi p. 36.

[12] G.W.F. Hegel, Fenomenologia dello spirito, tr. It. di E. De Negri, vol. I, La Nuova Italia, Firenze 1976, p. 258: «la bocca che parla, la mano che lavora e, se si vuole, mettiamoci anche le gambe, sono gli organi attuatori e fattivi che hanno in loro l’operare come operare o l’interno come tale».

[13]  In età moderna pittura e scultura traggono ispirazione dai trattati di Fisiognomica, la parola e la risata mettono in azione ogni muscolo del volto. La conformazione morfologica è messa in gioco dai moti interiori che ne modificano l’espressione. J.K. Lavater, Frammenti di fisiognomica, Edizioni Theoria, Roma- Napoli, 1989.

[14] E. Canetti, Massa e potere, Adelphi, Milano 1981, p. 263: «tutto ciò che viene mangiato è oggetto di potere. L’affamato si sente vuoto, e riempiendosi di cibo vince il malessere cagionatogli da quel vuoto interno. Più è pieno, meglio si sente. Gode del massimo piacere che riesce a divorare in enorme misura; il gran mangiatore».

[15]  A. Meccariello, Bocca, cit., p. 110.

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