Quell’ostinato domandare. Heidegger e i Quaderni Neri
“La filosofia non può scadere nel giornalismo e le divisioni manichee non servono a nulla” così dichiara Francesca Brencio in una sua intervista per Filosofia in Movimento, “L’uso ideologico di Heidegger, a destra come a sinistra, è quanto di più lontano dal suo pensiero”
È da poco stata pubblicata per il quotidiano indipendente online Lettera43 un’intervista a Francesca Brencio, ricercatrice della Western Sydney University e membro del TORCH della University of Oxford, attualmente a Freiburg per terminare il suo post-doc, curatrice del volume La pietà del pensiero. Heidegger e i Quaderni Neri. Filosofia in Movimento l’ha incontrata in occasione della presentazione romana del volume, svoltasi il 4 Dicembre, e ne è nato un dialogo ricco di stimoli.
F. Della Sala: Dottoressa Brencio, grazie per concederci questa intervista, sapendo soprattutto quanto è ricalcitrante dall’apparire sui giornali e nei media. Lei collabora con Filosofia in Movimento in qualità di responsabile di Pagine Heideggeriane, una sezione ricca di contributi volti ad approfondire il pensiero di Martin Heidegger e ha da poco curato un corposo volume sui Quaderni Neri. Dopo sei mesi dall’uscita del libro, cosa pensa del “caso Heidegger”?
F. Brencio: Penso che Heidegger rimanga la più grossa “patata bollente” della storia della filosofia del XX secolo e questo egli stesso lo sapeva, come appunta in uno dei fogli che sono stati editati nel primo volume della Gesamtausgabe (l’opera completa della sue opere n.d.r.): è Heidegger stesso a definirsi così, “una patata bollente”. La ricezione degli Hefte, sia in Germania sia altrove, rende chiaro un fatto: c’è un assunto che non si problematizza, che si prende per vero e dal quale ne discendono molteplici interpretazioni, le quali spesso generano una notevole confusione. L’assunto è che Heidegger è stato antisemita. Da esso ne discende che anche tutta la sua filosofia è antisemita e per questo andrebbe rimossa dalla storia della filosofia, così come qualche interprete americano ha suggerito. Dopo quasi due anni di lavoro sugli Schwarze Hefte, la mia posizione è che questo assunto non solo non è dimostrato in modo rigoroso, sistematico e coerente attraverso un uso consapevole delle fonti, cioè delle opere di Heidegger attualmente pubblicate, ma anche che, volendo e dovendo collocare le proposizioni in cui Heidegger parla degli ebrei, occorre farlo in modo ermeneuticamente corretto, evitando la tentazione di costruire interpretazioni che si basino su petitio principii e che alimentino solo le convinzioni personali dell’interpretans. Questi taccuini di pensieri, proprio per il loro carattere a-sistematico, sono estremamente facili da depredare: si può facilmente costruire un’interpretazione attingendo in modo sparso alle oltre 1900 pagine di questi primi quattro volumi per proporre la propria interpretazione. Se considera che poi sono stati redatti da un uomo che è stato sostenitore del nazismo per un certo periodo della sua vita, il cerchio si chiude alla perfezione. Heidegger è stato nazista, scopriamo dai Quaderni che è stato anche antisemita e il processo mediatico si imbastisce subito. A me sembra che la questione non solo sia più complessa, ma anche che ciò che si dà per certo, ai miei occhi non lo è. E su questo punto voglio essere chiara: non sto negando la presenza di proposizioni che hanno un sapore antisemita, o più esattamente antigiudaico – non indugio sulla distinzione concettuale fra questi due termini, voglio credere che partiamo dalla comune conoscenza della differenza di queste parole – bensì quel che io e gli altri studiosi che hanno contribuito a scrivere il volume sui Quaderni Neri abbiamo fatto è stato indagare e capire se filologicamente, ermeneuticamente e teoreticamente quei passaggi possano autorizzarci a parlare di antisemitismo nella filosofia dell’autore. Siamo partiti tutti da una domanda comune: alcuni fatti biografici che riguardano l’uomo Heidegger sono chiari, sono altrettanto chiare anche le implicazioni filosofiche che questi fatti hanno generato nel suo pensiero? Per giungere ad una posizione così netta come si è letto in questi 21 mesi in varie sedi, si sarebbe dovuto in primis mappare la presenza di alcuni elementi e la cornice concettuale in cui essi sono presenti sia nella Gesamtausgabe che nei fogli extra Nachlass per poter arrivare a delle conclusioni così perentorie, ma questa operazione non è stata fatta. Si sono estrapolate delle frasi il cui senso è di una complessità abissale, perché iscritto all’interno della domanda sul senso dell’essere e sulla metafisica occidentale in cui la matrice giudaico-cristiana è chiamata in causa come varco per l’oblio dell’essere, e le si sono consegnate al lettore, sia curioso che esperto, insieme ad un’immagine foriera di pregiudizi. Forse occorreva una maggior prudenza. Una cosa che mi ha colpita, ad esempio, è il fatto che qualora non si condivida l’assunto fondamentale, cioè che Heidegger è stato un antisemita e la sua filosofia sic et simpliciter sia pervasa da antisemitismo, si finisca sotto la buffa etichetta di conservatori, di apologeti, creando così dicotomicamente una significativa frattura: o si conviene sull’antisemitismo o si è apologeti. Tertium non datur. Ecco, ai miei occhi questa divisione manichea non solo non aiuta a capire e a capirsi, ma non risolve nemmeno la questione.
F. Della Sala: Secondo Lei perché si sta dedicando tutta questa attenzione esclusivamente ad Heidegger quando, se il problema fosse davvero una presunta responsabilità della filosofia all’ecatombe nazi-fascista, si può disporre di una lista assai più lunga di pensatori (non solo tedeschi) che, in modo ben più diretto di Heidegger, non nascondono né le loro simpatie politiche né il loro antisemitismo?
F. Brencio: Questa è un’ottima osservazione di cui io stessa parlo nell’Introduzione a La pietà del pensiero. L’attenzione all’ “affair Heidegger” è abbastanza naïve: non è la prima volta che accade e credo, purtroppo, che non sarà nemmeno l’ultima. Credo che la ragione ultima, o forse prossima a quella ultima, è che Heidegger non è un autore che si piega a niente e che non lascia spazio per alcun valore ultimo a cui aggrapparsi in modo fondazionalista. Questo suo essere completamente libero da ogni tentativo ideologico, lo rende un pensatore scomodo, fra i più scomodi del XX secolo. Per questo un attento conoscitore del suo pensiero dovrebbe sapere che un uso ideologico del pensiero heideggeriano non solo è quanto di più lontano dal suo contenuto, ma è anche un’operazione tendenziosa. Heidegger non pensava per valori e non era nemmeno un fautore del nichilismo, anzi: ha dedicato buona parte della sua esistenza a combattere il nichilismo, ma allo stesso tempo ha anche messo in guardia contro una filosofia che si basi sui valori – potrei citarle dei brani dal Nietzsche o dal corso su Schelling o da quello su Kant per darle esempi di ciò. Spesso e da più parti è stato accusato anche di questo, di non pensare per valori. È proprio nel volume 94 degli Hefte che egli scrive della necessità di andare contro tutto, di rischiare tutto, per tentare un pensiero che sia davvero libero. Mi torna in mente la Arendt quando dice che pensare per valori è quanto di più pericoloso si possa fare perché da un momento all’altro i valori possono essere sostituiti proprio con altri valori che ai primi si possono opporre. Lei diceva che dobbiamo pensare senza ringhiera (denken ohne Geländer) perché la ringhiera, cioè i valori, ci possono essere sostituiti senza preavviso e se non sappiamo pensare senza, potremmo rischiare nuovamente di smettere di interrogarci su ciò che facciamo perché siamo certi di essere aggrappati ad una sicura ringhiera – questa la lezione che lei imparò dal processo ad Eichmann e dal totalitarismo.
F. Della Sala: Nel tentativo di provare l’antisemitismo di Heidegger si è smesso di rivolgere l’attenzione ad un aspetto altrettanto determinante: perché Heidegger – almeno per un breve momento – ha pensato di tesserarsi al NSDP? C’è in questo avvicinamento una motivazione schiettamente filosofica?
F. Brencio: Per rispondere alla sua domanda vorrei partire da un dato storico squisitamente italiano: nella sola Italia al momento dell’insediamento del fascismo, solo una manciata di professori universitari – circa 15 su oltre 1200 – si rifiutò espressamente di prestare giuramento al fascismo. Costoro ebbero come conseguenze non solo la perdita della cattedra ma anche ripercussioni politiche e personali importanti. Molti accademici vicini alla sinistra aderirono al giuramento auspicando di poter svolgere una politica antifascista mantenendo la cattedra, così come la maggior parte dei cattolici, il quali su suggerimento di Papa Pio XI , prestarono giuramento “con riserva interiore”. Vi fu anche chi prestò fede al giuramento, come Guido Calogero e Luigi Einaudi, su invito di Benedetto Croce, in modo da poter rimanere all’interno dell’università per continuare a insegnare in spirito di libertà e aderendo al manifesto dell’antifascismo, ma furono pur sempre meno di una sessantina di intellettuali. La stragrande maggioranza del mondo accademico ed intellettuale italiano, pur con riserve di forma a cui non seguirono, se non in casi eccezionali, riserve sostanziali, aderirono al fascismo e giurarono fedeltà ad esso – così come giurò fedeltà Heidegger al regime nazista al momento dell’assunzione dell’incarico di Rettore dell’Università di Freiburg. Non solo: in tutti i Quaderni Neri, dal volume 94 al 97, assistiamo ad un crescendo di affermazioni di Heidegger sul suo legame con il partito, sugli anni del rettorato e sul possesso della tessera del partito. In quelle pagine, che volutamente sono state fatte passare sotto silenzio da qualche interprete, Heidegger parla di quegli anni e di quei fatti come di un errore, e torna con insistenza su questi temi, senza farsi sconti di alcuna sorta. Le critiche che muove al regime, ad Hitler, al razzismo come un principio barbarico, sono state taciute fino ad oggi. Queste affermazioni sono in piena sintonia con i pensieri già pubblicati in altre opere: sia nei Beiträge zur Philosophie, che nel primo volume della Gesamtausgabe, che nelle lettere (a Jaspers, alla Arendt, a Marcuse, solo per citarne alcuni) Heidegger torna sulla questione del suo tesseramento al partito e lo fa con chiarezza, senza sollevarsi da alcuna responsabilità. Quanto al silenzio di Heidegger, anche in questo caso, non vorrei ripetermi, ma è proprio nei carteggi, editati quasi tutti in lingua italiana, ad eccezione di quello con Löwith e di qualche altro con i famigliari, che Heidegger non tace nulla della sua adesione al nazismo. Nella lettera dell’8 aprile 1950 scrive a Jaspers di essersi comportato come un bambino che sognava qualcosa di insperato dal regime; in una lettera a Marcuse dice chiaramente le ragioni di quello che è conosciuto come il “silenzio” di Heidegger. Ora gli Hefte forniscono al lettore l’occasione di capire se davvero Heidegger sia stato in silenzio o no, ma di questo non si parla. Così come non si parla del fatto che dopo nove mesi di rettorato, subito dopo le dimissioni, veniva spiato dai servizi segreti del partito, non poteva pubblicare le sue opere e era altamente inviso dai vertici della dirigenza del partito. A me sembra che Heidegger debba essere demonizzato, sempre e comunque: o per ragioni politiche, o per ragioni filosofiche – noto il pregiudizio che lo vede interessarsi all’essere piuttosto che all’uomo – o in nome di una filosofia che non si fondi sui valori, sulla vita, sulla persona etc. L’essenziale è che lo si demonizzi, magari arricchendo la sua immagine di pensatore arcano con tinte fosche e linguaggio “heideggerese”.
F. Della Sala: Che relazione vede fra la Seinsgeschichte e l’antisemitismo? Come spiegherebbe la storia dell’essere?
F. Brencio: Quello di Seinsgeschichte è uno dei concetti più difficili dell’ontologia heideggeriana, dal momento che, dopo l’interruzione linguistica di Sein und Zeit, egli si trova a dover pensare come uscire da quella stessa metafisica che ha obliato il senso dell’essere. Ecco allora che intorno al 1930 inizia ad introdurre il carattere della storicità dell’essere. E’ proprio nei Beiträge zur Philosopie che Heidegger compie un passaggio fondamentale per la sua filosofia, passaggio che è essenziale per comprendere quanto espresso nei Quaderni Neri. Questo passaggio sta nel formulare la domanda sull’essere (Seinsfrage) non più nei termini dell’analitica esistenziale – come accadeva in Sein und Zeit – ma in quelli di storia dell’essere. Da ora Heidegger parlerà di storicità dell’essere (Seinsgeschichtlichkeit) come del luogo in cui l’essenza dell’essere si dispiega attraverso l’Ereignis. Con i Contributi si assiste ad una vera e propria fenomenologia dell’essere che si manifesta per tappe storiche, per figure epocali, sino ad arrivare all’Ereignis. Il passaggio che dall’opera del 1927 – Essere e tempo – arriva agli scritti della metà degli anni’30 delinea uno slittamento della medesima domanda (quella sull’essere) che parte dal senso per arrivare alla verità e infine al luogo, dando vita ad una vera e propria topologia dell’essere. Heidegger non usa mai l’espressione “storia dell’essere” per indicare la storia dell’umanità, del genere umano nella sua interezza e questo chiarimento va costantemente ricordato anche quando negli Hefte si leggono delle affermazioni su questo tema. È nel Nietzsche, opera che raccoglie le lezioni tenute all’Università di Freiburg fra il 1936 e il 1940, che troviamo questa preziosa indicazione, che aiuterà a comprendere le affermazioni contenute nei Quaderni Neri in relazione all’elemento ebraico. In quest’opera egli scrive che la storia dell’essere non è né la storia dell’uomo e di una umanità né la storia del riferimento umano all’ente e all’essere. La storia dell’essere è l’essere stesso e soltanto esso. E sempre nel Nietzsche Heidegger continua dicendo che il coinvolgimento dell’uomo nella storia dell’essere è tale solo in funzione della fondazione dell’ente e solo di volta in volta nel modo in cui egli (l’uomo) «assume, perde, trascura, libera, sonda o prodiga la sua essenza». Per Heidegger l’uomo non appartiene alla storia dell’essere in vista del suo sussistere, agire o operare, ma solo perché egli può arrischiare la propria essenza e in tal modo rendere manifesto l’Ereignis. Proprio alle luce di queste brevi considerazioni su ciò che la storia dell’essere è, non mi azzarderei a pensare ad un antisemitismo che entri in essa, dal momento che proprio l’elemento più strettamente umano non appartiene alla storicità dell’essere, né avanzerei ipotesi per le quali la storia dell’essere possa essere ridotta ad una filosofia della storia o ad una narrazione. Quindi, per rispondere alla sua domanda, il nesso fra storia dell’essere e antisemitismo non solo per me non è chiaro, così come è stato posto fino ad oggi, ma direi anche non pertinente. Quando Heidegger nelle Überlegungen XIV dice che la questione del ruolo dell’ebraismo mondiale non è razziale, bensì è metafisica sta dando un’indicazione metodologica chiara che non dovrebbe essere scambiata per una qualche forma di antisemitismo metafisico o ontologico: egli sta accennando a quella matrice metafisica che accomuna giudaismo e cristianesimo nell’oblio dell’essere. Un elemento ad esempio di cui si parla pochissimo in relazione ai Quaderni Neri è la dura critica al cattolicesimo ed al cristianesimo, critica che viene declinata in un crescendo di affermazioni dal volume 94 al volume 97 degli Hefte: alcuni attacchi di Heidegger alle conversioni forzate sui pagani, o altri diretti ai gesuiti, fanno saltare dalla sedia, e di questo ho reso ragione nel mio lavoro. E’ mia convinzione che la critica al cristianesimo, così come essa emerge dai Quaderni, potrebbe inaugurare una dimensione teoretica che apre a questioni di maggior rilevanza rispetto alla relazione fra Seinsfrage e fede, e si spinge molto più avanti di quanto fino ad oggi gli interpreti abbiano considerato.
F. Della Sala: Nella sua Appendice a La pietà del Pensiero, Lei lavora sul volume più recente dei Quaderni Neri, il 97, in cui è contenuta la famosa espressione sull’autostermininio degli ebrei. Davvero Heidegger ha sostenuto che gli ebrei si sono annientati o, anche in questo caso, attraverso un’indagine ermeneutica più profonda è possibile risalire ad un significato differente ?
F. Brencio: La mia interpretazione è molto diversa da quanto lei afferma. Se ha la pazienza di seguire il testo heideggeriano magari le posso indicare una chiave ermeneutica diversa. Nelle Anmerkungen, cioè il volume 97 della Gesamtausgabe, Heidegger continua a sviluppare un concetto esposto anche nei quaderni precedenti, cioè quello in base al quale lo spazio-tempo dell’occidente è quello della metafisica e la sua origine consiste nell’elemento cristiano, il quale a sua volta proviene dalla matrice giudaica, cioè da quello che egli chiamerà l’elemento ebraico in senso metafisico. Se la metafisica occidentale si fonda sulla matrice giudaico-cristiana che ha aperto il varco per l’oblio dell’essere a vantaggio di una rappresentazione di questo basata sulla semplice-presenza o su un valore religioso – penso all’inversione di segno fra la concezione parmenidea dell’essere e a quella neoscolastica, ad esempio, l’essere diventa Dio, il rapporto fra ente e essere primo viene declinato in una nuova concezione, creazionista –, allora la distruzione di quella matrice è la medesima distruzione di quell’elemento originario, cioè dell’elemento ebraico. In questa essenza giudeo-cristiana egli annovera anche la Machenschaft, la tecnica, la modernità tutta, il destino del nichilismo occidentale che nei campi di concentramento manifesta solo la porzione più esigua di tutta la sua portata distruttiva. Non azzarderei mai un’interpretazione che spieghi il passaggio sull’auto-nientificazione dell’elemento ebraico nei termini di un auto-sterminio degli ebrei attraverso l’abisso dell’Olocausto, come se essi si fossero auto-sterminati, e men che mai lo confonderei con una qualche forma di negazionismo di natura politica. Qui Heidegger sta facendo un discorso metafisico che ci porta indietro nei secoli, cioè ci sta invitando a guardare alla concezione della mathesis universalis con occhi diversi, cosa che già nei Beiträge aveva invitato a fare. L’auto-nientificazione è una sorta di implosione della matrice giudaico cristiana su cui si regge tutta la metafisica occidentale. Tre sono le sequenze che aiutano a comprendere questa riflessione così densa e problematica e tutte e tre sono poste consecutivamente. L’autodistruzione dello spazio-tempo della metafisica occidentale si compie come una sorta di implosione dell’essenza giudaico-cristiana. La distruzione della Machenschaft è una forma di questo auto-annientamento di cui Heidegger aveva già parlato in qualche passaggio prima: il più alto livello della tecnica è già ora raggiunto dal momento che può solo consegnarsi all’auto-distruzione. Si consuma così l’essenza storico destinale dell’essere, cioè la sua cifra metafisica, o detto altrimenti, la sua rappresentazione giudeo-cristiana. Ecco perché Heidegger scriverà che «la catastrofe dell’essere è la sua escatologia».
F. Della Sala: Dunque, cosa raccomanderebbe al lettore italiano?
F. Brencio: Di leggere sempre tutto ciò che viene pubblicato, sempre. Solo così si può pensare con la propria testa. Alla fine la prova con i testi scritti dall’autore, chiunque esso sia, è la cartina tornasole di noi interpreti. Il prossimo mese è atteso, ad esempio, un libro che ritengo dirimente sul molto clamore che la ricezione degli Hefte ha suscitato, quello scritto dal prof. Von Herrmann e dal Prof. Alfieri. Sarà un testo prezioso perché corredato da una sezione di inediti di Heidegger e forse potrà aiutare a riportare le cose al loro peso specifico. Gadamer diceva che se uno è convinto di essere a favore o contro Heidegger si rende ridicolo perché non è così facile passare davanti al pensiero e credo fermamente che avesse ragione. Anche di questo mi sono proposta di rendere ragione nel mio nuovo libro sui Quaderni Neri, in Primavera in uscita in Italia…ma avremo modo di parlare ancora di queste cose in un’altra occasione. Grazie.
F. Della Sala: Grazie a Lei per questo dialogo.
L’intervista è stata realizzata a seguito del convengo “I quaderni neri di Martin Heidegger” tenutosi il 4 Dicembre a Roma
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