Homo pandemicus: ideologia COVID e nuove frontiere del consumo.
Di Fabio Vighi
Come scrisse Ralf Dahrendorf nel lontano 1985, ‘la società centrata sul lavoro è morta, ma non sappiamo come seppellirla’ – e in effetti, aggiungiamo noi, il fetore comincia a farsi insopportabile. Rimaniamo cioè definiti dal produttivismo capitalista senza però poter più estrarre nuova ricchezza (plusvalore) da un “lavoro vivo” ormai estromesso da inarrestabili processi di automazione. Ma proprio l’individuo improduttivo e atomizzato della globalizzazione neoliberista, il soggetto “senza valore”, smarrito e infantilizzato, è oggi completamente assuefatto al dominio reale dei rapporti capitalistici. L’indole conformistica della piccola borghesia di un tempo si trasferisce oggi nell’aspirazione collettiva di appartenere a un “ceto mediocre” impegnato solo a consumare e sopravvivere, o a vivere per rimanere in vita. Solo l’essere-per-la-merce (insieme a un avvilente narcisismo fatto di palestra, addominali, tatuaggi, pilates, cardiofitness, ecc.) ci tiene uniti. Mai come ora la teologia feticistica del valore si afferma come ideologia, estendendosi a tutti i settori della vita, inclusi l’informazione, l’istruzione e la medicina.