Note a Marc Augé, Prendere tempo – Un’utopia dell’educazione (Castelvecchi 2016)
di Fabiola Pavia
Nato a Poitiers il 2 settembre 1935, Marc Augé è considerato uno dei maggiori intellettuali contemporanei. Sociologo, antropologo, etnologo, le sue opere hanno influenzato profondamente la letteratura e la filosofia europea della seconda metà del ‘900 e dei primi decenni del nuovo millennio. Tra le principali pubblicazioni dell’autore: In the metro (1986); Non-luoghi. Introduzione a una antropologia della surmodernità (1992); Disneyland e altri non luoghi (1997); Le forme dell’oblio (1998); Diario di un senza fissa dimora (2011).
Con la teorizzazione della surmodernità, intesa come ulteriore evoluzione del postmoderno, Augé ha cercato di dar voce e senso ai diversi fenomeni che imperversano nelle società complesse contemporanee: l’accrescimento del senso di solitudine nonostante lo sviluppo e il potenziamento dei nuovi mezzi di comunicazione, la questione dell’oblio, l’aberrazione della memoria e, soprattutto, i non-lieux. Il concetto di “non-luogo”, coniato da Augé nel 1992, si riferisce a tutti quegli spazi o ambienti anonimi, quali aeroporti, sale d’attesa, stazioni, banche, non identitari, non relazionali e non storici, costruiti appositamente per adempiere a un determinato fine e che, pur non possedendo una specifica identità, incarnano l’espressione par excellence della socialità nel mondo contemporaneo, in cui la difficoltà e, in alcuni casi, l’impossibilità di relazione si accompagna alle “nuove opportunità di incontro” offerte continuamente dai non-luoghi stessi.
Nel testo Prendere tempo – Un’utopia dell’educazione, Augé, incalzato dalle sollecitazioni di La Porta, affronta la questione dello statuto di non-luogo di Facebook e dei social in generale. Lo svago e la mancanza di calcolo e impegno che caratterizzano l’uso dei social, afferma l’intellettuale francese, generano un particolare tipo di spontaneità che ci fa ignorare il tempo e questa spontaneità si manifesta come una tendenza particolarmente pericolosa essendo il tempo, assieme allo spazio, elemento fondamentale in campo educativo. Le relazioni richiedono tempo, l’apprendimento richiede tempo, l’assimilazione, la consapevolezza richiedono tempo: la spontaneità si esplicita come una virtù infantile che deve necessariamente essere educata. Bisognerebbe “pensare di nuovo nel tempo”, “prendere in mano il tempo” per affrontare le nostre inquietudini.
A questo proposito, Augé prospetta il suo programma pedagogico u-topico, fondato su una rivoluzione copernicana delle emozioni e dei sentimenti. Del resto, afferma l’autore, la conoscenza, ovvero ogni tipo di sapere, implica tanto una dose di razionalità quanto una dose di passione e l’idea di una verità “globale”, di “certezze” incrollabili, non è solamente illusoria ma ha da sempre causato “l’infelicità umana”. Al contrario, la “realizzazione dell’uomo” deve passare per la conquista di verità relative, “costruite e verificate”, che non siano semplicemente frutto di calcolo e raziocinio, ma che siano anche vissute e sperimentate nel concreto delle passioni. L’u-topia, in questo senso, è un segno di razionalità, essendo tutti condannati, per natura, a non poter vedere “mai quello che accadrà in seguito, dopo di noi”.
Personalmente ritengo estremamente interessante l’attenzione rivolta ai sentimenti, in particolare a quello di solitudine in una società che si trasforma e che diventa sempre più connessa. Siamo immersi, infatti, in una condizione di solitudine comunicante, in cui tutti siamo connessi online ma al contempo disconnessi quando siamo offline, ovvero nel mondo reale. In tale posizione, tanto rischiosa, non possiamo che incorrere in sentimenti di marginalizzazione, di esclusione, che i nuovi mezzi tecnologici potrebbero, invece, limitare. Ed è per questo che Gardner, in Generazione App (2014), cercava di comprendere la psicologia dei moderni navigatori del web. Le nuove tecnologie consentono di risolvere i problemi più disparati e di far fronte quindi alla complessità del mondo contemporaneo che l’uomo cerca continuamente di esorcizzare tramite l’utilizzo di risposte semplificate che derivano spesso dall’utilizzo di tali app: non a caso McLuhan (Gli strumenti del comunicare, 1964) considerava le app come vere e proprie estensioni delle capacità fisiche e cognitive dell’individuo. Gardner invita quindi ad utilizzare questi strumenti con consapevolezza, necessaria in quanto le app potrebbero andare ad intaccare l’intimità tra gli individui, la formazione dell’identità e del Sé del soggetto e a compromettere lo sviluppo delle relazioni (oggi sempre più offuscate da quella che chiamiamo computazione ubiqua, interazione tra l’uomo e la macchina) che, come ricorda Augé, richiedono tempo. Tutto ciò è perfettamente espresso dal neologismo dei non-luoghi: luoghi senza identità, persone senza identità. Siamo stati resi schiavi di una tecnologia che ha preso il sopravvento sull’autonomia dell’uomo che andrebbe recuperata attraverso la consapevolezza. Come nel mito della caverna di Platone, l’uomo moderno che riuscisse a liberarsi dalle catene, non per forza e, sicuramente, non facilmente, guadagnerebbe rispetto nel trasmettere la “verità” agli altri. Come l’uomo della caverna è schiavo delle ombre proiettate al suo interno, l’uomo contemporaneo è schiavo delle pseudo-relazioni che instaura grazie ai nuovi media. L’importanza del medium sta nell’uso che se ne fa.
Per quanto riguarda la spontaneità credo pienamente nell’affermazione di Augé per cui “non c’è nulla di più spontaneo della violenza”, spesso legata anche all’utilizzo di game, videogame o contenuti proposti dal web: secondo Bandura i protagonisti di film, romanzi e serie televisive, hanno una forte influenza sul comportamento degli individui, i quali vengono spinti, in seguito ad un’attenta osservazione, all’emulazione. L’arte di calcolare il tempo, di prendersi il proprio tempo, al giorno d’oggi è un’arte sempre più ardua da praticare, a causa dei nuovi mezzi tecnologici che ci fanno vivere in un mondo di spontaneità immediata, ma la relazione fra le persone richiede tempo. Prendere del tempo significa “non incalzare”, “non andare di fretta”, ma anche “prendere in mano il tempo”, “gestirlo”, “padroneggiarlo”.
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