Un sottosuolo in piena luce: la metafora della caverna da Platone a Dostoevskij

Con Simone Zacchini e Antonio Coratti

A cura di Antonina Nocera Comitato scientifico: Antonio Coratti, Evgenya Litvin, Antonina Nocera, Claudia Olivieri

La leggenda del Grande inquisitore

Con Mario Reale e Gaetano Lettieri A cura di Antonina Nocera Comitato scientifico: Antonio Coratti, Evgenya Litvin, Antonina Nocera, Claudia Olivieri

Metafisica del sottosuolo, Biologia della verità fra Sciascia e Dostoevskij (Divergenze ed., 2020)

“È un volume che riposa il suo peso: una scrittura molto breve, quasi al quarzo da quanto è pulita, che alla letteratura di secondo grado preferisce la meditazione introspettiva sui testi, con una posta in gioco di rara articolazione. La studiosa mette in rete di comunicazione due autori che non c’è abitudine a far risuonare insieme: Sciascia e Dostoevskij, ma lo fa secondo un percorso argomentativo che trova specifiche corrispondenze etiche ed estetiche.” (Dalla recensione di D.Bilotti)

Con Antonina Nocera, Francesco De Cristofaro A cura di Antonina Nocera Comitato scientifico: Antonio Coratti, Evgenya Litvin, Antonina Nocera, Claudia Olivieri

Sanguina ancora. L’incredibile vita di Fedor M. Dostoevskij (Mondadori, 2021)

Con Paolo Nori, Antonina Nocera, Evgenya Litvin A cura di Antonina Nocera Comitato scientifico: Antonio Coratti, Evgenya Litvin, Antonina Nocera, Claudia Olivieri

L’opzione di Dio (Baldini+ Castoldi, 2020)

Con Pietro Caliceti, Antonina Nocera, Evgenya Litvin A cura di Antonina Nocera Comitato scientifico: Antonio Coratti, Evgenya Litvin, Antonina Nocera, Claudia Olivieri

Anja, la segretaria di Dostoevskij (La lepre edizioni, 2020)

Con Giuseppe Manfridi e Antonina Nocera A cura di Antonina Nocera Comitato scientifico: Antonio Coratti, Evgenya Litvin, Antonina Nocera, Claudia Olivieri

Dostoevskij, la croce e la postmodernità

Con Francesco Postorino, Antonio Martone, Evgenya Litvin A cura di Antonina Nocera Comitato scientifico: Antonio Coratti, Evgenya Litvin, Antonina Nocera, Claudia Olivieri

Tetro entusiamo. Dostoevskij in Pasolini.

Nel 1961, rispondendo a un lettore di “Vie nuove” che voleva sapere se fosse scrittore più grande Dostoevskij o Hugo, Pasolini scrisse: “Io non amo Victor Hugo, e invece addirittura venero Dostoevskij. Del primo non amo l’arte retorica […]: una retorica che credeva di essere, coi propri strumenti, indubitabilmente padrona di tutto il reale. […] Dostoevskij era esattamente il contrario; non era mai “sopra” la realtà, a ordinarla con olimpiche leggi retoriche, ma stava sempre “dentro” ad essa, a inventare incessantemente il modo di comunicarla, di esserle pari, di non lasciarla sfuggire. Non c’è pagina di Dostoevskij che non corra il rischio di essere brutta, impari, gratuita, sbagliata, eccessiva: e invece, proprio per questo, è sempre sincera e poetica: il suo caos finisce sempre con l’essere purissimo ordine: la sua contraddittorietà rigore. Io ho letto L’idiota a quindici anni: era il primo libro serio che leggevo […] e l’emozione che ne ho provato non si è ancora spenta”. Dostoevskij è una fonte fondamentale dell’opera pasoliniana, sin dal “periodo friulano”, modello e materiale con cui costruire romanzi e pensare raccolte poetiche. Passando in rassegna l’intera esperienza creativa pasoliniana, individueremo citazioni dirette e indirette di Dostoevskij, ma soprattutto cercheremo di capire in che consista la sua funzione, all’interno dell’opera pasoliniana, concludendo con la lettura di un saggio di Vladimir Luk’jančuk, primo traduttore di Petrolio in russo, per conoscere anche un punto di vista russo sulla prossimità di Dostoevskij e Pasolini.

Con Francesca Tuscano, Lavinia Mannelli, Evgenia Litvin A cura di Antonina Nocera Comitato scientifico: Antonio Coratti, Evgenya Litvin, Antonina Nocera, Claudia Olivieri

 

L’errore fatale: I demoni o i demonî di Dostoevskij?

Si sa, la pronuncia dei titoli e dei nomi russi è di non facile attuazione per chi non conosce le regole fonetiche del cirillico. Le traslitterazioni possono essere d’aiuto ma ci sono casi in cui la posizione dell’accento, nella traduzione, non è soltanto una questione di precisione, ma può determinare uno slittamento sostanziale del senso. È questo il caso del titolo di uno dei romanzi più intensi della maturità di F.M. Dostoevskij: I demonî.
Occorre leggere demòni con accentazione piana (parossitono) e non demoni con accento sdrucciolo (proparossitono). Con demone, (plurale demoni) dal greco δαίμων, trasl. dáimōn, «essere divino») intendiamo un essere che si pone a metà strada fra ciò che è divino e ciò che è umano. Così, all’interno del dialogo tra Socrate e Diotima, nel Simposio si definisce Eros, un daimon megas che è metaxu, un tramite tra il cielo e la terra (Symposyon 179b-1-3).
Demonio (plur. Demonii, o demonî) deriva dal latino tardo daemonium, dal gr. daimónion, propr. neutro sost. dell’agg. daimónios ‘appartenente alla divinità’, seconda metà sec. XIII, nella religione cristiana e giudaica Spirito del male, Satana; demonî, sono gli angeli che seguirono la rivolta contro Dio.
In russo, esistono due formule semanticamente accostabili демон (demon) e Бес (bes), plurale Бесы (besy) che riproducono complessivamente le differenze prima descritte. Tuttavia, Puškin le usò entrambe, e attraverso la sua mediazione anche Lermontov nel suo romanzo Demon ne fa un uso semanticamente connotato, relegando il demonismo a un campo laico, come attitudine umana alla sopraffazione e autoaffermazione. Sulla stessa falsariga, Sologub costruirà il personaggio di Peredonov, ne Il demone meschino (Melkij bes), incarnazione del male di secondo rango, fatto di piccole abiezioni della vita quotidiana, segnatamente nella filistea provincia russa.
L’uso che ne fa Dostoevskij è collegato all’etimologia biblica: le epigrafi che sceglie per il romanzo sono inequivocabilmente legate a questo ambito semantico: un frammento del Vangelo di Luca che fa riferimento alla possessione demoniaca, per traslato nel romanzo diventa idea di distruzione e autodistruzione: «E c’era lì a pascolare per la montagna una numerosa mandria di porci; e lo pregarono che permettesse d’entrare in quelli. E glielo permise. Usciti dunque i demonî da quell’uomo, entrarono nei porci, e la mandria s’avventò a precipizio nel lago e annegò. I mandriani, com’ebbero visto ciò, fuggirono a portarne la nuova in città e per le campagne. Uscì la gente a vedere che fosse mai avvenuto; e arrivati da Gesù trovarono l’uomo, dal quale erano usciti i demonî, rivestito e in sé, seduto ai piedi di lui; e s’intimorirono. E gli spettatori raccontarono anche come l’indemoniato era stato liberato» (Lc, VIII, 32-37).
La seconda epigrafe del romanzo è tratta da una poesia Puškin nel 1830, Besy (I demonî), in cui la tentazione del male si consuma in un contesto demoniaco, dove un sabba di streghe e spiriti maligni tormentano lo spirito del poeta.

I demonî Stavroghin, Kirillov Sigalëv, e soprattutto Verchovenskij, sono infiammati da idee liberali contro la Russia, lo zar, la tradizione e la religione e si avviano in una corsa verso l’abisso del nichilismo. L’equazione demoniaco/sovversivo e sobillatore politico è ben determinata e assestata nel disegno generale del romanzo.
Particolarmente esplicativo è il passo di Stavroghin al cospetto di Tichon: «Credo nel demonio, ci credo nel senso canonico del termine, nel demonio come persona e non come allegoria».
Verchovenskij rincara la dose: «Quei demonî sono tutte le piaghe, tutti i miasmi tutta l’immondizia, che si son raccolti nella cara e grande malata, nella nostra Russia, durante secoli e secoli! Ma una grande idea e una grande volontà l’illumineranno dall’alto come quel folle indemoniato, e usciranno tutti questi demonî , tutta questa turpitudine che ha cominciato a marcire sulla superficie e da sé chiederanno di entrare nei porci. Ma forse sono già entrati. Siamo noi noi e loro Petr e les autres avec lui e noi prima in testa forse agli altri, e ci precipiteremo, folli e indemoniati, giù dalla rupe del mare e affogheremo tutti».
La distorsione italiana demone, come ricorda Claudia Olivieri, è verosimilmente dovuta al francese Les demons. In francese, altrove, le traduzioni hanno ricalcato l’origine biblica e l’episodio evangelico: Les possédeés ha dato origine all’italiano Gli indemoniati, edizione a cura di Margherita Santi-Farina, G. Casini, 1956, e complessivamente le edizioni oscillano tra le due titolazioni I demoni e I demonî. Da segnalare la traduzione Gli ossessi di Olga Resnevic (Foligno, Campitelli, 1928). Quest’ultima insiste sul tema della possessione demoniaca, con un’oscillazione verso lo psicologico- ideologico, gli ossessi come posseduti da un’idea rovinosa e fatale.

Intervista alle traduttrici delle “Lettere” (A cura di Alice Farina, Il Saggiatore, 2021)

È arrivato il tempo di leggerlo, Dostoevskij. Nella fattispecie lo farà per noi lo scrittore e attore Alessandro Bastasi con le lettere, nella traduzione di Giulia de Florio, Alice Farina, Elena Freda Piredda per il Saggiatore, restituiscono una versione di Dostoesvkij arricchita da elementi, anche poco noti, che compongono un ampissimo prisma: la vita, gli amori, gli affetti, la malattia, la paternità, la creatività e i momenti nodali della sua vita. Uno tra tutti quando a soli 18 anni dichiara al fratello di volere dedicare tutta la vita a svelare e decifrare quel mistero che è l’uomo.

Con Giulia De Florio ed Elena Freda Piredda A cura di Antonina Nocera Comitato scientifico: Antonio Coratti, Evgenya Litvin, Antonina Nocera, Claudia Olivieri