Prolegomeni a un capitalismo francescano.

DI Fabio Vighi (Università di Cardiff)

1. Mitologie del Male
La conjuration des imbéciles è il titolo di un breve scritto di Jean Baudrillard pubblicato su Libération il 7 maggio 1997 [ref]https://www.liberation.fr/tribune/1997/05/07/opposer-a-le-pen-la-vituperation-morale-c-est-lui-laisser-le-privilege-de-l-insolence-la-conjuration_206413, traduzione dell’autore (qui e seguenti)[/ref]. Prendendo spunto dal successo politico conseguito in quegli anni da Le Pen padre, Baudrillard si scaglia contro il moralismo conformistico della sinistra, che vede legato a doppio filo all’ascesa del Front National. Due domande di quello scritto colpiscono al cuore del nostro presente: ‘È possibile oggi proferire anche solo qualcosa d’insolito, d’insolente, di eterodosso o paradossale senza essere automaticamente etichettati di estrema destra? […] Perché tutto ciò che è morale, conforme e conformista, e che era tradizionalmente di destra, è passato oggi a sinistra?’ Baudrillard sostiene che la sinistra, ‘spogliandosi di ogni energia politica’, si è trasformata in ‘una pura giurisdizione morale, incarnazione di valori universali, paladina del regno della Virtù e custode dei valori museali del Bene e del Vero, una giurisdizione che vuole responsabilizzare tutti senza dover rispondere a nessuno.’ In tale contesto, ‘l’energia politica repressa si cristallizza necessariamente altrove – nel campo nemico. E così la sinistra, incarnando il regno della Virtù, che è anche il regno della più grande ipocrisia, non può che alimentare il Male.’

La tesi di Baudrillard può essere utile a tastare il polso di un’epoca, la nostra, che ha sviluppato una vera e propria ossessione ideologica per il Male. Questo perché la mitopoietica del Male serve oggi a consolidare l’illusione della fondatezza morale del capitalismo globalizzato. Tale illusione è sempre più necessaria, poiché un sistema globale lastricato di valore e prossimo alla saturazione non può reggersi su sé stesso. Più la globalizzazione capitalista si ostina a liquidare chiunque non si adegui alle sue leggi, più tende all’implosione; e più diventa ostaggio di una logica perversa la cui regola madre è la costruzione del fantasma ideologico del nemico sanguinario.

Oggi il bubbone del Male emerge, per esempio, nella forma di un’oscena plebaglia populista, sovranista e fascistoide, quel ‘basket of deplorables’ (Hillary Clinton) che ammorba il nostro altrimenti sorridente villaggio globale, e che tutti noi “amiamo odiare”. A questa feccia si oppongono in massa le forze liberali e moderate del pianeta, che giustificano le loro battaglie attingendo a piene mani dall’inesauribile repertorio narrativo della favolistica (incluso quella hollywoodiana), in cui il Bene, appunto, lotta e infine trionfa contro il Male. La crociata umanitaria dei moralizzatori è talmente sentita da far loro dimenticare, però, che l’umanità per cui si battono è già stata massacrata, depredata, e nel migliore dei casi svenduta al miglior offerente proprio dai cavalieri dell’apocalisse liberale.

C’è una frase di Baudrillard che fotografa perfettamente l’ipocrisia cui faccio riferimento: ‘Le Pen viene criticato perché rifiuta e esclude gli immigrati, ma questo è nulla rispetto ai processi di esclusione sociale che avvengono dappertutto.’ Perché limitarsi a combattere il becero razzismo di chi respinge gli immigrati, quando la discriminazione sociale è ovunque, nelle forme dell’esclusione, della ghettizzazione, dello sfruttamento (semi-)schiavistico, della violenza e della guerra? Perché ostinarsi a vedere solo il muro sovranista, quando la globalizzazione stessa coincide con soprusi e divisioni sempre più laceranti? Forse la risposta è più semplice di quanto possa sembrare: puntare il dito contro il cattivo di turno ci protegge dalla nostra intima collusione con un sistema profondamente iniquo; ci protegge da quel razzismo strisciante, virale, codificato nel DNA delle democrazie liberali, su cui si fondano le nostre sacre identità e i nostri sacri privilegi. Come egregiamente dimostrato da Domenico Losurdo, le conquiste civili del mondo liberale si sono affermate in stretta simbiosi con le moderne tragedie della schiavitù, della deportazione, e del genocidio[ref]Domenico Losurdo, Controstoria del liberalismo (Roma-Bari: Laterza, 2005)[/ref]. Queste tragedie, se solo vogliamo vederle, si ripetono quotidianamente nel progetto neoliberista. Il paradosso che guida i virtuosismi moralistici della “buona politica”, promotrice di un capitalismo imperialista “dal volto umano (sebbene ora mascherato)”, era stato perfettamente compreso da Baudrillard:

‘Se Le Pen non esistesse, bisognerebbe inventarlo. È lui che ci libera dal lato malvagio di noi stessi, dalla quintessenza di tutto ciò che è peggio in noi. Per questo gli lanciamo un anatema. Ma guai a noi se lui scomparisse, perché la sua scomparsa scatenerebbe i nostri virus razzisti, sessisti e nazionalisti (li abbiamo tutti) o, semplicemente, la negatività omicida dell’essere sociale.’

E infatti Jean-Marie Le Pen non è scomparso; è stato semplicemente clonato in un variopinto carosello di mostri e mostriciattoli dati in pasto all’opinione pubblica per legittimare processi di distruzione socio-economica che spingono milioni di esseri umani nella miseria, nella disperazione, e nella lotta fratricida per la sopravvivenza. Ciò significa che la devastazione neoliberista si auto-sostiene non solo attraverso quella che Goethe chiamò ‘ignoranza attiva’, ma soprattutto grazie a un ipocrita dettato moralistico che immunizza chi lo promuove. Non essendo più in grado di generare alcun progresso, e non potendo più coalizzarsi contro il demone comunista, la nostra civiltà omologata e devitalizzata fa leva sul Male, cercando disperatamente di autoimmunizzarsi.

Riprendendo il tema centrale della filosofia di Roberto Esposito, diremmo che l’odierna ossessione per i vaccini debba essere letta, oltre che in chiave farmaceutico-speculativa, anche come metafora immunologica: il meccanismo della vaccinazione descrive perfettamente il funzionamento di un potere globale che si inocula agenti patogeni (immorali e antidemocratici) per stimolare la produzione di presunti anticorpi (“morali” e “democratici”). Da Le Pen a Trump, dalle armi di distruzione di massa di Saddam Hussein al terrorismo islamico, fino al “programma nucleare” dell’Iran e alla narrazione pandemica del COVID-19, abbiamo di fronte una lunga serie di operazioni immunologiche attraverso cui si tenta di avallare un modello socio-economico palesemente (auto)distruttivo scaricandone la follia omicida sul malvagio di turno. Per questo motivo il potere è sempre più drogato di emergenzialismo.

In breve, il mondo governato dalla violenza del capitalismo senile ama lavarsi la cattiva coscienza attraverso un perverso ma consolidato meccanismo catartico: difendere l’umanità dal proprio Male, messo in scena, però, nel teatro delle crudeltà altrui. Come per il colonnello Kurtz di Apocalypse Now, l’escrescenza del Male è prodotta dal Bene, e dev’essere eliminata affinché questa ingombrante verità non venga a galla. Qui vale sempre l’immortale ammonimento di Max Horkheimer, che in piena seconda guerra mondiale scrisse: ‘Chi non vuole parlare di capitalismo non deve parlare nemmeno di fascismo. […] L’ordine totalitario non è altro che l’ordine precedente senza i suoi freni. […] Oggi combattere il fascismo richiamandosi al pensiero liberale significa appellarsi all’istanza attraverso cui il fascismo ha vinto[ref]Max Horkheimer, Gli ebrei e l’Europa, in Crisi della ragione e trasformazione dello Stato (Roma: Savelli, 1978), p. 55.[/ref]’

E invece ci hanno persuaso che Donald Trump, novello Kurtz, è personalmente responsabile di tutti gli orrori della terra, dalla schiavitù da cui sono nati gli Stati Uniti d’America all’ultimo “apocalittico” virus. E non importa se l’impero del Bene è colpevole dello stesso Male che attribuisce all’altro. Non importa se parliamo di due facce della stessa medaglia, poliziotto buono e poliziotto cattivo. In fondo, importa solo che il lato soft dell’intelligenza liberal non venga troppo disturbato, perché l’obiettivo è stare dalla parte giusta del Bene, dalla parte giusta dell’universalismo dei diritti (e delle sue bombe), ovvero dalla parte giusta dell’imperialismo turbo-capitalista.

L’ultima folle speranza di un modello socio-economico in lenta decomposizione qual è il nostro è affidarsi a una strategia proiettiva, per cui il tumore di sistema viene trasferito nelle intenzioni di truci soperchiatori. Una società che, nelle parole di Baudrillard, ‘sta morendo di inerzia e immunodeficienza’, ha terribilmente bisogno di ‘doppi negativi’, ovvero di una spettacolare proiezione esterna della propria cinica mediocrità. Ha bisogno cioè di una ‘figurazione burlesca, allucinatoria di questo stato latente, di questa silenziosa inerzia composta in egual misura da integrazione forzata ed esclusione sistematica.’ A proposito del lato burlesco del Male, Silvio Berlusconi è stato lo specchio deformante di un intero sistema sociale anemico e decadente, politicamente esaurito e impotente. Questo sistema aveva necessità di proiettare il proprio Vuoto su una grottesca maschera caricaturale da Commedia dell’Arte che, amplificando magnificamente quel Vuoto, potesse legittimare false o effimere opposizioni. Così il Cavaliere ha permesso ai media liberali, ai politici progressisti e alle moltitudini allo sbando di sprezzarlo pur apprezzandolo, di deriderlo pur imitandolo, di diffamarlo pur abbracciandolo, ottenendo infine dalla sua destituzione (per mano europea) l’agognata immunità morale, da rinnovarsi con l’arrivo del successivo “deplorabile”. Nella formula di Baudrillard: se non ci fossero, bisognerebbe inventarli.

2. Verso un capitalismo filantropico-francescano
Allo stesso tempo, però, i paladini del Bene tessono la tela di un futuro resettato, che amano definire più giusto, più sicuro, più resiliente, e ovviamente ammantato di energia green per tutti. Basta lanciare un’occhiata alle pagine del WEF (World Economic Forum) – che ogni anno, com’è noto, si riunisce nella bidonville svizzera di Davos – per capire ciò che ci attende: un mix micidiale di ‘economia delle piattaforme in grado di aprire la strada del benessere a miliardi di lavoratori’ (schiavizzati?)[ref]https://www.weforum.org/agenda/2020/11/digitalization-platform-economy-covid-recovery/[/ref], e ‘l’impegno di attivisti aziendali [corporate activists, sic!] capace di affrontare tutte le sfide del nostro tempo, dal cambiamento climatico alle discriminazioni sociali e razziali’, grazie al motto dal sapore decisamente francescano di: ‘Credi in qualcosa, anche se significa sacrificare tutto’ (milioni di vite umane?)[ref]https://www.weforum.org/agenda/2020/11/the-world-needs-corporate-activists-with-these-5-steps-you-can-become-one/[/ref] .

‘Benvenuti nel 2030. Non possiedo nulla, non ho privacy, e la vita non è mai stata migliore.’ Non è una crudele parodia, ma il titolo, anch’esso molto francescano, di un breve testo di Ida Auken (ex ministro per l’ambiente e ora membro del “Partito Social Liberale” danese) apparso l’11 novembre 2016 sul sito del WEF[ref]https://www.weforum.org/agenda/2016/11/shopping-i-can-t-really-remember-what-that-is/ (Il titolo è stato recentemente cambiato.)[/ref]. Detto sommariamente, la Auken, anima vivace della sinistra neo-futurista, ci racconta del “comunismo” che verrà[ref]https://www.weforum.org/agenda/2016/11/shopping-i-can-t-really-remember-what-that-is/[/ref] . A breve abiteremo in città modello in cui ‘non possederemo nulla – né casa, né auto, né elettrodomestici’. La nostra proprietà privata sarà dunque realmente abolita. E ne saremo felici, perché nella città dei servizi digitalizzati, affrancata da traffico e smog, ‘avremo liberamente accesso a ogni cosa’. Nessun bisogno di ‘pagare l’affitto’, perché quando saremo fuori a girare in bicicletta o a raccogliere margherite ‘qualcun’altro utilizzerà il nostro spazio’ (comunismo vero!). Lo shopping sarà un lontano ricordo, perché ‘un algoritmo sceglierà le cose da comprare’, visto che ‘conoscerà i miei gusti meglio di me’. Anche il lavoro muterà in qualcosa di piacevole: ‘tempo per pensare, tempo creativo, tempo per la formazione’. E nonostante la Auken si dica ‘preoccupata per tutte le persone che avranno deciso di non vivere in questa città’ e che ‘si saranno perse per strada’, magari ostinandosi a occupare ‘case abbandonate di paesini del diciannovesimo secolo’, o a formare ‘piccole comunità autogestite’; e per quanto, scrive, ‘di tanto in tanto troverò fastidioso non avere alcuno spazio privato’ sapendo che ‘tutto quel faccio, penso o sogno [sic!] viene registrato da qualche parte’ – nonostante queste piccole complicazioni, insomma, ‘la vita sarà senz’altro migliore’, perché avremo sconfitto ‘tutte le cose terribili che ci stavano accadendo: malattie legate al nostro stile di vita, cambiamenti climatici, crisi migratorie, degrado ambientale, città congestionate, inquinamento idrico e atmosferico, disordini sociali e disoccupazione.’

Basta un piccolo sforzo dell’immaginazione per capire che questa favoletta utopistica è in realtà un perfetto controcanto distopico, per il semplice motivo che se noi non possederemo più nulla sarà perché, dopo aver “disciplinato” i poveri e spolpato il ceto medio, l’élite mondiale avrà in mano davvero tutto. Già ora, in piena ristrutturazione da pandemia, ai paesi a rischio default, così come ai lavoratori lasciati senza reddito, vengono “in aiuto” i grandi istituti finanziari neoliberisti (FMI, World Bank, ecc.) – gli stessi che sponsorizzano i lockdown più draconiani[ref] Si veda il secondo capitolo del ‘World Economic Outlook’ pubblicato dal FMI a ottobre 2020: https://www.imf.org/en/Publications/WEO/Issues/2020/09/30/world-economic-outlook-october-2020[/ref] – pronti a sottometterci a forza di generosi prestiti. Come scrisse Daniel Guérin nel 1936: ‘Quando la crisi economica […] si manifesta in forma particolarmente acuta, quando il tasso di profitto tende a zero, essa non vede altra via d’uscita, altro mezzo per rimettere in marcia il meccanismo del profitto, se non quello di vuotare sino all’ultimo soldo le tasche – già poco fornite – dei poveracci che costituiscono la “massa”[ref]Daniel Guérin, Fascismo e grandi capitali (Roma: Erre emme edizioni, 1994), p. 58[/ref].’ Possibile non vedere che alla base della presente ‘distruzione creativa’ (Schumpeter) da coronavirus non c’è altro che un nuovo “fascismo dei grandi capitali”, per parafrasare il titolo del libro di Guérin? L’obiettivo dello psicodramma pandemico piovutoci addosso è la devastazione di ciò che rimane dell’economia reale, finalizzata alla stipulazione di un nuovo contratto sociale leviatanico (il Great Reset) in cui la nostra sopravvivenza dipenderà dall’intervento “caritatevole” di istituti monetari sovranazionali che, come conferma appunto la Auken, ci spoglieranno di ogni bene e vigileranno persino sui nostri sogni.

In questo scenario, le imprese tecnologicamente più arretrate e meno produttive sono portate alla bancarotta e assorbite dai monopòli. I lavoratori autonomi e precari spariscono nel nulla. Nel migliore dei casi, la massa crescente di disoccupati viene “riscattata” da un reddito di base universale, miserrimo ma sufficiente a costringerla all’eterna gratitudine verso i benefattori. Qualche pezzo di debito sovrano verrà forse bonificato, in cambio però della consegna di beni pubblici agli istituti finanziari che guidano le grandi manovre. E alla fine di ogni anno ci sarà sempre il santo Natale a restituirci un vago senso di fratellanza, magari grazie al temporaneo allentamento di bizantine misure restrittive. Questa transizione verso un capitalismo totalitario servito in salsa filantropico-francescana viene fatta digerire alle masse attraverso irresistibili narrazioni catastrofico-salvifiche, strumento ideale di una propaganda securitaria che spaccia l’Armageddon sociale come atto umanitario.

La distruzione di ampi settori dell’economia reale e, insieme, la draconiana profilassi sociale contrabbandata come profilassi sanitaria, sono fenomeni interni al folle vortice espansivo del capitale, che per indole non si preoccupa di nulla, tantomeno di chi rimane schiacciato dai cambiamenti. Come Marx aveva osservato, il modo di produzione capitalistico, essendo una soggettività automatica, non ha remore a distruggere le fonti stesse del valore, ossia i lavoratori salariati da una parte, e la terra o risorse naturali dall’altra. “New normal” significa appunto rimodellare l’umanità in modo che transiti obbediente, e magari riconoscente, verso l’inferno del Capitalismo 4.0, quello della quarta rivoluzione industriale. La governance globale in materia di bio-sicurezza è oggi l’espressione più evidente di questo dispotismo assai poco illuminato, che trova nel cosiddetto stakeholder capitalism la sua perfetta incarnazione economica: nello spartirsi gli utili borsistici, manager e azionisti delle grandi multinazionali gestiscono anche un possente fronte politico-mediatico intriso di filantropia e sensibilità sociale.

Eccoci giunti al paradosso dei paradossi: lo 0,1% – i vincitori della globalizzazione, ovvero la classe più predatoria dell’intera storia umana (da Bill Gates a Warren Buffett, Bill Clinton, Mark Zuckerberg, George Soros, ecc.) – che si impegna socialmente a sostenere cause nobili come la salute e la lotta contro la fame nel mondo! Grazie a donazioni erogate dalle loro munifiche fondazioni, i profeti del filantro-capitalismo esercitano un’influenza sempre più tirannica sui governi e le loro fragili istituzioni. La stessa Chiesa di Papa Francesco, comportandosi come ha quasi sempre fatto nella sua lunga storia, promuove la causa del potere secolare, oggi cinicamente travestito da ‘capitalismo inclusivo, che non lascia indietro nessuno’[ref]https://www.inclusivecapitalism.com/ [/ref]. Si tratta di un diabolico intreccio di denaro, potere e alleanze lobbystiche che vuole ergersi a nuova morale universale, togliendo così alla politica anche le ultime briciole di autonomia, al punto che le democrazie di tutto il pianeta ormai accolgono i filantro-predatori a braccia aperte, senza nemmeno più fare domande. E se il ricatto morale funziona, ciò significa anche che l’implosione capitalista non è necessariamente esplosiva: non produce automaticamente contraddizioni e potenzialità rivoluzionarie, come ingenuamente credono ancora molti marxisti. Piuttosto, nella sua fase attuale l’implosione del capitalismo genera una subdola forma di deterrenza di stampo fascista, in cui appunto lo Stato (insieme alla Chiesa) promuove gli interessi delle élites finanziarie. Sottovalutare questa deriva è oggi l’errore più grande che si possa commettere.

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