Sotto l’ombrello della Costituzione: la voce delle differenze

  1. Quanto spazio c’è sotto l’ombrello della Costituzione?

La Carta fondamentale della Repubblica può essere raffigurata come un ombrello le cui falde rappresentano un sistema protettivo finalizzato a soccorre, all’occorrenza, le diverse soggettività in essa richiamate. Saggiamente la Costituzione non utilizza categorie semantiche stringenti (modalità “catalogo”), e quando lo fa, la ragione dipende dalla necessità di dover rispondere a specifiche situazioni non generalizzabili. Diciamo, allora, che la forza di una qualsiasi Costituzione (specie di quelle scaturite dalle grandi rivoluzioni liberali settecentesche poi “rigenerate” e “arricchite” nel secondo dopoguerra) risiede nella capacità di “prevedere” cosa accadrà nel futuro, e dei loro autori (i “padri costituenti”) di presentarsi come i depositari, oltre che di competenze tecniche, anche di qualità straordinarie (“numinose”). E in effetti, a pensarci bene – e circoscrivendo il discorso all’esperienza italiana – come potremmo definire quelle persone (uomini e donne) che dopo la tragedia della seconda guerra mondiale – ognuna con esperienze di vita diverse, tutte segnate dalla tragedia del fascismo e dalla guerra di liberazione – hanno deciso di mettere da parte il loro “privato” pur di ridare al paese la speranza, partendo dal ripristino della democrazia? Senza il loro sacrificio, noi (singole persone e poteri pubblici) oggi saremmo altro; di certo non avremmo tutti quei diritti e quelle libertà che ci consentono (pur tra mille problemi) di vivere senza timore, di esibire la nostra personalità in pubblico al riparo di qualsiasi intrusione. E ogni volta che qualcuno (soggetto privato o pubblico non fa differenza) cerca di conculcare la nostra natura (… ricordando che la battaglia per i diritti è sempre in corso) sappiamo di poter fare ricorso agli strumenti che la Costituzione ha previsto, anche ricorrendo a dispositivi creati altrove (in Europa per esempio), certi che una determinata istituzione si farà carico delle nostre rimostranze assicurando (all’occorrenza) il ripristino della legalità tradita. Questo è possibile, allora, grazie all’ombrello della Costituzione, che mette al riparo i cittadini e le istituzioni dalle intemperie politiche che possono infuriare nello spazio pubblico, impedendo che i nemici della democrazia possano scardinare i valori di fondo su cui essa si fonda e favorendo, con procedure definite dalla legge, la partecipazione di tutti al governo della società. Grazie alla elasticità del “tessuto” di cui è fatta la Costituzione (la sua trama valoriale frutto di tradizioni diverse), situazioni sociali e soggetti, anche non espressamente previsti dalla Carta, ricevono degna considerazione e vengono ritenuti, sulla base di una corretta interpretazione effettuata da un corpo di esperi (dottrina, giudici, legislatore, etc.), meritevoli di protezione sulla scorta di una serie di premesse argomentative (la politica) e successive disposizioni giuridiche (le norme) germinate dalla costante lotta contro tutto quanto si palesa in contrasto con i primi dodici articoli della Costituzione (i diritti fondamentali).

 

  1. Fatta per durare nel tempo

Quando i costituenti scrissero la Costituzione, la società italiana si presentava conformata in maniera molto diversa rispetto ai tempi presenti. Le urgenze erano diverse, così come i bisogni e gli interessi delle persone dipendevano in massima parte dalla necessità di lasciarsi alle spalle i disastri della dittatura e della guerra. Buona parte di quei problemi sono stati affrontati e risolti, grazie, soprattutto, alla volontà dei costituenti e dei primi governi repubblicani di mettere da parte alcune divergenze ideologiche e di stabilire priorità a partire dalla centralità della persona umana. Il “personalismo” rappresenta il fulcro attorno al quale si è dato corso alla rinascita democratica del paese, predisponendo una serie di organi e apparati aventi il compito di far discendere da quel super valore-principio tutte le regole necessarie per impedire il ritorno al passato e dare vita, di contro, ad una società libera e uguale. E’ bene, perciò, non dimenticare mai che tutto quanto oggi diamo per scontato è frutto di una stagione politica tra le più complesse della storia del nostro paese e soprattutto della ferma volontà umana, intesa come impegno pratico e ideale (il sale della politica) a rimuovere le cause generatrici di diseguaglianze, discriminazioni, coercizione, conformismo, etc. Certamente, non tutto quanto sognavano i costituenti e i tanti protagonisti della prima fase democratica della Repubblica ha trovato concreta attuazione. Alcune norme costituzionali non hanno ancora trovato integrale attuazione. Lo scontro ideologico e geopolitico che ha dominato la scena pubblica (italiana ed Europea) almeno fino al crollo del muro di Berlino (1989) ha frenato alcune riforme, ma tanti successi (anche insperati) hanno ripagato dagli sforzi intrapresi: in primis la costruzione dell’Europa unita che ha garantito la pace nel vecchio continente e ispirato molti paesi ad aprirsi alla cooperazione e al libero mercato. Se oggi osserviamo il rovescio di questa trama, ci accorgiamo di quanti intrecci è stato necessario imbastire per dare vita al miracolo del ricamo che ci si offre a prima vista. E’ vero che alcuni nodi restano ancora irrisolti (il persistere delle diseguaglianze per esempio) e che altri si manifestano in forma anche allarmante (il rifiuto delle differenze) ma la democrazia costituzionale è il regime delle possibilità; solo essa (in base alle esperienze praticate nel mondo) è in grado di infondere speranza perché tende a non escludere nessuno dalla sua gittata (tranne chi mette in discussione i suoi cardini di fondo: dunque è anche “escludente” ma solo verso chi non riconosce la lezione della storia, il dato dell’esperienza) e a non richiedere (paradossalmente) “professione di fede” neppure ai suoi nemici. Questo significa che, a differenza di altri sistemi di reggimento politico, la democrazia costituzionale è più a rischio, è facile cioè che subisca tensioni e finanche aggressioni mortali; ma chi si è battuto contro la dittatura fascista (e idealmente contro tutte le tirannie sia politiche che religiose che l’Europa ben conosce e che ancora sperimenta, seppure sotto mutate versioni) preferisce lottare quotidianamente per preservare le sue fondamenta, piuttosto che accettare le blandizie o le minacce di “nuovi Leviatani” che si aggirano per il mondo. Sarebbe, in sintesi, un errore immaginare chiusa la stagione della Costituzione del 1948 solo perché le forze politiche che l’hanno partorita sono scomparse, o ne resta qualche limitato strascico. “Le vere Costituzioni sono prodotti storici astratti, che perdurano indipendentemente e oltre il cambiamento dei partiti e degli uomini al potere” (G. Zagrebelsky, Diritto allo specchio, Einaudi, Torino, 2018, p. 192).

 

 

  1. La flessibilità del diritto

Quella di oggi è dunque una Costituzione dalle radici profonde, che guarda lontano perché sicura del proprio retaggio storico nonchè delle potenzialità che questo “motore” è ancora in grado di sprigionare. In essa si rispecchia una società diversa, la quale – a differenza del passato – deve mettere in conto la compresenza di nuovi bacini culturali, frutto dei grandi processi migratori in corso da alcuni anni scaturenti dai rivolgimenti sociali e politico-istituzionali attivi soprattutto in Africa e in medio-oriente. Questo scenario multiculturale ha bisogno, per essere governato, di soluzioni rinnovate, certamente diverse da quelle approntate quando lo spazio pubblico nel nostro paese risultava quasi del tutto mono-culturale. Per alcuni, il multiculturalismo è un problema che andrebbe confinato ai margini del discorso politico (almeno fino a quando non diventa pervasivo) nonché “risolto” partendo dal rigetto di alcune sue caratteristiche evidenti, come la religione per esempio (specie quella islamica), il cui “peso”, secondo certe chiavi di lettura non più marginali, risulta irriducibile ai canoni della democrazia liberare. A ciò si aggiunge il fenomeno del terrorismo di matrice fondamentalista che amplifica la percezione delle trasformazioni in corso e presta il fianco a interpretazioni (e manipolazioni) riduzioniste e schematiche del rapporto tra Islam, radicalismo a base religiosa e società aperta. Secondo un’altra chiave di lettura, invece, il multiculturalismo andrebbe studiato partendo, innanzitutto, dal contesto sociale all’interno del quale ha trovato progressivo radicamento, evitando semplificazioni e, soprattutto, mettendo a disposizione degli “altri” tutto quanto è costudito nel forziere della nostra tradizione costituzionale. In base a questa visione (possibilista e realista nello stesso tempo) non si devono certamente negare le difficoltà del confronto tra estranei, ma bisogna anche avere il coraggio di ri-scoprire e far funzionare gli strumenti lasciatici in eredità dai padri. La sfida consiste, allora, nel provare a rileggere le matrici di senso della nostra cultura, sulla base di un approccio “interculturale” (che non stabilisce priorità tra soggetti e sistemi di pensiero, ma prova a fissare connessioni funzionali alla comprensione e alla convergenza su soluzioni pratiche, di vantaggio per tutti) pluralista (disponibile cioè a non lasciare indietro nessuno e a valorizzare le differenze) e fiducioso verso le capacità risolutive del diritto (che non si trincera nel puro legalismo ma “ascolta” la società, vede le sue trasformazioni e si immedesima con essa). Da problema, allora, il multiculturalismo può diventare risorsa. Ma è chiaro che alla politica spetta il duro compito di ascoltare e vedere cosa succede nella società, proponendo soluzioni che hanno a cuore le sorti di una cittadinanza oggettivamente multiforme. Se, al contrario, prevale la regola che qualcosa (o qualcuno) deve restare fuori, oltre il “margine della legalità” – dove non esistono garanzie di alcun tipo per gli indesiderati – allora significa che neppure la Costituzione potrà salvarci e che il futuro del paese è nelle mani dei barbari.

La sfida, per concludere, consiste nel valorizzare (sfruttare) al massimo le proprietà del diritto costituzionale, soprattutto la sua flessibilità, la capacità cioè di armonizzarsi ai cambiamenti della società e di assecondare il suo profilo mutevole. Nello stesso tempo, si tratta di nutrire fiducia nelle capacità “difensive” della Costituzione, facendo appello ai suoi cardini valoriali (che oggi si intersecano con quelli elaborati a livello europeo) non per retrocedere di fronte ai mutamenti culturali, ma per rilanciare con soluzioni innovative e razionali. Il percorso è appena all’inizio. Ai giovani, soprattutto, spetta raccogliere la sfida e proporsi come attori protagonisti di questo scenario inedito.

Gianfranco Macrì

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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