VIDEO – Roberto Finelli, “Addio Marx”

Finelli ci aiuta nel difficile compito di accomiatarci da Marx: le discussioni sulla figura e il pensiero di Karl Marx, in occasione del centocinquantesimo anniversario della pubblicazione del Capitale e poi del duecentesimo della nascita, confermano la grandezza geniale e insieme la assai complessa e tormentata contraddittorietà sia della persona che dell’opera teorica. Ed è proprio la contraddittorietà del suo pensare che Roberto Finelli mette sotto la lente d’ingrandimento nella raccolta di saggi che compone il libro. La chiave di lettura adottata pare suggerire come la mente di Marx fosse strutturalmente configurata secondo una molteplicità di piani che, anziché obbedire a una logica diacronica di evoluzione e superamento, sembrano disporsi secondo una logica sincronica di compresenza grazie alla quale egli ha potuto far propri filosofemi e categorie interpretative appartenenti ad ambiti tematici differenti ma sovrapponibili con il suo oggetto di studio, il modo di produzione capitalistico e il mondo che sorge dal suo imporsi.

VIDEO – Roberto Finelli, “Per un nuovo materialismo”

Nel video Finelli presenta il libro che chiude una trilogia i cui momenti precedenti sono dati da Un parricidio mancato (2004), dedicato a un’analisi critica eterodossa del rapporto del giovane Marx con i suoi numi tutelari Hegel e Feuerbach, e Un parricidio compiuto (2014), che trattava della relazione ormai risolta del Marx maturo con Hegel. Nei capitoli-saggi che compongono il nuovo volume, l’autore, ampliando il discorso attraverso una lettura attenta di Freud, una ripresa di Spinoza, e con un confronto con la stessa tradizione postidealistica e anti-heideggeriana del pensiero italiano (è una perla il capitolo su un maestro dimenticato come Guido Calogero), mette capo a un’originale proposta teorica: quella di un’antropologia filosofica dell’emancipazione basata su una visione bio-psicoanalitica della relazione corpo-mente nell’essere umano. Il fine è di concorrere così alla costruzione di una nuova etica sociale materialistica, al di là del vecchio materialismo storico, capace di sfidare le seduzioni più allettanti dell’individualismo atomizzante del consumo e del mercato. Una prospettiva che interviene direttamente nell’odierna crisi generale della sinistra, mostrando come questa sia anzitutto di ordine teorico e poi anche politico.

Linguaggi e tonalità emotive: tra crisi sociale e facebook

Come noto, infatti, ancora sino ad una decina d’anni fa – forse poco più –, le relazioni socio- culturali trovavano la forma prevalente di espressione attraverso i corpi di rappresentanza e di mediazione (partiti, associazioni, sindacati, organismi professionali, centri vari, ecc.), pur fragili nella loro declinante “solidità” – la liquidità li avrebbe resi evanescenti di lì a poco –, che fungevano da filtro della parola proferita.

Simplicio e la scienza, o della necessità della filosofia

La cosa più difficile da far capire al Simplicio nostro contemporaneo – utilizziamo questo nome in onore a Galileo – è che quando sta parlando di cosa sia la scienza e di cosa includere o meno al suo interno, non sta facendo più scienza (la sua specialistica scienza nella quale può essere anche bravo: fisica, chimica, matematica e quant’altro), ma qualcosa di diverso da essa. Chiamatelo come volete (filosofia, epistemologia, “discorso sensato”, buon senso ecc.), ma non è certo scienza, cioè quella scienza della quale vuole difendere la “scientificità”.

La comunicazione senza comunità. Brevi considerazioni sul senso dimidiato di una parola

Occorrerebbe, a nostro avviso, avviare a livello intellettuale e culturale una nuova «Costituente» democratica del sapere e dell’agire politico (e non solo «comunicativo»), che crei un nuovo spazio dell’opinione pubblica al riparo dai processi di svuotamento della comunicazione dei suoi elementi essenziali, considerati sopra nella loro storia concettuale e teorica. È un compito, tuttavia, che va ben al di là di una semplice discussione filosofica, e dovrebbe coinvolgere forze culturali e politiche alternative, d’opposizione all’attuale establishment, e soggetti della società civile attivi nel campo dell’informazione e della stessa comunicazione. La filosofia, in quanto pensiero critico, e la sua storia, devono restare comunque il punto di riferimento ineliminabile: il cuore, il motore e il principio attivo di questa futura Costituente.

Not in my filter bubble

Se la politica cambia insieme al modello di produzione allora nulla sarà più come prima. Il modo in cui viviamo, comunichiamo, interagiamo con il mondo è figlio della rivoluzione digitale. La straordinaria occasione per capire come questi fattori si siano collocati nello scenario italiano è fornita dalla storia, nient’affatto lineare e piena di ambivalenze e contraddizioni, del Movimento 5 Stelle.

Internet: opinione di massa ed economia del gratis

Il panorama che emerge dagli Internet studies è apocalittico. Basta mettere insieme i titoli dei saggi più famosi per farsene un’idea. La rete è il nemico, il sesto potere, un abisso che ci rende stupidi e ingenui, uno sciame digitale che provoca ossessioni collettive e demenza. Il dominio delle Big five sulla rete appare insuperabile tant’è che non resterebbe altro da fare – come suggerisce J. Lanier, un guru della rete – che disconnettersi e cancellare le tracce.

La frantumazione del quarto potere (e la genesi del quinto)

Dovendo scegliere una data con cui indicare simbolicamente il passaggio epocale vissuto dalle democrazie occidentali, quasi unanimemente si finisce col tirare in ballo il 1989. Non senza valide ragioni, peraltro, trattandosi dell’anno con cui convenzionalmente si fa finire il mondo diviso in due blocchi (capitalismo vs comunismo) e, a seguito della sconfitta del comunismo, si indica l’inizio del mondo unipolare caratterizzato dall’affermazione a livello planetario del capitalismo liberale.

Dopo il libro

La nuova opinione pubblica che emerge dalla rivoluzione tecnologica che stiamo vivendo ci lascia sconcertati per la sua impermeabilità ai discorsi canonici della modernità che modellavano la progettualità politica “illuminista” e progressista efficace ancora negli ultimi decenni del Novecento. Se un tempo proprio l’opinone pubblica poteva ambire a essere ciò che Habermas indicava come spazio discorsivo dialogico garante di una società democratica, è attualmente evidente la sua trasformazione retorica in ciò che De Certeau (La pratica del credere) aveva attribuito lacanianamente ai sondaggi: un “soggetto supposto sapere”, mera passività ideologica.