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Paolo Quintili, “Laicità, cittadinanza e nuovi processi di universalizzazione” (in “Lumi sul Mediterraneo, Mimesis, 2019)

La “qualità di cittadinopresuppone una società di cui ogni privato conosca le vicende, della quale si prenda cura, sentendo inoltre di poter raggiungere le “prime dignità”.

degli studenti di 4 A del Liceo Scientifico L. da Vinci di Terracina

 

 Nel suo saggio, “Laicità, cittadinanza e nuovi processi di universalizzazione”, Paolo Quintili evidenzia le difficoltà linguistiche e semantiche nell’utilizzo in lingua araba di concetti come “illuminismo” o “laicità”, che assumono una connotazione per lo più spregiativa. Per parlare di un concetto in maniera appropriata è infatti necessario tener conto di come quell’idea possa “migrare” da un contesto culturale ad uno diverso. Il termine “laicità”, ad esempio, è indicato in arabo con la parola “eilmania”, che letteralmente significa ateismo. Nella cultura occidentale, “ateismo” indica piuttosto la negazione esplicita e consapevole dell’esistenza di Dio, mentre la laicità riguarda semplicemente l’operazione di presa di distanza dai valori religiosi in rapporto alle norme dello Stato, ovvero la scissione tra la sfera politico-sociale e quella religiosa. Nell’articolo Quintili affronta anche il tema della cittadinanza, evidenziandone le radici storiche e filosofiche per chiarire come questo concetto si sia evoluto nel corso dei secoli. Per cittadinanza si intende il rapporto di appartenenza che si viene a stabilire tra individuo e Stato che ha assunto forme diverse in base alle differenti configurazioni dello Stato stesso. In particolare, all’inizio dell’articolo l’autore fa riferimento alle guerre di religione avvenute in Europa tra il Cinquecento e il Seicento, che evidenziano come l’appartenenza ad uno Stato fosse fortemente caratterizzata dalla confessione religiosa, che condizionava la libertà del cittadino. Tra gli esempi riportati c’è quello delle persecuzioni degli ugonotti in Francia e dei cattolici in Inghilterra. Per arrivare a compiere un passo avanti nella civiltà, verso uno Stato laico in cui l’appartenenza alla comunità non fosse condizionata in modo determinante dalla religione professata, sono servite lunghe guerre, seguite da dure persecuzioni, che si conclusero nel 1648 con la pace di Westfalia, con la quale si stabilisce la possibilità dei sudditi di scegliere la propria religione tra quella cattolica, luterana e calvinista e la libertà di culto in privato per le altre confessioni religiose. Nel mondo islamico questo passaggio non è invece avvenuto, generando difficoltà nell’interazione con le altre civiltà. Anche Rousseau viene citato all’interno dell’articolo in quanto non tollerava gli atei nel suo ideale di società, presentato nel “Contratto sociale”. Quest’opera è fondamentale per la creazione del concetto moderno di cittadinanza: cittadino è colui che cede parte dei suoi diritti e della propria libertà personale a favore di una “volontà generale” in grado di garantire il bene comune; questa detiene il potere legislativo e rappresenta a pieno titolo tutti i cittadini, mentre il governo diventa un semplice braccio esecutivo ed è per questo che l’autore è considerato il padre del principio moderno di “sovranità popolare”.

Quintili cita l’Encyclopedie di Diderot e D’Alambert per chiarire come i concetti di borghese, cittadino ed abitante venissero concepiti nell’ambito del pensiero illuminista: il borgheseè colui che ha residenza ordinaria in una città; il cittadinoè un borghese ma considerato relativamente alla società di cui è membro; l’abitante è un privato considerato relativamente alla residenza pura e semplice. Si è abitante della città, della provincia o della campagna: si è borghese di Parigi. Il borghese di Parigi che prende a cuore gli interessi della sua città contro gli attentati che la minacciano, ne diventa cittadino. «Le città pullulano di borghesi; ci sono pochi cittadini tra questi borghesi». La “qualità di cittadino” presupponeuna società di cui ogni privato conosca le vicende, della quale si prenda cura, sentendo inoltre di poter raggiungere le “prime dignità”. La distinzione tipicamente francese tra borghese e cittadino, introdotta da Bodin e condivisa da Rousseau e Diderot prima della Rivoluzione, poggiava sull’analisi della società in termini di ceti o stati. La dichiarazione del 1789 dell’Assemblea francese, per unificare aristocrazia, clero e terzo stato in una ‘nazione’ che desse diritti giuridici a tutti i citoyens (dal francese ‘’cittadini’’), rendeva irrilevante la distinzione ed in questo modo ci si avvicina alla concezione moderna di cittadino.  Quintili cita inoltre Molière perché fu uno dei primi ad anticipare il processo di laicizzazione con ironia nell’arte, ad avere un approccio razionalista nei confronti della realtà e critico verso le religioni. L’opera citata nell’articolo è Tartufo, messa in scena il 12 maggio 1664 che suscitò l’avversione del partito devoto di corte che faceva capo ad Anna d’Austria e aveva come personaggio di spicco l’arcivescovo di Parigi, ex precettore del re. Si unì al coro la Compagnia del Santo Sacramento, una confraternita segreta che si proponeva la difesa della religione e dei buoni costumi tanto da spingersi ad invocare per Molière il rogo, vista la sua natura diabolica. Inizialmente, la commedia di Molière non trovò il pieno plauso del pubblico: dopo la censura del testo teatrale originale, Molière fu costretto più volte a rielaborare la sua opera fino al 1669. Tuttavia, per il suo enorme potenziale scandaloso, agli occhi dello spettatore contemporaneo la censura della prima versione non risulta immotivata: il primo protagonista era un chierico ipocrita, un uomo religioso che sfruttava l’ingenuità di un onorevole cittadino per motivi egoistici. Nella seconda e la terza versione, invece, il personaggio misterioso dell’impostore Tartufo non è un ecclesiastico né un rappresentante istituzionale della Chiesa. Uomo apparentemente credente, Tartufo è laico impegnato come “direttore di coscienza” (una professione molto diffusa nel Seicento) nella casa dell’abbiente borghese Orgon.

Quintili cita inoltre la “Dichiarazione dei Diritti dell’Uomo” del 1948 per chiarire come i diritti debbano essere universalizzati e non limitati ad un gruppo ristretto di persone, perché si rischierebbe di arrivare ad una minaccia degli stessi dovuta alla presenza di forze aggressive all’interno della società. Alla fine del Settecento i diritti umani vengono affermati come universali, cioè propri di ogni uomo, nelle due grandi Dichiarazioni: la Dichiarazione d’indipendenza degli Stati Uniti d’America del 4 luglio 1776 e la Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino approvata dall’Assemblea nazionale francese il 26 agosto 1789. Esse sanciscono l’affermazione della nuova cultura borghese e cominciano ad apparire, con Olympe de Gouges e Mary Wollstonecraft, le prime rivendicazioni dei diritti delle donne. 

Nonostante i continui progressi, sanciti anche dalla Dichiarazione Universale dei Diritti Umani emanata il 10 dicembre 1948, l’universalizzazione dei diritti rimane altalenante, sempre pronta a compiere passi indietro: come ribadisce lo stesso Quintili «a fine dell’ultimo secolo ha segnato una regressione comunitarista, nel senso non-universalistico, verso una direzione opposta a quella indicata da Marx nel 1843, che ha messo in discussione i processi di universalizzazione dei Diritti. […] Questo regresso antro-patologico è stato volutamente provocato (bisogna dirlo, senza mezzi termini), dai politici bellicisti e aggressivi dei paesi egemoni dell’Occidente, compresi la Francia e l’Italia».

Dinanzi alle sfide poste dalle nuove migrazioni degli uomini e delle cose, Quintili ritiene necessario che la linea ascendente borghese-cittadino-uomo (che era ancora quella di Marx) si modifichi in senso discendente: dignità umana-cittadinanza universale (che non è legata all’idea di nazione)-borghesia, implicando, così, l’inserimento nella società del lavoro che rappresenta la condizione necessaria per garantire ad ogni essere umano quella dignità affermata nella Dichiarazione universale dei diritti del 1948.  In questo modo, si arriverebbe ad un “illuminismo trans-storico”, applicabile a tutto il Mediterraneo, in grado di consentire il dialogo tra diverse culture. Quintili prende le mosse dal concetto di “terza sfera” di Todorov «che l’individuo gestisce autonomamente senza che nessuno possa avere niente da ridire». Tale dimensione si riferisce alla presenza (in ognuno di noi) di una sfera personale, circoscritta unicamente alla propria interiorità, che può coincidere o meno con quella spirituale, ma che non deve in alcun modo sentirsi condizionata o minacciata dal contesto politico,sociale,economico e culturale nel quale l’individuo è inserito. Essa permette di sviluppare dei valori, delle idee, un mondo interiore in cui credere, indipendentemente da tutto e tutti. Essere laico significa esercitare in un certo modo la propria libertà di coscienza, in base all’esperienza e alla sensibilità, che variano da individuo a individuo. Quindi risulta inutile l’imposizione di una determinata religione da parte dello Stato poiché ogni individuo ha una concezione propria di spiritualità. Un legame sociale non è basato sulla professione della medesima religione, né sull’appartenenza allo stesso Stato, bensì è qualcosa di più profondo, fondato sulla condivisione di valori in nome della quale, individui diversi per origine, cultura e mentalità (migranti o meno) potranno sentirsi tutti parte di una comunità civile in grado di evolversi, arricchirsi e trasformarsi.

Questa prospettiva illuministica in senso transtorico potrebbe condurre allo sviluppo di luoghi socio-culturali condivisi (non alternativi alla religione) in grado di divenire “luoghi di liberazione della terza sfera «ossia della coscienza collettiva degli uomini e delle donne del nostro continente euromediterraneo».

Relazione sugli incontri con Fim

di Nicolò Aniello, studente del Liceo L. da Vinci di Terracina

Al termine dell’anno scolastico non posso far a meno, passando in rassegna attività svolte, adesioni a progetti vari, partecipazioni a conferenze, di soffermarmi sull’importanza che può rivestire il dibattito nella formazione culturale di una qualsiasi persona. Credo sia stato proprio questo lo scopo che il progetto di “Filosofia in movimento” abbia voluto prefiggersi: discutere apertamente, senza paura di sbilanciarsi, di questioni anche scottanti, che normalmente rimarrebbero taciute in una realtà ancora intrisa di formalismo. Gli incontri a cui ho avuto modo di partecipare sono stati tutti molti interessanti. Il primo dibattito è sorto a partire dalle posizioni di Cinzia Sciuto, che ha parlato di multiculturalismo e di come questo rappresenti una minaccia per l’identità di cui il singolo individuo è portatore, e di come l’identificazione in una determinato gruppo culturale o religioso possa rappresentare allo stesso modo un pericolo per l’identità personale. Condivido la posizione di Cinzia Sciuto nella misura in cui si parla di Stati teocratici, in cui si realizza una coincidenza di potere politico e religioso, con la conseguente strumentalizzazione di quest’ultimo (Instrumentum Regni), e in cui l’osservanza di una determinata religione diventa vera e propria costrizione. E’ questo il caso di diversi stati islamici, o ad esempio della Francia dall’epoca medievale fino alle guerre di religione, in cui l’unità religiosa è considerata necessaria a fini politici e garantita dalla repressione di ogni dissenso. In queste situazioni si va incontro ad un annullamento della personalità degli individui che costituiscono una minoranza sociale, religiosa o politica.  

Facendo invece riferimento a situazioni a noi più vicine, come può essere quella di un qualsiasi Stato non confessionale ma laico a maggioranza cattolica, in cui le uniche “costrizioni” o meglio regole da osservare in ambito religioso coincidono con le norme etiche che costituiscono quello che banalmente dovrebbe essere il “buon senso comune”, non vedo l’identificazione nel gruppo religioso come un pericolo per l’identità del singolo. Anzi, premessa la necessità di uno Stato laico garante dei diritti di ogni cittadino indipendentemente dalle sue prospettive ideologiche, al contrario credo che la religione costituisca parte integrante della cultura dell’individuo, e quindi piccola parte di quella grande coscienza che rende l’uomo “umano”.

La discussione filosofica che ho trovato più stimolante è quella promossa dal professore Bruno Montanari, le cui parole, che definirei magnetiche, hanno mantenuto viva la mia attenzione nel corso di una conferenza riguardo tematiche tutt’altro che banali. Ritengo importanti le cognizioni di carattere economico-politico che il professore ci ha fornito, precisando e approfondendo dove necessario determinati concetti. Molto interessante inoltre è stata la spiegazione di carattere antropologico, riguardante la trasformazione della mente umana ad opera delle attuali tecnologie, che risvegliano il nostro lato ferino e impulsivo ottenebrando la nostra facoltà raziocinante, rendendoci sempre più avvezzi ad una comunicazione immediata fatta di immagini e reazioni e sempre meno abituati ad un pensiero ragionato su determinate realtà. Discorso, questo, funzionale a dipingere una politica ridotta a mera propaganda, che gioca proprio sulla reazione, sull’immagine e sull’impulso. Il professore poi in contrapposizione alla politica degli ultimi decenni ha spiegato come nel passato ogni grande evento politico della storia sia stato invece determinato dalla razionalità e dal pensiero delle élites intellettuali. E’ stato questo l’unico punto espresso dal professore che non ho potuto condividere pienamente. Ritengo infatti che molti eventi storici trascendano completamente la facoltà raziocinante, frutto dell’azione di individui che di intellettuale avevano ben poco. Un facile esempio è la Rivoluzione francese, che Vincenzo Cuoco definì “attiva”, proprio in quanto scaturita dal basso, di contro alla Rivoluzione napoletana dello stesso periodo, definita invece “passiva” in quanto promossa dall’élite aristocratiche borghesi di intellettuali, aperte a influenze culturali europee.

Terminerei ribadendo l’importanza che a mio avviso ricopre questo tipo di attività, che promuove la libera diffusione di opinioni e di idee che ritengo preziosa, anche per evitare che l’educazione scolastica sia ridotta all’assimilazione di concetti impartiti dall’esterno e che non permetterebbe agli studenti di entrare nel vivo di un determinato argomento.

Riflessioni sul concetto di “cittadinanza” a partire dal progetto – licei di Fim

di Caterina Capomaccio, studentessa del liceo L. da Vinci di Terracina

Il termine cittadinanza indica il rapporto tra un individuo (detto cittadino) e lo Stato, al quale l’ordinamento giuridico ricollega la pienezza dei diritti civili e politici. La cittadinanza, quindi, può essere vista come uno status del cittadino, ma anche come un rapporto giuridico tra cittadino e Stato. Già nell’antica Grecia, venivano riconosciuti ai cittadini un insieme articolato di diritti, tra cui il diritto di proprietà. Anche nel diritto romano lo “status civitatis” distingueva il cittadino romano (civis romanus) dal non cittadino ed era una delle condizioni necessarie per disporre della capacità giuridica. Nel corso della storia il termine cittadinanza ha assunto diversi significati: può essere indicatore del modo in cui sono ripartiti i poteri e le risorse nell’ambito di un ordinamento politico-sociale; può esprimere il rapporto tra individuo e ordine politico, inteso come partecipazione attiva del soggetto alla sfera pubblica oppure intersezione tra individuo e collettività. Nel suo significato giuridico attuale, la parola cittadinanza esprime la molteplicità di diritti e doveri riferibili a un individuo in quanto parte di un determinato sistema politico. In sociologia il concetto assume una valenza più ampia e si riferisce all’appartenenza, alla capacità d’azione e alla realizzazione dell’individuo all’interno di una determinata comunità politica a partire dai propri capitali personali e dai diritti e servizi che gli sono garantiti.

Il concetto di cittadino differisce da quello di suddito che si riferisce a colui che è soggetto alla sovranità di uno Stato. La condizione del suddito implica situazioni giuridiche puramente passive mentre quella del cittadino implica la titolarità di diritti e altre situazioni giuridiche attive. Nel momento in cui lo Stato riconosce al suddito diritti civili e politici, questo diventa un cittadino. Anche in uno Stato che riconosce tali diritti possono tuttavia esserci semplici sudditi, soggetti alla sovranità dello Stato ma privi dei diritti di cittadinanza: questo avveniva, ad esempio, per le popolazioni indigene dei possedimenti di tipo coloniale, anche se, in qualche caso, venivano loro attribuiti alcuni diritti seppur limitati rispetto a quelli riconosciuti ai cittadini veri e propri (la cosiddetta piccola cittadinanza). Anche nei paesi occidentali talvolta, prima di ottenere la cittadinanza vera e propria si transita attraverso situazioni intermedie, come il permesso di soggiorno di breve o lungo periodo, la carta di soggiorno che è una sorta di permesso di soggiorno permanente, talvolta chiamato appunto permesso di soggiorno permanente.

Un rapporto analogo a quello tra persona giuridica e Stato può sussistere anche tra persona fisica e Stato; in tal caso, però, non si parla di cittadinanza ma di nazionalità. Riferito alle persone fisiche, questo stesso termine, anche se talvolta è usato impropriamente come sinonimo di cittadinanza, indica l’appartenenza a una nazione, condizione questa che in alcuni ordinamenti può avere rilevanza giuridica a prescindere dalla cittadinanza.

Come si è detto, il concetto di cittadinanza si ricollega alla titolarità di determinati diritti, detti appunto diritti di cittadinanza, enunciati nelle costituzioni e nelle dichiarazioni dei diritti. Tra questi troviamo: i diritti civili, i diritti politici ed i diritti sociali. Accanto ai diritti, la cittadinanza può comportare doveri come la difesa dello stato, il voto e lo  svolgimento delle funzioni di giudice laico.

Ogni ordinamento stabilisce le regole per l’acquisizione e la perdita della cittadinanza. In molti stati i princìpi al riguardo sono stabiliti a livello costituzionale, in altri invece, tra i quali l’Italia, la disciplina è interamente demandata alla legge ordinaria. La cittadinanza si può acquisire:

  • in virtù dello ius sanguinis (diritto di sangue), per essere nati da un genitore in possesso della cittadinanza.
  • in virtù dello ius soli (diritto del suolo), per essere nati sul territorio dello Stato
  • per aver stipulato un contratto matrimoniale con un cittadino
  • per naturalizzazione, a seguito di un provvedimento della pubblica autorità, subordinatamente alla sussistenza di determinate condizioni o per meriti particolari. In molti ordinamenti, come in Italia, a sottolinearne la solennità, il provvedimento di concessione della cittadinanza è adottato, almeno formalmente, dal capo dello Stato.

La scelta fondamentale che si trovano a fare gli ordinamenti è quella tra ius sanguinis e ius soli, avendo gli altri due istituti una funzione puramente integrativa. Attualmente la maggior parte degli Stati europei adotta lo ius sanguinis, con la rilevante eccezione della Francia, dove vige lo ius soli fin dal 1515.L’adozione dell’una piuttosto che dell’altra opzione ha rilevanti conseguenze negli Stati interessati da forti movimenti migratori. Infatti, lo ius soli determina l’allargamento della cittadinanza ai figli degli immigrati nati sul territorio dello Stato: ciò spiega perché sia stato adottato da paesi (Stati Uniti, Argentina, Brasile, Canada, ecc.) con una forte immigrazione e, al contempo,dotati di un territorio in grado di ospitare una popolazione maggiore di quella residente. Al contrario, lo ius sanguinis tutela i diritti dei discendenti degli emigrati, ed è dunque spesso adottato dai paesi interessati da una forte emigrazione, anche storica (diaspora: Armenia, Irlanda, Italia, Israele), o da ridelimitazioni dei confini (Bulgaria, Croazia, Finlandia, Germania, Grecia, Italia, Polonia, Serbia, Turchia, Ucraina, Ungheria).

Può accadere che una persona acquisisca la cittadinanza dello Stato di origine dei genitori, dove vige lo ius sanguinis, e nel contempo quello dello Stato sul cui territorio è nata, dove invece vige lo ius soli. Queste situazioni di doppia cittadinanza possono causare inconvenienti sicché gli Stati tendono ad adottare norme per prevenirla, anche sulla base di trattati internazionali. Alcuni Stati, peraltro, non ammettono la doppia cittadinanza e stabiliscono che l’acquisizione della cittadinanza presso uno Stato estero faccia automaticamente perdere quella originaria. In Italia invece, con la legge n.91/1992,”Il cittadino italiano che possiede, acquista o riacquista una cittadinanza straniera conserva quella italiana”. La perdita della cittadinanza può essere prevista quindi a seguito di rinuncia, di acquisizione della cittadinanza di altro Stato o di privazione per atto della pubblica autorità in conseguenza di gravissime violazioni. La cittadinanza si può acquisire o perdere anche a seguito di trattati internazionali che trasferiscono una parte del territorio e la popolazione ivi residente da uno Stato all’altro. Inoltre coloro che non possiedono alcuna cittadinanza sono detti apolidi.

In Italia la cittadinanza si acquisisce per nascita solo se almeno uno dei genitori è cittadino italiano (ius sanguinis), senza il divieto di acquisire una doppia cittadinanza. Si acquisisce anche con decreto del Presidente della Repubblica, presentando richiesta a una prefettura. La concessione non è automatica, trattandosi di un provvedimento discrezionale. Ai fini della concessione, vengono favorevolmente valutate una lunga residenza stabile in Italia (almeno 10 anni), la dimostrazione di un reddito superiore al minimo di sussistenza, l’assenza di condanne penali, particolari circostanze di benemerenza (ad esempio il sostegno di associazioni benefiche o di volontariato), la stretta parentela con cittadini italiani. In passato, la cittadinanza italiana si poteva acquisire anche prestando onorevole servizio volontario nelle Forze Armate italiane, circostanza venuta meno con l’abolizione del servizio militare obbligatorio.

Negli ultimi anni, il concetto di cittadinanza si è modificato a causa dei numerosi cambiamenti che coinvolgono la società moderna,in particolare il processo di globalizzazione. Questo sta infatti modificando la realtà dei singoli individui, soprattutto per quanto riguarda i cosiddetti cittadini o migranti transnazionali, che pur risiedendo in un paese diverso intrattengono rapporti molto stretti con il proprio Stato di origine, sia dal punto di vista sociale sia economico, in molti casi anche riuscendo a influenzarne le politiche. Ovviamente il peso di questa influenza dipende dal numero di membri, dalla ricchezza e dalla forza dei rapporti che la comunità riesce a stringere con il proprio paese di origine.

Nell’articolo”jus soli, bene comune”, il prof. Bruno Montanari, accoglie positivamente l’idea di acquisizione di cittadinanza attraverso lo jus soli, ritenendolo un passaggio necessario della società contemporanea. Egli evidenzia anche come questo tema “spaventi” la classe politica che ha preferito metterlo da parte. In un epoca segnata da crisi economiche e flussi migratori, continua Montanari, dove la diversità viene vista come un pericolo si comprende come il concetto di uguaglianza non sia universalizzabile ma è, e deve essere universale, il concetto di esistenza umana. Poiché questa si ha solo attraverso la cittadinanza, lo ius soli diviene necessario (come l’acqua) e nessun essere umano deve esserne privato.

Lavoro come mezzo di sviluppo dell’identità

di Andrea Marin, Gabriele Costantini, Filippo Castania, Davide Toledo

studenti iscritti al quarto anno del Liceo G. Bruno di Roma

Il lavoro è alla base della nostra vita e della nostra società; esso non riguarda solo l’aspetto personale, come l’espressione di se stessi e della propria creatività ma anche l’aspetto economico. Possiamo capire l’importanza del lavoro anche solo guardando la nostra costituzione che lo disciplina nel primo articolo:

“L’Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro.”

Quello del lavoro è uno dei diritti fondamentali e quindi inviolabile. Ogni cittadino, ha il diritto e il dovere di svolgere secondo le proprie possibilità e volontà, un’attività lavorativa. La perdita di questo diritto porta l’individuo a non possedere un’identità e un ruolo sociale. Immaginiamo un qualsiasi cittadino che, non essendo retribuito, non può soddisfare i suoi bisogni primari (mangiare, bere, dormire ecc.). Venendo a mancare la possibilità di soddisfare i propri bisogni, ci si ritrova in assenza anche dei propri diritti tra cui quelli fondamentali: come ad esempio la proprietà privata. A testimoniare ancora una volta l’importanza del lavoro a livello personale c’è l’identificazione con esso. Portiamo l’esempio di un professore: egli incontrando una persona si porrà in un determinato modo nei confronti di quest’ultima proprio a causa del suo lavoro. Prendiamo ora sotto esame l’immagine di un senzatetto inoccupato: egli avrà sicuramente più difficoltà ad inserirsi in una società in cui è invisibile. Grazie alla breve analisi nell’esempio si riesce a dedurre che il lavoro è importante per il benessere psicologico dell’individuo e per la conservazione della stima di sé. Nelle varie inchieste sorge infatti la preoccupazione per la quantità di denaro bensì per la riuscita di un determinato lavoro.

Riassumendo si può affermare che il lavoro non è solo un mezzo di guadagno, esso non implica unicamente il coinvolgimento con l’azienda e il lavoro stesso (situazione di commitment), ma il lavoratore trova nell’impiego la possibilità di dimostrare le proprie capacità e di affermare sé stesso.

Nonostante i vari aspetti positivi del lavoro non possiamo non valutare i problemi che possono sorgere sul posto di lavoro:

“IL MOBBING” = Con il termine mobbing si fa riferimento all’insieme di comportamenti persecutori che tendono ad emarginare un soggetto dal gruppo sociale di appartenenza. Il mobbing può essere orizzontale (tra pari), dall’alto verso il basso (da un superiore a un dipendente) e dal basso verso l’alto (da un gruppo di dipendenti verso un superiore).

“IL BORNOUT” = Insieme delle risposte psicofisiche riscontrate in chi esercita una professione di aiuto. Il bornout può essere definito come una perdita di interesse da parte di chi esercita professioni di aiuto. Esso può essere combattuto con il COPING focalizzato o sulle emozioni o sul problema.

Un altro problema che riguarda il lavoro è il “PROBLEMA DEL SOMMERSO”. Quando si parla del problema del sommerso si fa riferimento a chi lavora senza contratto non pagando le tasse recando dei problemi oltre che all’economia statale anche a se stesso non versando i contributi per il suo futuro e lavorando senza essere assicurati.

In conclusione si può dire che nonostante i vari problemi che possono sorgere sul luogo di lavoro, esso è fondamentale per se stessi e per la società.

Relazione attività asl “Cittadinanza e Costituzione”

Pubblichiamo le considerazioni della studentessa Aurora Giusti sull’esperienza maturata all’interno del progetto di Alternanza scuola-lavoro di FIM, “Cittadinanza e Costituzione”

di Aurora Giusti – studentessa del Liceo L. Da Vinci (Terracina)

Quest’anno ho partecipato a tre delle quattro conferenze del progetto “Filosofia in movimento” organizzate dalla prof.ssa Marzelli presso il mio istituto. Il primo incontro si è tenuto il 7 Marzo con la giornalista Cinzia Sciuto sul tema “Stato e religione”. La dott.ssa Sciuto ha scritto un libro dal titolo “Non c’è fede che tenga. Manifesto laico contro il multiculturalismo”, nel quale sostiene che oggi in Europa viviamo in società disomogenee e per rispondere a questi cambiamenti della società bisogna adottare una politica prettamente laica, in cui non solo c’è una separazione tra Stato e Chiesa, ma bisogna compiere un passo in più: lo Stato laico deve garantire che nessuna comunità vìoli i principi fondamentali dei propri membri e che ciascun cittadino sia messo nella condizione di emanciparsi dalla sua stessa comunità. Nel reclamare riconoscimento e rispetto delle identità delle diverse componenti etniche, religiose e culturali di una società, il rischio è perdere di vista che il soggetto titolare di diritti è solo ed esclusivamente il singolo individuo e non i gruppi. Secondo la dott.ssa Sciuto è l’individuo a essere portatore di identità e appartenenze, non è l’appartenenza a definire l’individuo. Infatti, durante l’incontro ha affermato: “Ogni individuo è portatore di una storia, di determinate esperienze e non può essere considerato un esponente monolitico di una cultura”. Per me sono state particolarmente interessanti le storie riportate di Rita Atria, Hina Saleem e Franca Viola, attraverso cui possiamo riflettere sul concetto di “onore e rispetto”. Nel caso di Rita Atria riscontriamo una forte fiducia nelle istituzioni, tanto da “tradire” la propria famiglia mafiosa e arrivare a suicidarsi dopo la morte del magistrato Borsellino; Hina Saleem, invece, fu uccisa dai propri familiari in quanto non voleva adeguarsi ai costumi della propria cultura d’origine; Franca Viola fu la prima donna a rifiutare il matrimonio riparatore in Italia. Questo incontro mi ha fatto riflettere sulla società attuale e mi ha mostrato un aspetto dello Stato a cui non avevo mai pensato. Dobbiamo difendere i nostri diritti ed essere consapevoli di poter affermare le nostre idee indipendentemente dalla comunità di appartenenza, senza ovviamente ledere i diritti degli altri. In particolar modo, ognuno può essere libero di professare la propria fede religiosa, ma tutti dobbiamo rispettare le leggi dello Stato di appartenenza, perché la religione non può essere motivo di esonero. Come la giornalista ha affermato:” Proveniamo da una determinata cultura, da una determinata società, non apparteniamo a nessuno se non a noi stessi”.
Il secondo incontro si è tenuto l’8 Aprile con il prof. Paolo Quintili e il dott. Antonio Cecere sul tema “Illuminismo islamico”. La conferenza ha messo in luce l’importanza di conoscere una cultura per poter dar origine ad un dialogo produttivo con essa, infatti, i termini “Illuminismo” e “laicità” nella cultura araba, a differenza di quella europea, assumono una connotazione spregiativa, che tende verso l’ateismo e l’immoralità. Per il prof. Quintili l’integrazione è possibile grazie ad un’educazione e ad una formazione culturali speciali all’interno di uno Stato laico e attraverso “l’operazione culturale dell’Illuminismo trans-storico”, che ha per oggetto le religioni storiche rivelate. Per me la conferenza si è rivelata particolarmente interessante e coinvolgente perché il prof. Quintili ha fatto spesso riferimento a periodi storici e a intellettuali già studiati, di cui ha sottolineato o approfondito determinati aspetti: partendo dal concetto di cittadinanza ha fatto riferimento a Hobbes, Spinoza, Diderot, Rousseau e ha contestualizzato le idee nel periodo della Rivoluzione Francese. Interessante il collegamento che possiamo individuare con Marx, che nell’opera “La Questione Ebraica” (1843-44) riflette sul fatto che <noi distinguiamo i diritti dell’uomo dai diritti del cittadino >. Non avevo mai ragionato davvero, studiando storia, su questa differenza tra uomo e cittadino, che viene messa in luce dai diversi diritti che a loro si attribuiscono. Il terzo incontro si è tenuto il 17 Maggio con il prof. Bruno Montanari sul tema “Il concetto di sovranità dalla pace di Westfalia ai nostri giorni”. La conferenza ha messo in luce la nostra disinformazione riguardo la politica attuale, ma, come aveva detto nel precedente incontro il prof. Quintili parlando dell’Illuminismo, il lume può nascere solo dalle tenebre e così la nostra conoscenza dall’ignoranza. Non mi sono mai appassionata di politica, perché l’ho sempre percepita come qualcosa lontana da me, ma, avendo compiuto la maggiore età, quest’anno avrei dovuto votare e questa conferenza ha suscitato in me curiosità, desiderio di capire meglio il programma dei vari partiti italiani e, più in generale, la situazione europea.
Il prof. Montanari, per poter spiegare cos’è la sovranità, si è soffermato sul significato di spread, sull’influenza che possono avere gli slogan dei partiti: in modo chiaro e diretto ha chiarito dei concetti fondamentali. L’enciclopedia francese Laurousse definisce il termine sovranismo come “una dottrina politica che sostiene la preservazione o la riacquisizione della sovranità nazionale da parte di un popolo o di uno stato, in contrapposizione alle istanze e alle politiche delle organizzazioni internazionali e sovranazionali”. Il problema, legato al sovranismo, su cui si è concentrato il prof. Montanari durante l’incontro, è il futuro delle banche italiane, in quanto se lo spread sale, aumentano gli interessi di debito pubblico: quindi lo Stato risulta essere dipendente da istituzioni private come le agenzie di rating che, sempre più, influenzano la vita economica e politica degli Stati.
In conclusione, ho davvero apprezzato questo progetto perché mi ha permesso di riflettere e di pensare a temi attuali, che di solito non sono affrontati in ambito scolastico; inoltre, per me è stato un piacere incontrare e poter ascoltare le opinioni di persone affermate e riconosciute nel proprio ambito lavorativo.

Cittadinanza nel mondo antico e romano

a cura di Battista Angelica, De Simone Chiara, Marini Giulia, Traini Alice del liceo G. Bruno (Roma)

Ad oggi la cittadinanza è la condizione del cittadino al quale lo Stato riconosce la pienezza dei diritti civili e politici. Può essere vista, quindi, come uno “status” dei cittadini che ottengono così un rapporto giuridico con lo Stato. Il concetto di cittadinanza che ormai ci sembra così scontato ha subito numerose evoluzioni nel corso della storia. Non si può parlare di cittadinanza nel mondo antico (dove la distinzione tra sovrano e suddito era ancora netta e ben definita), se non nelle comunità statuali chiamate polis. In queste ultime valevano i principi della civitas secondo i quali il cittadino, detto “civis”, aveva la facoltà di incidere sul governo. Tra i componenti della civitas si creava un legame basato sull’appartenenza ad uno Stato con un governo in parte scelto da loro. I cives inoltre rispetto agli schiavi e ai residenti privi di cittadinanza godevano di alcune prerogative esclusive riguardanti i diritti pubblici e privati, come la possibilità di votare i magistrati, di approvare le proposte legislative ed esprimere decisioni giudiziarie. Si poteva essere civis solo con la nascita da una madre in “iustae nuptiae”, ovvero il “giusto” matrimonio romano. Per questo motivo quando nacquero le prime città, soprattutto Roma, vi si poteva distinguere nell’ambiente chi aveva la cittadinanza da chi non la possedeva.

Nel diritto romano la cittadinanza era considerata come forma di tutela giuridica che assicurava davanti a magistrati e funzionari il riconoscimento di una serie di diritti e garanzie di cui gli stranieri erano appunto del tutto privi. Era considerato cittadino a pieno titolo l’individuo maschio adulto e libero.

Cicerone occupò per molti anni anche un ruolo di primaria importanza nel mondo della politica romana: dopo aver salvato la repubblica dal tentativo di Casilina ed aver così ottenuto l’appellativo di pater patriae, ricoprì un ruolo di primissima importanza all’interno della fazione degli optimates. Fu infatti Cicerone, che negli ultimi anni delle guerre civili difese strenuamente fino alla morte la res pubblica giunta ormai alla fine, destinata a diventare principatus augusteo.

Cicerone avrebbe parlato di sé come di chi aveva duae patriae. L’impero fu mandato avanti con la “cittadinanza romana” e con il diritto. In tal modo le popolazioni sentirono il peso della loro perdita di indipendenza nazionale, infatti ogni conflitto doveva essere gestito dalla città di Roma. Le popolazioni conquistate non potevano far guerra tra loro ed agire come alleate di Roma, così si ridussero i conflitti. Ora, nel territorio dell’impero, valevano per tutti le regole di Roma amministrate dal tribunale romano: venivano esposte le liti di cui facevano parte anche gli stranieri e venivano giudicati dai prefetti iure dicundo e dal pretore romano, il quale si occupava di amministrare la giustizia a Roma. Nel secondo secolo ancora a prendere le decisioni di governo erano i magistrati, il senato e la comitia. In origine la “cittadinanza” fungeva da rafforzamento delle compagnie sociali di quel tempo, con il successo militare divenne uno strumento per difendere “l’identità “ culturale della città. Per l’autogoverno non erano necessarie solo convinzioni ma anche presupposti per la convivenza. Il più importante  era la limitata “dimensione” del corpo sociale. Essa era diventata nota nelle piccole comunità che facevano della politica l’azione di governo che esse sviluppavano. Era molto importante che i cittadini aderissero all’esercito: esso era ricompensato con dei privilegi. Ma le cose cambiarono ed i successi non erano più dati dall’impegno dei cittadini. Tra il secondo ed il primo secolo cessò l’antico regime del reclutamento militare e furono introdotte le leggi Iulia e Plautia Papiria con le quali gli alleati italici ottennero la cittadinanza romana.  Alla fine del primo secolo Roma si ritrovò governata da un princeps che concentra in sé poteri sempre più eminenti e pervasivi. Prima di lui nessuno era riuscito a governare senza alcun tipo di contrasto.

Differenza tra modello della “basileia” ed il modello della “città-stato”

Nel modello della “basileia” il sovrano era considerato incarnazione della divinità ed esercitava il suo potere sui sudditi (divisi in liberi e servi). Ai sudditi era preclusa la “proprietà” della terra che poteva essere perciò occupata o coltivata in regime di concessione e non era attribuita alcuna facoltà di influenzare la legislazione. Essi erano però tenuti a rispettare oneri militari e civili disposti dal sovrano. Nelle “città-stato” invece vi era un’intensa omogeneità culturale; per lingua, religione e costumi. Ai membri veniva riconosciuto uno statuto speculare a quello dei membri della “basileia” in quanto anch’essi erano a servizio dell’esercito. Solo ad essi però veniva riconosciuta la possibilità di essere “proprietari” di terreni, sia di partecipare al governo della collettività, influendo sugli aspetti fondamentali. In questi due modelli il ruolo dei singoli è concepito in maniera molto differente. Vi è un differente modo di concepire il governo delle collettività. Nel governo della civitas, a differenza della basileia, la sovranità era diretta attribuzione della collettività, non era perciò appannaggio di un singolo ma dei suoi cives. Si aveva perciò un’azione collettiva coordinata.

E’ da osservare come da sempre l’uomo ha cercato un senso di appartenenza verso un territorio e verso i suoi simili. Man mano con il tempo ha sviluppato dei ruoli sempre più definiti per far funzionare la collettività anche attraverso interessi comuni. La Repubblica Italiana attuale si basa sui diritti e i doveri dei cittadini e sulla loro libertà di voto mentre nel mondo romano il fine primo era quello di esaltare il senato e la città di Roma. E’ vero che il cittadino romano all’epoca era orgoglioso di essere civis romanus, ma la repubblica del tempo non era perfetta e ideale. Come si tende a pensare; molti schiavi e uomini sono morti per riuscire ad innalzare al massimo Roma per la comodità ed il gusto della plebe. Tuttavia anche oggi si hanno notevoli differenze all’interno della società ma in maniera più moderata rispetto all’antica Roma, poiché dopotutto la repubblica democratica ideale non esiste in nessun tempo e luogo.

  • Polis: tipo di città-stato indipendente e autonoma nella Grecia classica.
  • Civitas: l’assieme dei cittadini di una località e nel contempo lo “status” giuridico , il quale fa di tutti i cittadini dei soggetti con diritti e doveri.
  • Res Publica: letteralmente significa “cosa del popolo” e indica l’insieme dei possedimenti, dei diritti e degli interessi del popolo e dello Stato romano.
  • Clistene: fu un politico ateniese e uno dei padri della democrazia di Atene.
  • Cicerone: fu un avvocato, politico, scrittore e oratore romano negli anni della repubblica.
  • Suffragium: manifestazione della propria volontà in un’assemblea, in consultazioni elettorali,ecc., mediante un voto nato dalla partecipazione diretta dei cittadini alla vita pubblica.

L’educazione alla complessità per una cittadinanza inclusiva (Prima parte)

La tecnologia è entrata a far parte della sintesi di nuovi valori e di nuovi criteri di giudizio, rendendo ancor più evidente la centralità e la funzione strategica di un’evoluzione che è culturale e che va ad affiancare quella biologica, condizionandola profondamente e  determinando dinamiche e processi di retroazione (si pensi ai progressi tecnologici legati a intelligenza artificiale, robotica, informatica, nanotecnologie, genomica etc.).

Democrazia e laicità

Tra i diritti fondamentali le moderne democrazie costituzionali non includono solo quello di manifestare le proprie idee politiche, ma anche quello di professare la propria religione. Anzi, si può dire che uno dei principi basilari del moderno Stato costituzionale sia proprio quello della laicità o neutralità religiosa dello Stato, che si è affermato nella cultura europea attraverso la sanguinosa vicenda delle guerre di religione che si scatenarono dopo la Riforma, e che è ormai patrimonio di tutte le democrazie liberali.

ESERCITARE IL PENSIERO “Per una storia del presente”

È ormai quasi un luogo comune: a traghettare le “società occidentali avanzate ”fuori dalla lunga crisi, che esse attraversano almeno dall’inizio del nuovo Millennio – crisi della rappresentanza democratica, crisi del lavoro e della produzione, crisi dei riferimenti simbolici e identitari – dovrà essere chi in questi anni va a scuola, o tutt’al più all’università.

L’utile, la “Buona Scuola” e il diritto alla noia

Un tempo il totalitarismo era politico e circoscritto in uno o più Stati. Oggi è la politica a essere sotto scacco di un totalitarismo più potente e più invisibile che pervade ogni settore e che valica i confini statali per divenire globale. Per questo anche l’istruzione è merce, segue le regole del Mercato, del guadagno, di ciò che questa società controllata dal Mercato considera “utile”. Non si studia più per piacere o diletto, non si amano più i libri, ma si usano come mezzi e fonti di guadagno.